ConAltriOcchi blog – 以不同的眼光看世界-博客

"C'è un solo modo di vedere le cose finché qualcuno non ci mostra come guardare con altri occhi" – "There is only one way to see things, until someone shows us how to look at them with different eyes" (Picasso) – "人观察事物的方式只有一种,除非有人让我们学会怎样以不同的眼光看世界" (毕加索)


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Un giorno che non si puó dimenticare

E’ una data impressa nella memoria di ciascun italiano quella del 9 Maggio 1978, quando il corpo di Aldo Moro fu ritrovato a Roma , nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, a poca distanza dalla sede del Partito Comunista Italiano e da Piazza del Gesù, sede della Democrazia Cristiana.

Il 9 maggio del 1978 un’altra tragica morte ha segnato il nostro Paese.  E’ stato ucciso Peppino Impastato, giornalista, che ebbe il coraggio di sfidare il boss Gaetano Badalamenti, con le sue trasmissioni di Radio Aut.

Ricordare oggi quel giorno non è solo dovere di memoria e riconoscenza, ma atto di vita cristiana. Dice una bella preghiera di Colletta: “O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna.” Esprimiamo la fede in Dio che è Padre e non si dimentica dei suoi figli, e per sempre ci ha donato il Figlio e lo Spirito.

Preghiamo per la vera libertà quando, oggi come ieri tanti nostri fratelli sono minacciati nella libertà e per quella hanno pagato un prezzo altissimo. La libertà è minacciata da nemici esterni, dalle mafie di ogni tipo, ma anche interni, come le nostre contraddizioni e i nostri egoismi. Preghiamo perché Gesù ispiri e rinnovi, la nostra vita, il nostro paese con il sogno di Dio, che era prima della durezza del cuore degli uomini.

L’uomo con il sostegno dello Spirito può farcela, può ritornare al Principio. L’uomo sa cosa sarebbe amare, sa che cosa sarebbe una società pacifica, e lo sa perché è tutto già scritto nel suo cuore e perché é creato a immagine e somiglianza di Dio.

Gli uomini della durezza del cuore continuano, oggi come ieri, a crocifiggere Gesù e tanti altri uomini, ma Dio li libera tutti. Noi oggi 9 maggio facciamo ancora una volta il nostro atto di fede, nel Dio di Gesù Cristo vincitore della durezza dei cuori.

Pilato e Caifa sono sempre grandi amici! La storia sembra in mano loro. Ma noi sappiamo, non è così.


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Una realtà fragile ma già eterna

Una riflessione spirituale dopo il tragico terremoto in Italia centrale

don Francesco Pesce

Un interminabile elenco di nomi. Il vescovo di Rieti ha iniziato la Messa funebre per le vittime del terremoto di Amatrice e di Accumoli, leggendo uno per uno i nomi dei caduti. Nomi, storie, volti, famiglie spezzate. Mi è venuta in mente la scena biblica in Galilea sul lago di Tiberiade descritta al capitolo 21 del Vangelo di Giovanni. In quel passo alla fine del racconto evangelico, dopo la crocifissione di Gesù’, nessuno parla e nessuno sa cosa fare o cosa dire. La situazione è pesante, Gesù era ormai morto e le speranze andavano esaurendosi. Pietro prende l’iniziativa per togliere se stesso e gli altri dall’imbarazzo e dice “io vado a pescare” (Gv 21,3) e così la vita di prima sembra ricominciare. “ma in quella notte non presero nulla” (Gv 21,3).

Quante notti nella Bibbia, nella vita, nei nostri giorni; quanta fragilità nelle nostre vite nelle nostre famiglie; è una fragilità naturale di una natura corrotta dal mistero del male e del peccato. Gesù ci chiede ancora di gettare la rete, di continuare a vivere e sperare. La rete della nostra vita è destinata a riempiersi, perché è gettata sulla Parola del Risorto, anche se gli apostoli non lo avevano riconosciuto, anche se a volte davanti alle tragedie, non ce la facciamo perché la vita non è un principio da difendere ma una grande avventura da svolgersi con l’aiuto della Grazia. Noi crediamo che arriva sempre un alba nuova dove si può gridare “è il Signore”(Gv21,7) – il grido di amore di Giovanni, o come nel Cantico dei Cantici “l’amato mio” (Ct2,8). Un grido di Pasqua, di amore che vince le tenebre della morte.

Mi ha colpito guardando alla televisione lo svolgimento dei funerali, che quasi tutti hanno fatto la Comunione, cosa non consueta ormai anche nelle grandi celebrazioni. C’era quasi un desiderio urgente e stringente di Pane del cielo, quello vero, quello di cui tutti abbiamo bisogno. “Signore, dacci sempre questo pane. Gesù rispose loro: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete” (Gv6,34-35). Noi celebriamo infatti l’Eucaristia “nell’Attesa che  Egli venga”, perché   crediamo che un amore che muore, un amore che viene ucciso, ritrova il dono del Dio della vita.

Oggi abbiamo celebrato insieme a tutta l’Italia il corpo, anzi la carne. La parola carne, nella Bibbia,  indica  tutto ciò che è corruttibile, fragile, mortale. Tutta la fede cristiana è un  rapporto tra carnalità e spiritualità.  L’espressione “carne e sangue” è  un’espressione tipicamente ebraica per dire “fragile vita”. Nella “carne e sangue” Dio si fa debole, limitato e quindi accessibile perché assume la nostra  fragilità nella quale dona la Sua vita immortale. Oggi ad Amatrice e Accumoli ancora una volta abbiamo celebrato una realtà fragile, ma già eterna. Abbiamo celebrato  il “pane e il vino”, alimenti semplici della mensa dei poveri, segni della solenne  povertà degli uomini e di Dio. “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” è ancora il grido che sale dai paesi devastati dal terremoto, da queste terre che hanno impresse le impronte di  San Francesco e san Benedetto. E’ un grido che già è stato ascoltato da Colui che con l’amore ha vinto la morte. “Dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano. Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato.”(Ez 37,9-10)

 

 


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Il male: peccato, castigo o necessità di conversione?

Omelia della III Domenica di Quaresima
Don Francesco Pesce 
 
Due fatti di cronaca molto conosciuti (una rivolta di zeloti e la caduta di una torre, il cui basamento è visibile ancora oggi, in un quartiere di Gerusalemme chiamato Siloe) servono a Gesù per scardinare definitivamente  il nesso causale che ancora si credeva esistente tra il castigo di Dio  e  i peccati degli uomini.
Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico”.
 
Gesù nega decisamente ogni rapporto  tra i peccati, le disgrazie e i castighi di Dio. Tuttavia, con la stessa decisione afferma: “Ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.” Il Signore ci chiama a conversione, cioe’ a cambiare strada, rotta, a riorientare la nostra vita, piuttosto che ad avventurarci in superstizioni e millenarismi inutili e dannosi. Di nuovo vi incoraggio, in particolare in questo tempo di Quaresima, tempo favorevole: “Lasciatevi riconciliare con Dio!”. 
 
Come il Signore ha detto chiaramente, il male non viene dall’esterno, viene da dentro di noi. Questo vuol dire che il peccato si compie nel nostro cuore e noi siamo più o meno responsabili di esso (a seconda delle circostanze, della consapevolezza del nostro agire, ecc.) ed è spesso la causa o una delle cause della nostra e altrui infelicita’, del male che ci colpisce in prima persona o colpisce gli altri. Ecco cosa voleva dire il Signore, quando ci ammonisce a convertirci. Ci sta dicendo che se sono egoista, individualista o peggio ancora “corrotto” – come denuncia spesso Papa Francesco – mi faccio del male ma faccio del male anche agli altri. A chi mi sta vicino, alla società, al mondo….
 
Ci vuole – potremmo dire – una vera e urgente conversione personale e sociale, una riorganizzazione della vita comune, poiché si produce da una parte generando enormi ricchezze per pochi, e dall’altra terribili povertà per molti. Sono urgenti una conversione verso il bene di tutti, senza esclusione di nessuno, e un rapporto nuovo con il denaro e la natura. Dobbiamo in definitiva rispondere alla nostra originaria vocazione di uomini che vivono in armonia tra di loro con il creato e con Dio.
Il Dio di Abramo, di Mosè, rivelato in pienezza in Gesù Cristo, ha avuto pietà degli oppressi, ha ascoltato il grido dei poveri  e come ci ricorda la Prima Lettura di oggi, ha mandato  Mosè a liberare il suo popolo. La conversione è anche farsi alleati degli oppressi e contribuire alla loro liberazione. Non c’è pace senza giustizia. Non è uno slogan, ma uno dei fondamenti del Vangelo e un pilastro della Dottrina Sociale della Chiesa.
Come dicono esperti in vari settori al livello internazionale e come vediamo nella nostra esperienza pastorale, di educatori, di genitori, di tanti che cercano di dare una testimonianza cristiana nella società, siamo ormai a un punto senza ritorno. Siamo un po’ come l’albero di fichi ricordato dal Vangelo, alla cui base il padrone ha già posto l’ascia e  che deve essere tagliato. Per la misericordia di Dio però ci è concesso un tempo supplementare, affinché ciascuno di noi abbia la chance di un sussulto di dignità e contribuire a far ripartire una nuova umanità. “Padrone lascialo ancora questo anno finchè gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime.Vedremo se porterà frutto per l’avvenire, se no lo taglierai!”
Ricordiamo Giovanni Battista che  aveva detto: “Ogni albero che non porta buon frutto sarà tagliato e buttato nel fuoco”.  Gesù invece davanti a noi, al nostro peccato, al nostro egoismo, davanti alla natura violentata dall’uomo, offre ancora nuovo tempo per portare  frutto e ci aiuta come un umile contadino, curvandosi verso ognuno di noi.