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Una “mattonella” del Papa per il Beato Allegra, traduttore della Bibbia cinese

Mons. Francesco Pesce

Una mattonella molto speciale – a nome di Papa Francesco – è stata recentemente posta nella Casa Natale del Beato Gabriele Maria Allegra OFM (1907-1976), frate francescano originario della Sicilia e missionario in Cina. Per il restauro della casa ormai completato e supportare attività caritative e di spiritualità di questo luogo ora meta di pellegrinaggi, l’Associazione “Gabriele fra le Genti”, costituita da alcuni familiari del frate che gestiscono la casa (dal 2017 proprietà della Provincia dei Frati Minori di Sicilia) ha lanciato l’iniziativa “una mattonella per il Beato”. Papa Francesco ha aderito a questa iniziativa, donando anche lui una mattonella in occasione della Giornata Missionaria Mondiale che si è celebrata lo scorso ottobre. La mattonella è stata istallata da poche settimane nel cortile della casa, che si trova a San Giovanni La Punta, vicino ad Acireale (provincia di Catania), aggiungendosi a quelle che via via sono state donate nel corso degli anni dai familiari del Beato, da fedeli della Sicilia e da altre parti dell’Italia, e dai cattolici cinesi, tra cui i fedeli della Diocesi di Hong Kong, che attraverso donazioni hanno contribuito all’acquisto e al restauro della casa. Lo scorso 31 dicembre, il Vescovo Ausiliare di Hong Kong – Mons. Joseph Ha Chi-Shing OFM – ha benedetto la mattonella donata dal Papa in occasione di un pellegrinaggio con un gruppo di fedeli.

Foto: ©Gabriele fra le Genti Onlus
Foto: ©Francesco Pesce

Il Cardinale Parolin ricorda il Beato Gabriele Maria Allegra

Insieme al Pontefice, anche il Segretario di Stato – il Cardinale Pietro Parolin – si è associato all’iniziativa, donando a sua volta una mattonella. Domenica 22 ottobre 2023, nella Giornata Missionaria Mondiale, il Cardinale Parolin aveva inaugurato una mostra di arte cristiana cinese e aveva poi presieduto la Messa, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria ai Monti (Diocesi di Roma), dove sono esposte le Reliquie del Beato Allegra per la venerazione dei fedeli. Per celebrare la Giornata e valorizzare il mese missionario, la parrocchia aveva anche organizzato un incontro il giorno successivo, per ricordare e far conoscere meglio questa straordinaria figura di apostolo della Parola di Dio in terra cinese.  Nell’omelia della Messa, nella quale hanno concelebrato anche alcuni Padri Francescani della Provincia Siciliana, il Cardinale ha ricordato la figura del Beato Allegra, conosciuto soprattutto per la sua traduzione della Bibbia in lingua cinese – la prima completa e dai testi originali per i cattolici cinesi, pubblicata a Hong Kong nel 1968 e ancora oggi largamente usata.  

Foto: ©Francesco Pesce
Foto: ©Francesco Pesce

Un incontro per tracciare la figura del Beato

 “Amo la Bibbia e amo la Cina: è per tutte e due che ho lavorato con lo stesso amore”: da questa frase del Beato Allegra il titolo dell’incontro tenutosi lunedì 23 ottobre nella parrocchia di Santa Maria ai Monti, organizzato dal parroco, Mons. Francesco Pesce, dalla onlus TherAsia da lui fondata e dalla Pontificia Università Antonianum. L’incontro ha visto la partecipazione attenta ed entusiasta di tanti fedeli, tra cui anche fratelli e sorelle cinesi, la maggior parte dei quali studia nelle varie università pontificie romane. In molti hanno espresso il desiderio di conoscere meglio questa figura, non ancora pienamente nota a molti, anche in Italia e in Cina.

Dopo i saluti di Mons. Francesco Pesce si sono susseguiti i vari interventi, moderati dal Dottor Gianni Valente, Direttore dell’Agenzia Fides.

Foto: ©Francesco Pesce

Il primo intervento – inviato in forma scritta dal Professor Rui Zhang, docente alla East China Normal University di Shanghai – è stato letto da Mons. Pesce. Il Professore ha fatto un breve excursus storico sull’introduzione e lo sviluppo del Cristianesimo in Cina, fino alla situazione attuale. Ha sottolineato l’antichità dei contatti tra Cina ed Europa, dal punto di vista culturale, commerciale e anche religioso. Tanti missionari occidentali nel corso dei secoli, in più ondate, hanno intrapreso la via della Cina per annunciare il Vangelo in quella terra. I Francescani prima, durante la dinastia Yuan nel XIII e XIV secolo, e successivamente – a partire dalla fine del ‘500, tra la fine della dinastia Ming e l’inizio della Qing – con la Compagnia di Gesù, e a seguire ancora i Francescani e poi i Domenicani e gli Agostiniani. Il Prof. Zhang accenna anche alla Questione dei Riti Cinesi, che causò divisioni all’interno della missione cattolica in Cina. A quel tempo, si pose questo dilemma, che fu poi risolto dal Pontefice: possono i convertiti cinesi continuare a praticare il culto a Confucio e agli Antenati oppure no? Quale termine usare per tradurre “Dio” in cinese? Un termine della cultura cinese o un termine differente, per evitare commistioni e fraintendimenti? La questione è stata poi definitivamente risolta dal Papa, secoli dopo, in favore della possibilità per i cattolici cinesi di praticare questi riti. 

Un esempio – noi osserviamo – che mostra come per due visioni del mondo antiche e profondamente radicate come il pensiero cinese e il Cristianesimo ci vuole tempo e pazienza per ascoltarsi, dialogare, superare incomprensioni e capirsi.

Il Professor Zhang si sofferma poi sul periodo tra il 1860 e il 1930, caratterizzato dalla traduzione della Bibbia in cinese, citando anche il lavoro del Beato Allegra, “che chiamò la traduzione del Testo Sacro ‘l’opera della mia vita’”.

Il Professor Stephane Oppes OFM, già Decano della Facoltà di Filosofia, docente di Metafisica alla Pontificia Università Antonianum e Consultore teologo del Dicastero per le Cause dei Santi, ha sottolineato come la “gioia del Vangelo” sia stata una caratteristica fondamentale della vita e della spiritualità del Beato Allegra, della sua multiforme attività nel “continente” cinese e della sua vocazione di frate minore e traduttore della Sacra Scrittura. “Gioia del Vangelo” non è un’espressione scelta “a caso” da Padre Oppes per il titolo del suo intervento, ma si ispira all’Enciclica di Papa Francesco Evangelii Gaudium, di cui nel 2023 ricorreva il decimo anniversario. 

Citando le Memorie che il Beato Allegra scrisse su richiesta del superiore a Hong Kong, Padre Oppes ha condiviso alcune parole significative del Beato: “Dico senza vanteria e senza esagerazione che sin da giovane, anzi giovanissimo, sono stato un sognatore”. Egli sognava in particolare di diventare “predicatore” e “missionario”.

Padre Oppes ha poi sintetizzato l’apostolato del Beato Allegra, in alcuni punti essenziali: 

  • L’annuncio del Vangelo per l’arte e nell’arte: il Beato Allegra vedeva nell’arte (la musica, la pittura in particolare) come un veicolo importante per l’evangelizzazione.
  • L’annuncio del Vangelo attraverso lo studio della Parola di Dio: organizzava momenti formativi, anche insieme alle altre denominazioni cristiane.
  • L’annuncio del Vangelo nel dialogo ecumenico.
  • L’annuncio del Vangelo nel dialogo tra le religioni: era ben consapevole della ricchezza della tradizione spirituale e religiosa della Cina e spingeva perché i testi della cultura e del pensiero cinese fossero presenti in biblioteca per conoscerli e approfondirli.
  • L’annuncio del Vangelo più “spicciolo”, cioè nella “pastorale ordinaria”, come frate e come prete.

Ha preso poi la parola poi il Professor Witold Salamon OFM, della Commissione Scotista Internazionale, con un intervento dal titolo: “Il Beato Gabriele Maria Allegra OFM – un frate dedito alla venerazione del beato Giovanni Duns Scoto e alla divulgazione del suo pensiero”. Tre sono state le principali questioni affrontate:

  1. La venerazione di Padre Allegra verso la Beata Vergine Maria, concepita senza peccato originale e assunta in cielo in anima e corpo, nonché verso l’insigne fautore dell’Immacolata e Assunta, ovvero il Beato Giovanni Duns Scoto – come emerge anche dalla corrispondenza del Beato Allegra con Carlo Balić, Primo Presidente della Commissione Scotista. 
  2. La Cristologia scotiana nella visione del Beato Allegra. Su richiesta di Carlo Balić, il Beato  Allegra intervenne al grande Convegno scotista in occasione del settimo centenario della morte di Giovanni Duns Scoto, svoltosi a Edimburgo e a Oxford nel settembre 1966. Oggetto del suo intervento fu un resoconto dei suoi colloqui a Pechino tra il 1942 e il 1945 con lo scienziato gesuita Teilhard de Chardin. Durante questi colloqui il Beato Allegra ebbe l’occasione di presentare una sintesi della cristologia scotiana a Teilhard de Chardin.
  3. Il profilo “scotistico” del Beato Allegra nelle sue “Memorie”. Ciascuno dei cinque quaderni delle “Memorie”, scritte pochi mesi prima della morte del Beato portano il titolo: “Et ideo multum tenemur Ei” (“perciò molto dobbiamo a Lui”). Con questa citazione di Scoto, il Beato Allegra esprime la gratitudine verso il Figlio di Dio fattosi carne che soffrì e morì in croce per noi, mosso da quell’amore che è l’essenza intrinseca di Dio. Nel lavoro di traduzione della Sacra Scrittura in cinese, Padre Allegra invocava ogni giorno l’intercessione del Servo di Dio Duns Scoto quale Patrono secondario dello Studium Biblicum di Pechino e poi di Hong Kong, celebrandone ogni anno l’8 novembre una commemorazione del beato transito.

Il successivo intervento è stato tenuto da Don Giuseppe Li Xianmin, Studente di Dottorato del Pontificio Istituto Biblico. Don Giuseppe spiega che dopo essere arrivato in Cina, nel 1935 il Beato Allegra iniziò a tradurre in modo indipendente la Bibbia dai testi originali in cinese. Lo aiutarono nella traduzione, i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento tradotti dal padre gesuita Luis Antoine de Poirot, che aveva trovato nella biblioteca della Chiesa del Nord (“Beitang”) a Pechino, per cui spese 6.000 dollari americani per scattare foto di questa traduzione. Inoltre, con l’aiuto dell’Arcivescovo Mario Zanin, chiese riuscì ad avere una copia della traduzione del Nuovo Testamento di Jean Basset, delle Missions Etrangères de Paris (MEP) dal British Museum di Londra.

Dal 1935 al 1944, il Beato Allegra completò da solo la traduzione dell’Antico Testamento. Nel 1945 fondò uno “Studium Biblicum” con la partecipazione di sacerdoti cinesi per aiutarlo a rivedere la traduzione. Nel 1948 lo Studium Biblicum si trasferì a Hong Kong, nel 1961 la traduzione dell’Antico e del Nuovo Testamento fu completata in più volumi e nel 1968 in un unico volume. Poi lo Studium Biblicum iniziò un nuovo lavoro di revisione, ma purtroppo nel 1976 il Beato Allegra morì. Nel 1975, lo Studium Biblicum pubblicò anche un “Dizionario Biblico” cinese, che raccoglie tutti i vocaboli biblici importanti. 

Nel 1993, la Bibbia tradotta sotto la guida del Beato Allegra – in cinese “Sigao” fu stampata per la prima volta a Pechino per la Cina continentale. Il 18 ottobre 2018 si è tenuta a Pechino una cerimonia in cui è stata lanciata un’edizione speciale in occasione del 50° anniversario dell’uscita della “Bibbia di Sigao – com’è chiamata in cinese. Tra il 1993 e il 2018, in Cina, sono state pubblicate e distribuite più di 4,5 milioni di copie della “Bibbia Sigao”.

Nel corso degli anni ho incontrato diversi cattolici cinesi che hanno letto tante volte la Bibbia intera anche 10, 20 volte o anche di più” – racconta Don Giuseppe. “Durante la pandemia di Covid, sotto le restrizioni del lockdown, molte famiglie cinesi iniziarono un piano di lettura della Bibbia pianificando di leggere la Bibbia intera in un anno, o alcuni mesi. In questo modo la fede cresce con il nutrimento della Parola di Dio quando non c’è possibilità di ricevere i sacramenti”.

Nel concludere il suo intervento, Don Giuseppe conferma che la Bibbia del Beato Allegra è apprezzata in Cina per la sua traduzione eccellente, elegante e accurata. Col passare del tempo, molte espressioni o termini impiegati andrebbero aggiornati, e con gli approfondimenti delle ricerche bibliche, una revisione accurata aiuterebbe la perfezione della traduzione: “Auspichiamo che attraverso l’opera magnificente del Beato Allegra e dei suoi collaboratori, la Parola di Dio si divulghi più ampiamente in Cina, e con il nutrimento della Parola di Dio, il Popolo Cinese conosca i misteri salvifici di Dio Padre”. 

Per il successivo intervento è stata raccolta una testimonianza dalla Professoressa Chiara Allegra, pronipote del Beato Allegra in quanto figlia di un nipote diretto del Beato – Saro Allegra – figlio di un fratello del Beato. Essendo nata due anni dopo la morte del Beato, Chiara Allegra non ha potuto conoscerlo personalmente, ma ha sempre vissuto in un’atmosfera familiare di fede, nella quale l’esperienza spirituale e missionaria dello “zio” – come è sempre stata abituata a chiamarlo – le è stata trasmessa. Sulle ginocchia delle zie, ascoltava le storie “di questo fraticello”, non troppo alto, semplice, umilissimo, ma “che era un grande della Chiesa”, che era partito missionario per annunciare il Vangelo al grande Popolo Cinese. Successivamente, Chiara ebbe modo di leggere le molte lettere che il Beato Allegra scriveva alla famiglia, che amava profondamente anche a distanza, e a cui scriveva collettivamente o individualmente. Per Chiara, l’amore e la passione che il Beato metteva nell’opera di traduzione della Bibbia in cinese nasce proprio dalla famiglia, chiesa domestica, che gli aveva trasmesso la fede, ponendo al centro Gesù.

Chiara ricorda che tutte le persone che lo hanno conosciuto personalmente avvertivano un senso di pace e di beatitudine, alla presenza del Beato Allegra. Era un uomo sempre sorridente; incoraggiava tutti a vivere nella gioia, che – diceva lui – “è mezza santità. Amava profondamente la Madonna, la nostra Madre Celeste: tutte le lettere che scrive iniziano con l’invocazione “Ave Maria”. Nelle lettere emerge la sua profonda attenzione verso l’altro. Tutti per lui erano “prediletti”. Spesso esortava alla preghiera quotidiana e a tenere fisso lo sguardo negli occhi di Maria. A volte, facendo riferimento ai suoi problemi di salute, dice che ciò che è più importante è che Dio mi dia la giusta salute per compiere la “grande traduzione della Bibbia”. 

Nel concludere la sua testimonianza, Chiara Allegra cita una lettera del Beato del 1929 o 1930: “Ringrazio sempre il buon Gesù, che mi ha dato dei genitori così cristiani, e lo prego che vi benedica, genitori amatissimi, affinché la nostra casa sia come la casa di Lazzaro, Marta e Maria a Betania, dove egli trovava immancabilmente dei cuori amici. Gesù vuole che la nostra famiglia sia una famiglia di Suoi amici intimi, affinché scacciato da tanti cuori trovi nei nostri l’amore che cerca invano altrove”. 

Mons. Francesco Pesce, appassionato di Cina, l’intervento conclusivo. Ricordando che il Beato Allegra arrivò in Cina quando aveva solo 24 anni, sottolinea che per più di 30 anni si dedicò anima e corpo alla traduzione completa della Bibbia in lingua cinese dai testi originali, che a quel tempo la Chiesa Cattolica in Cina ancora non possedeva – a differenza invece dei Protestanti. Con questo suo sacrificio di una vita voleva infatti “dare Cristo alla Cina e la Cina a Cristo”. 

Mons. Pesce condivide quanto ha appreso direttamente dai “Fratelli e Sorelle cinesi che ho incontrato nel mio cammino”, quanto cioè questa traduzione sia autorevole e amata al tempo stesso in Cina. Molti di loro ne sottolineano soprattutto il rigore e la fedeltà ai Testi Originali; altri la bellezza del testo – che è poi anche uno dei principi cinesi della traduzione (xin-da-ya – cioè fedeltà, comprensibilità ed eleganza); altri ancora il fatto che da sempre l’hanno utilizzata e quindi è a loro familiare, è per loro “la Bibbia per eccellenza”. Questo dopo 55 anni dalla sua pubblicazione.

Oltre all’eroicità per l’impresa che giovanissimo si era impegnato a portare a termine di fronte all’immagine della Madonna della Ravanusa di cui era molto devoto e a cui confidò speranze e preoccupazioni circa il lavoro di traduzione della Bibbia, sottolinea Mons. Pesce che del Beato Allegra colpiscono la gioia e serenità che emanano dal suo volto, nelle foto che possediamo. Lo vediamo spesso sorridente, con un sorriso che emana calore e pace nello stesso tempo, ed è indice di quella “povertà di spirito” che solo un rapporto profondo con Dio e una vita di preghiera possono donare. Prima di ogni sessione scriveva sempre un’invocazione o una preghiera alla Madonna. Per il Beato, la versione della Bibbia “dev’essere opera di pietà e di sana scienza biblica”.

Ciò non significa che questa impresa fosse tutta – potremmo dire – “rose e fiori”. Troviamo nei suoi scritti anche momenti molto umani, dove il peso e le difficoltà del lavoro si facevano sentire. Eppure, nell’umiltà e senza clamori riuscì a portare a compimento questa impresa. Gli erano di conforto le parole che gli aveva mandato a dire Papa Pio XI, che aveva trascritte dietro una foto del Pontefice e rilesse molte volte come incoraggiamento: “Dite a questo padre che nihil impossibile est oranti, laboranti et studenti. Ditegli che avrà molto da soffrire, ma non si abbatta. Lavori con costanza. Io su questa terra non vedrò quest’opera, ma dal Cielo pregherò per lui”.

Conclude, Mons. Pesce: “Dal Cielo, sono sicuro, il Beato Allegra prega e intercede per noi. Invochiamolo, conosciamolo meglio, lasciamoci ispirare dalla sua testimonianza”.

Foto: ©Francesco Pesce

Il Beato Gabriele Maria Allegra – breve biografia

Il Beato Gabriele M. Allegra nasce a San Giovanni la Punta (CT) il 26 dicembre 1907. Cresciuto in una famiglia umile e profondamente cristiana, diventa giovanissimo frate minore francescano. Ordinato sacerdote nel 1930, parte missionario in Cina l’anno successivo. E per trent’anni si dedica al suo sogno di traduzione della Sacra Scrittura in cinese, fondando lo Studio Biblico, prima a Pechino, poi trasferito ad Hong Kong, tutt’oggi attivo.

Foto: ©Gabriele fra le Genti Onlus

Uomo dotato di una straordinaria intelligenza, in ogni campo della cultura e della lingua ma soprattutto frate umile, nel 1955 riceve la laurea Honoris Causa in Sacra Teologia, come riconoscimento alla sua biblica cultura e all’immenso lavoro di traduzione. Mai trascura la vita religiosa e sacerdotale e la carità verso il prossimo più bisognoso. Testimone di una vita interiore piena di Dio, è la gioia che contraddistingue la sua personalità e santità.

Muore ad Hong Kong il 26 gennaio del 1976.

Il 29 settembre 2012 viene Beatificato ad Acireale (Catania), dove riposa il suo corpo nella chiesa di S. Biagio del Convento dei Frati Francescani.

Foto: ©Francesco Pesce

La casa Natale del Beato Allegra

 La casa natale del Beato fra’ Gabriele si trova a Giovanni La Punta, in provincia di Catania. Acquistata dalla Provincia dei frati Minori di Sicilia il 10 maggio 2017, grazie principalmente alle donazioni dei fratelli cristiani cinesi, è stata affidata con comodato d’uso gratuito alla gestione dell’Associazione “Gabriele fra le genti ONLUS”.

Foto: ©Francesco Pesce

Dopo il restauro, è divenuta luogo di accoglienza per tutti e di spiritualità e ospita una semplice ricostruzione storica della vita del Beato e della sua famiglia.

È casa per bambini e ragazzi, per adulti ed anziani, per chi ha bisogno di una parola di conforto o di sostegno, di guida e orientamento. Casa di gioia soprattutto.

Contatti per visite e pellegrinaggi:

Gabriele fra le genti Onlus

Casa Natale Beato Gabriele M. Allegra

Via Soldato Torrisi, 16

95037 S. Giovanni La Punta (Catania)

http://www.gabrielefralegenti.org

gabrielefralegenti@gmail.com


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IL coraggio della Pace

“All’inizio del nuovo anno, tempo di grazia che il Signore dona a ciascuno di noi, vorrei rivolgermi al Popolo di Dio, alle nazioni, ai Capi di Stato e di Governo, ai Rappresentanti delle diverse religioni e della società civile, a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo per porgere i miei auguri di pace ”.Papa Francesco desidera ricordare nel suo Messaggio per la pace di questo anno, intitolato Intelligenza artificiale e pace, che tutti siamo responsabili nella costruzione della pace, e desidera anche rinnovare gli sforzi di tutte le religioni e degli uomini di buona volontà per costruire un mondo pacificato. Quando noi riflettiamo sulla Pace,dobbiamo liberarci da una  pre comprensione  che ne fa quasi un fatto  irrealizzabile  e credere  invece  come essa sia non solo possibile ma anche una vocazione per ogni uomo. Gesù poi sulla Croce, ci ricorda San Paolo, ha distrutto in sé l’inimicizia, ha distrutto le barriere  che separano gli uomini. Gesù non è solo un annunciatore di pace, come ce ne sono stati molti nella storia; Lui  ha realizzato in sé le condizioni vere per la pace.  Anche le religioni spesso sono rimaste alla pace come annuncio, ma alla prova dei fatti non sembra che siano riuscite a creare un mondo pacificato. L’annuncio del vangelo della pace non basta, bisogna distruggere le inimicizie, i muri, i pregiudizi, proprio come ha fatto Gesù.Ricorda spesso Papa Francesco:”solo la pace è santa, non la guerra”. Anche le parole che diciamo con tanta facilità – «siamo tutti fratelli» – sono parole molto impegnative e non possiamo più dirle se non cominciamo da noi stessi a distruggere, le pareti di separazione che ci separano dagli altri. Non separazione ma comunione, a partire dalla preghiera. Questo è possibile farlo sempre, ad ogni livello, in ogni casa, in ogni ufficio, in ogni momento della giornata. La pace è prima di tutto un dono di Dio, per ogni uomo e per ogni religione. La legittima paura di perdere ognuno la propria identità è una cosa pericolosa perché rischia di far perdere di vista una cosa ancora più grande, che è la vita stessa, dove lo Spirito soffia quando e dove vuole ; chi vuole ingabbiare lo Spirito con “una legge fatta di prescrizioni e di decreti”(Ef 2,15) si illude e non può cogliere l’attualità dello Spirito.  La pace non si costruisce per legge e decreti, e non si costruisce neanche con la paura di perdere qualche cosa, ma studiando amando e servendo il mondo,come diceva Paolo VI, disposti anche a sacrificare non la propria identità ma se necessario alcune tradizioni fino a quando “Dio sarà tutto in tutti”.(I Cor 15,28)


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Cristo Re di una Pace sempre possibile

Papa Francesco ha celebrato, venerdì 27 ottobre, una Giornata di digiuno, di preghiera e di penitenza per la pace nel mondo. “Tacciano le armi! Si ascolti il grido di pace dei popoli, della gente, dei bambini! Fratelli e sorelle – ha detto il papa – la guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione, aumenta l’odio e moltiplica la vendetta. La guerra cancella il futuro. Esorto i credenti a prendere in questo conflitto una sola parte: quella della pace; ma non a parole, con la preghiera, con la dedizione totale”. Il Pontefice ha presieduto un momento di preghiera in San Pietro, e ha chiesto a tutte le Chiese di partecipare, con iniziative che coinvolgessero il Popolo di Dio; numerosissime sono state le parrocchie in Italia e nel mondo che hanno accompagnato il papa e la Chiesa in questo momento di raccoglimento e preghiera.

Siamo in un’ora di buio ha detto Francesco.

Il mondo oggi sembra un immenso calvario. Il Calvario è, quel luogo in cui si crocifiggono i giusti. Nel mondo ce ne sono tantissimi di calvari! È lì che dobbiamo entrare per migliorare il mondo; è lì che si costruisce una piena riconciliazione che abbia come misura gli ultimi.

La pace infatti, come la storia insegna, non verrà mai da nessuna vittoria, ma solo dalla riconciliazione.

Un mondo di giustizia è la condizione previa alla pace; Il nostro è un mondo ingiusto verso tanti uomini e donne e la guerra ne è la conseguenza.

Ogni popolo, ogni nazione, ogni cittadino del mondo ha diritto di difendere la propria libertà e le conquiste della sua civiltà; ma non fa parte del messaggio di Cristo dire che quando uno ha un “regno” se lo deve difendere con la spada. Gesù dice a Pilato: “se il mio regno fosse come il tuo, i miei avrebbero combattuto”. Combattere con la spada non è secondo Cristo. In fatti la nostra storia intera è solcata da fiumi di sangue tutti versati in nome del principio che senza una spada un regno non si regge. La conseguenza è che siamo sempre in guerra.

Dobbiamo chiedere invece con forza alla politica, ai regni di questo mondo cioè, la difesa della dignità e della libertà dell’uomo, di ogni uomo.

Dobbiamo chiedere di fare la pace, ma quella vera però. C’è da temere sia quanto i titolari del potere litigano ma anche quando si danno la mano. Non per nulla Gesù fu crocifisso quando Pilato ed Erode fecero la pace su di Lui, sulle sue spalle.

Preghiamo per una pace non sulle spalle della povera gente. Per esempio una pace che preveda il proseguimento delle spese per mantenere l’equilibrio degli armamenti, e quindi affama mezzo mondo, non la possiamo chiamare pace.

Gesù Re della pace ha patito la violenza del potere.

Quel crocifisso, quel Figlio dell’uomo il Padre lo ha resuscitato, lo ha costituito Signore! dove? Su quale trono? In nessun trono. Il trono di questo Re è la coscienza di quegli uomini che credono alla misericordia, alla pace, al dialogo, all’ecumenismo, alla fraternità universale e per questa fede sono disposti a dare la vita.

Noi non sappiamo come sarà, il futuro; sappiamo però come tutto è cominciato: Dio ha creato il mondo e ha detto che era cosa buona; questo sigillo di bontà resta nonostante tutte le cattiverie di cui l’uomo è capace, nonostante tutte le guerre. Il bene non sarà domani ma ci accompagna fin dall’inizio.

«Ti benedica il Signore e ti protegga. il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace». Questi versetti del Libro dei Numeri accompagnano la preghiera della Chiesa all’inizio di ogni anno civile. Ci è donato, di camminare nel tempo come figli benedetti. E’ il dono della salvezza  

Paolo, nella lettera ai Galati, colloca il dono della salvezza nel passaggio dalla condizione di schiavitù nei confronti della legge alla condizione della libertà dei figli. Vivere la libertà dei figli con un realismo al quale viene donato l’essenziale. Gesù ci ha salvato dal superfluo e ci ha donato l’essenziale.

L’essenziale sono gli affetti, e le piccole/grandi cose del vivere quotidiano, proprio come il pane quotidiano che chiediamo nel Padre Nostro.

L’essenziale è la Pace. La Pace di Cristo che ha pagato per tutti noi un prezzo altissimo. Anche noi dobbiamo pagare un prezzo alla Pace; la storia della nostra salvezza si apre con la strage degli Innocenti e si chiude con il Calvario, non dimentichiamolo.

L’uomo di pace non rinuncia a difendere la giustizia, né confonde il bene col male prendendo una attitudine rassegnata o neutrale. L’uomo di pace è una “pecora” che non intende farsi “lupo” come ricordava don Primo Mazzolari. Ci vuole un grande atto di fede per sorreggere la pace.

Ecco alla fine la cosa veramente essenziale, la Fede; la pace non si può fare senza la fede. Per questa fede, preghiamo, operiamo il bene, e alziamo lo sguardo riconoscendo la dignità dell’uomo immagine e somiglianza di Dio.


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Il grido di angoscia e disperazione dei poveri dovrebbe svegliarci dal letargo

Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2023*

In questi giorni l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) sta ospitando una serie di eventi collegati con la Giornata Mondiale dell’Alimentazione, che si celebra ogni anno in ottobre. 

Alla cerimonia annuale che si è tenuta lunedì mattina 16 ottobre, Papa Francesco ha rivolto un messaggio al Direttore Generale della FAO – Qu Dongyu – attraverso Mons. Fernando Chica Arellano, Osservatore Permanente della Santa Sede presso la FAO, il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD) e il Programma Alimentare Mondiale (PAM) – le tre agenzie delle Nazioni Unite del polo agro-alimentare con sede a Roma. 

All’inizio del suo Messaggio – letto in spagnolo ma pubblicato anche in inglese –, il Santo Padre ricorda “molti dei nostri fratelli e sorelle che soffrono la povertà e lo scoraggiamento”, “il cui grido di angoscia e disperazione dovrebbe svegliarci dal letargo che ci attanaglia”. Senza mezzi termini, Papa Francesco afferma che “la condizione di fame e malnutrizione che ferisce gravemente così tanti esseri umani è il risultato di un accumulo iniquo di ingiustizie e diseguaglianze”, e questo riguarda non solo l’accesso al cibo – continua il Messaggio – ma anche a tutte le risorse fondamentali che restano inaccessibili per molti. Ciò è “un insulto che dovrebbe far vergognare tutta l’umanità e far mobilitare la comunità internazionale”. 

Facendo eco al tema della Giornata di quest’anno – l’acqua è vita, l’acqua è cibo. Non lasciare nessuno indietro – il Papa spiega che l’acqua “garantisce la sopravvivenza”, ma è una risorsa minacciata in “quantità e qualità” da diversi fattori, tra cui il cambiamento climatico, cosicché “i nostri fratelli e sorelle soffrono di malattie o muoiono proprio a causa dell’assenza o della scarsità di acqua potabile”.  Secondo il Pontefice, “l’accesso all’acqua potabile è un diritto umano fondamentale e universale”, che richiede investimenti infrastrutturali, soprattutto nelle aree più povere e remote. Il Messaggio evidenzia poi l’importanza dell’acqua per la sicurezza alimentare, in quanto elemento essenziale per la produzione agricola. È pertanto necessario promuovere tecnologie e pratiche per una gestione sostenibile dell’acqua, per contrastarne la scarsità e preservarne la qualità. A questo riguardo, ci permettiamo di notare quanto sono importanti – oltre alle tecnologie e alle infrastrutture – approcci istituzionali partecipativi con il coinvolgimento delle comunità, che hanno dato prova in molti casi di una gestione dell’acqua – e più ampiamente delle risorse naturali – più inclusiva e sostenibile.

Alla fine del messaggio, il Papa nota con rammarico che “risorse finanziarie e tecnologie innovative” – che potrebbero essere usate per risolvere i problemi collegati all’acqua – vengono “dirottate verso la produzione di armi e il commercio”. Concludendo, il Papa ribadisce la disponibilità della comunità cristiana a fare la propria parte: “La Chiesa non si stanca mai di seminare quei valori che costruiranno una civiltà che trova nell’amore, nel mutuo rispetto e nell’aiuto reciproco una bussola che guidi i propri passi, volgendosi soprattutto a quei fratelli e sorelle che soffrono maggiormente, come coloro che soffrono la fame e sete”.  

*Le citazioni dal Messaggio sono una nostra traduzione in italiano


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Laudate Deum: Siamo responsabili del Creato, della “terra che è di Dio”

Riflessioni sull’Esortazione Apostolica “Laudate Deum” di Papa Francesco sulla crisi climatica

È stata resa pubblica il 4 ottobre scorso nella festa di San Francesco l’Esortazione Apostolica “Laudate Deum, che si pone in continuità con  l’Enciclica “Laudato Si’ sulla  cura della casa comune pubblicata nel 2015. La Laudate Deum tratta una questione tanto complessa quanto specifica e specialistica – la crisi climatica -, che sta causando un “deterioramento globale dell’ambiente”. Poiché tale questione sta a cuore a tutti noi“il clima è un bene comune, di tutti e per tutti” (23), e “la terra è essenzialmente una eredità comune, i cui frutti devono andare a beneficio di tutti” (93), l’Esortazione Apostolica è indirizzata “a tutte le persone di buona volontà”. 

Con un tono e un linguaggio che non nascondono – anzi esplicitano in maniera drammatica – la gravità della crisi, Papa Francesco condivide ancora una volta dopo la Laudato Si’ le sue “accorate preoccupazioni” con “sorelle e fratelli del nostro pianeta sofferente” – la nostra “casa comune” -, paventando presto un “punto di rottura” (2) e illustrando alcuni degli effetti del cambiamento climatico che già si stanno facendo sentire su tutta l’umanità, particolarmente sulle “persone più vulnerabili” (3). Tra essi – come evidenziano agenzie e istituzioni internazionali specializzate – eventi metereologici estremi quali inondazioni, siccità, carestie, incendi, riscaldamento degli oceani; la perdita della biodiversità e il degrado delle risorse naturali, tra cui terra e acqua (che costituiscono la principale fonte di sostentamento nei Paesi poveri e in Via di Sviluppo, che dipendono ancora in gran parte dall’agricoltura), con conseguente aumento di conflitti per l’accesso (anche questo spesso limitato) a tali risorse; cattivi raccolti, che aumentano fame e povertà;  migrazioni forzate, soprattutto dai “piccoli Stati insulari in via di sviluppo”, molti dei quali rischiano nei prossimi decenni di essere sommersi a causa dell’innalzamento del livello del mare dovuto allo scioglimento dei ghiacci; aumento degli sfollati interni, tra cui anche minori.

Una questione, quella del cambiamento climatico, che per il Santo Padre non è “meramente” di natura ecologico-ambientale – come i “non specialisti” potrebbero essere indotti a pensare – ma strettamente legata “alla dignità della vita umana” (3). 

Il cambiamento climatico ha infatti un’origine, una portata e implicazioni più ampie, di natura sociale e morale, con ulteriori implicazioni economiche, distributive e politiche, che costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità. Ammonisce il Santo Padre che “cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale” (57). E ancora: “Supporre che ogni problema futuro possa essere risolto con nuovi interventi tecnici è un pragmatismo fatale” (57); il cambiamento climatico va trattato invece come “un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli (58). Solo affrontandolo con tale consapevolezza e prospettiva più ampie – che vanno ben al di là dell’ausilio esclusivo della “fisica” e della “biologia” nonché del “paradigma tecnocratico” – è possibile trovare risposte efficaci e adeguate, sulla strada di “uno sviluppo sostenibile e integrale” per “proteggere” e – aggiungiamo noi – salvare la “nostra casa comune”.

Riconoscere le “dimensioni sociali del cambiamento climatico”, significa riconoscere che si tratta di “più di una crisi ambientale” ed è invece una “crisi sociale”*, strettamente connessa con le diseguaglianze globali e a più livelli, cioè “tra Paesi ricchi e Paesi poveri; tra ricchi e poveri all’interno dei Paesi; tra uomini e donne e tra generazioni”*. È proprio a causa di tali diseguaglianze che “i più poveri e vulnerabili portano il peso maggiore” degli effetti del cambiamento climatico, anche se “contribuiscono in maniera minore”*. Essi subiscono anche in maniera maggiore l’impatto relativo alle misure adottate per affrontare i cambiamenti climatici, soprattutto in assenza di politiche inclusive o quando gli approcci adottati non sono formulati in collaborazione con i beneficiari e le comunità interessate*. Per aumentare la resilienza al cambiamento climatico, un aspetto importante consiste nel riconoscere il valore e cercare sinergie tra conoscenze “scientifiche”, “indigene” e “locali” (*World Bank*; **Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC).  

Tra i gruppi sociali più vulnerabili ed esposti al cambiamento climatico, su cui l’Esortazione si sofferma, vi sono i migranti, “che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale […]”. Ma anche le donne, che a causa di sistematiche diseguaglianze, sono più vulnerabili agli shock esterni. Soprattutto nei Paesi in via di Sviluppo (PVS), le donne – rispetto agli uomini – hanno un minore accesso a risorse naturali (in primo luogo la terra), input agricoli, informazione, formazione, tecnologie, capitale finanziario e mercati. Generalmente non hanno voce nei processi decisionali a livello della famiglia e della comunità e hanno un carico di lavoro estremamente pesante, in casa e sui campi, che incide non solo sulla loro salute e benessere, ma anche sulle opportunità di formazione e di impiego. Dati recenti delle Nazioni Unite mostrano che un numero maggiore di donne rispetto agli uomini soffre la povertà e la fame. Le famiglie monoparentali con a capo le donne sono tra i gruppi più vulnerabili. 

Anche i contadini e i produttori su piccola scala che vivono nei PVS sono duramente colpiti dal clima che cambia. Si tratta di coloro che producono la maggior parte del cibo che si consuma in Asia e in Africa Sub-Sahariana, usando appezzamenti di terra sotto i due ettari. Sono tra i più colpiti dipendendo in massima parte dall’agricoltura e attività correlate, ma sono tra coloro che vi hanno contribuito di meno. 

Infine, le popolazioni indigene, a causa del loro stretto legame e dalla dipendenza dall’ambiente naturale. Il cambiamento climatico peggiora la loro già difficile condizione, in particolare aumentando “esclusione politica ed economica, perdita di terra e risorse naturali, violazioni dei diritti umani, discriminazioni e disoccupazione”***.

A fronte dei dubbi suscitati da alcuni, anche nella Chiesa Cattolica, e in linea con la maggioranza degli esperti del clima e degli scienziati, l’Esortazione Apostolica sostiene l’origine umana del cambiamento climatico, che “non può più essere messa in dubbio” (11). Dal 1800 sono infatti le attività umane il principale motore del cambiamento climatico e del riscaldamento globale del pianeta, in particolare a causa dell’uso dei combustibili fossili quali carbone, petrolio e gas****, come recentemente reiterato anche dall’Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC. L’Esortazione è quindi un appello a tutti noi affinché – ciascuno secondo le proprie possibilità e responsabilità – inverta la rotta, considerando che i cambiamenti del clima non solo sono “diffusi, rapidi e in aumento” (Nazioni Unite e IPCC), ma alcuni di essi sono “irreversibili” (15), quali l’innalzamento del livello dei mari, il riscaldamento degli oceani e lo scioglimento dei ghiacci. I nostri comportamenti e le nostre scelte individuali ma anche le decisioni politiche sono quindi la via più efficace e soprattutto possibile per uscire da questo cammino che può essere senza ritorno. 

Sul piano della cooperazione multilaterale, l’Esortazione nota una “debolezza della politica internazionale” (34-36), incoraggia “gli accordi multilaterali tra gli Stati” (34) e auspica un abbandono del “vecchio multilateralismo”, per “riconfigurarlo e ricrearlo alla luce della nuova situazione globale” (37). Non entra nello specifico su alcune questioni chiave alla base delle necessità di rilanciare un multilateralismo genuino e di riformare alcune istituzioni e processi multilaterali, quali la mancanza di una reale volontà politica a prendere in mano la situazione e ad affrontare oltre parole, una volta per tutte, questioni su cui si dibatte da decenni; le difficoltà di esercitare una leadership etica forte e condivisa; l’eccessiva burocratizzazione; la duplicazione di alcune iniziative e la scarsa cooperazione che possono generare inefficienze e spreco di risorse; un rigurgito di nazionalismo, che va nella via opposta a una genuina cooperazione tra gli stati e a una ricerca di convergenze e sinergie per un bene più alto e privo di interessi di parte, soprattutto in favore dei Paesi più poveri e svantaggiati.

Concludiamo questa semplice riflessione con delle domande, che forse possiamo trovare in filigrana nel testo dell’Esortazione: che mondo vogliamo trasmettere a chi verrà dopo di noi? Ma anche – considerando che gli effetti del clima si stanno già facendo sentire – in che mondo vogliamo vivere i nostri anni? Come vivere una globalizzazione che non sia quella della indifferenza? Come la mia esperienza particolare può contribuire al bene di tutti? Come cristiani, cosa possiamo fare – sul piano individuale e collettivo – e se abbiamo responsabilità sociali, istituzionali e politiche? Come far dialogare e collaborare scienza e fede, tecnica e fede, fede e politica, per un interesse super partes e per il bene comune? 

In un’emergenza pressante come quella del cambiamento climatico che minaccia il Creato che ci è stato dato in dono e in eredità, siamo chiamati ad agire con urgenza, senza se e senza ma, senza ambiguità e andando oltre alle dichiarazioni d’intento e alle analisi che ormai sono chiare e approfondite. Bisogna – come cristiani in particolare – essere testimoni credibili e portatori della speranza “che non delude” (Rm 5,1).

https://www.worldbank.org/en/topic/social-dimensions-of-climate-change;

** https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg2/downloads/report/IPCC_AR6_WGII_SummaryForPolicymakers.pdf

*** https://www.un.org/esa/socdev/unpfii/documents/backgrounder%20climate%20change_FINAL.pdf

**** https://www.un.org/en/climatechange/what-is-climate-change#:~:text=But%20since%20the%201800s%2C%20human,sun%27s%20heat%20and%20raising%20temperatures; https://www.un.org/en/climatechange/science/mythbusters


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Papa Francesco: una Lettera per il presepe

Papa Francesco, nel 2019, ha firmato una Lettera apostolica, Admirabile signum, in cui racconta il significato e il valore di una delle più belle tradizione delle famiglie nei giorni precedenti il Natale.

PresepeGreccio

Durante la benedizione, avvenuta  nel piccolo paesino in provincia di Rieti, il Papa ha ricordato il presepe vivente voluto da San Francesco proprio a Greccio nel Natale del 1223, un gesto semplice che ha riempito di gioia tutti i presenti e ha rappresentato una grande opera di evangelizzazione.

Nella Lettera, Francesco ricorda i veri sensi racchiusi nel presepe: il cielo stellato, buio e silenzioso, come la notte che spesso circonda la nostra vita, in cui Dio non ci lascia soli.

Case e palazzi antichi, rovinati che compongono il paesaggio di un’umanità decaduta, che Gesù può guarire e riparare.

La natura, con le sue bellezze vegetali e animali, montagne, corsi d’acqua e ruscelli, pecore, che rappresentano tutto il creato che partecipa a questo momento di festa.

Gli angeli e la stella cometa, che invitano a “metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore”.

Pastori e mendicanti, “i più umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione” e tutti quei lavori che rappresentano il quotidiano, “la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni”, il fornaio, il fabbro, chi porta l’acqua, chi suona musica o gioca.

Nella mangiatoia Maria è “la testimonianza di come abbandonarsi nella fede alla volontà di Dio”, Giuseppe “il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia” e il piccolo Gesù è Dio che “si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le nostre braccia”.

E con l’arrivo dell’Epifania ecco che si avvicinano i tre Re Magi che ci “insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo”.


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Gesù Cristo si è fatto povero per voi

Riflessioni sul messaggio di Papa Francesco sulla Giornata Mondiale dei Poveri.

Oggi  nella 33.ma Domenica del Tempo ordinario  celebriamo in  tutta la Chiesa Cattolica insieme agli uomini di buona volontà la sesta Giornata Mondiale dei Poveri, che Papa Francesco ha voluto istituire  e che aveva già annunciato al termine del Giubileo della Misericordia. Come segno di condivisone, il Papa anche in questo anno ha invitato  a pranzo numerosi poveri nell’Aula Paolo VI, l’aula delle udienze che porta il nome del grande pontefice della Populorum Progressio, dopo aver celebrato la Messa in San Pietro. Ieri sono state celebrate numerose Veglie di preghiera in particolare in memoria di San Lorenzo, martire romano che ha riconosciuto i poveri, come vero tesoro nella chiesa.

“Invito la Chiesa intera e gli uomini e le donne di buona volontà a tenere fisso lo sguardo, in questo giorno, su quanti tendono le loro mani gridando aiuto e chiedendo la nostra solidarietà. Sono nostri fratelli e sorelle, creati e amati dall’unico Padre celeste” (Messaggio per la I giornata mondiale dei poveri al n 6).

“Non amiamo a parole, ma con i fatti” era  il titolo del primo messaggio di Papa Francesco per questa giornata. Il Papa parlò dei “mille volti segnati dal dolore, dall’emarginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte della schiavitù, dall’esilio e della miseria, dalla migrazione forzata” ( n 5).

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Quest’anno nella sesta edizione di questa giornata il titolo è:”Gesù Cristo si è fatto povero per voi” (cfr 2 Cor 8,9).

Così scrive il papa:” La povertà che uccide è la miseria, figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza e della distribuzione ingiusta delle risorse. È la povertà disperata, priva di futuro, perché imposta dalla cultura dello scarto che non concede prospettive né vie d’uscita. È la miseria che, mentre costringe nella condizione di indigenza estrema, intacca anche la dimensione spirituale, che, anche se spesso è trascurata, non per questo non esiste o non conta. Quando l’unica legge diventa il calcolo del guadagno a fine giornata, allora non si hanno più freni ad adottare la logica dello sfruttamento delle persone: gli altri sono solo dei mezzi. Non esistono più giusto salario, giusto orario lavorativo, e si creano nuove forme di schiavitù, subite da persone che non hanno alternativa e devono accettare questa velenosa ingiustizia pur di racimolare il minimo per il sostentamento.”(n 8)

Non sorprende la scarsa attenzione data, anche in alcuni settori  della Chiesa, alla proclamazione di questa giornata mondiale. Non sorprende ma amareggia, e tutti siamo chiamati a reagire con forza alla indifferenza verso i poveri.

Chi ha molti denari e molte sicurezze rischia di vivere come gli «spensierati di Sion» di cui parla il profeta Amos, e si costruisce un mondo tutto suo, e anche se alla sua porta ci sono migliaia di Lazzari nemmeno se ne accorge. L’ epulone dei nostri anni a volte se ne accorge e allora fa qualche elemosina per i poveri, dona qualche vestito vecchio che non mette più, pur di non avere il disturbo dei Lazzari alla sua porta.

In tutte la Chiesa cattolica si legge spesso la parabola del Ricco Epulone ma domani Lazzaro starà come oggi. Niente cambia. Purtroppo il messaggio di Gesù è stato spesso imprigionato nel sistema e lo abbiamo un po’ reso innocuo; non incide più nella nostra vita reale. Questo è l’abisso di cui parla  il Vangelo. Inoltre tutti vediamo che l’abisso tra i Lazzari e gli epuloni si è allargato e si sta allargando a dismisura.

Noi epuloni abbiamo da secoli deciso che non si può consentire la promiscuità tra chi è dentro e chi è fuori. Lazzaro deve stare fuori dal sistema, dalle nostre città, la Bibbia direbbe dall’accampamento. Lazzaro poi non solo è escluso ma deve essere anche convinto che sia normale così, che sia giusto. L’esclusione lo tocca dentro, nella coscienza.

La nostra società però dice di ispirarsi ai grandi principi del Cristianesimo, dell’ Illuminismo, della democrazia e allora prova ( fa finta?) ad inserire dentro di se Lazzaro l’escluso, ma non ci riesce, perché dovrebbe contestare se stessa nei propri principi costitutivi. Gli immigrati sono i Lazzari del ventunesimo secolo e noi sappiamo solo allargare il fossato.

I cristiani e tutta l’umanità, non si dimentichino che Dio sta dalla parte dei Lazzari, anzi Dio in questo mondo è Lazzaro. Gesù è andato fra gli immondi per insegnare loro a smettere di dirsi immondi, a guardare le nostre città, il nostro sistema, e scoprire che il vero Lazzaro, il vero immondo è proprio il sistema. Questa è la rivoluzione cristiana. Gesù è venuto a svegliare la coscienza degli esclusi perché smettano di considerarsi legittimamente esclusi, perché sappiano che la dignità e’ un loro diritto inalienabile. Il sistema poi ha provato ad addomesticare Gesù “promuovendolo” a tutore dell’ordine ma Lui si è divincolato, andando contro ad un sistema che esclude, ribellandosi al potere politico/religioso e a quello economico. Per questo è stato crocifisso come un Lazzaro qualunque: “Come un delinquente voi lo avete appeso ad un legno” dice Pietro, nel primo discorso dopo la Pentecoste. Le Beatitudini ci dicono che i Lazzari hanno già vinto in Cristo la loro battaglia di dignità. Ora ci stanno venendo incontro, e sono milioni. Non ci vogliono distruggere, ma dirci la Parola della salvezza che è stata loro affidata. Beati i Poveri perché vostro è il Regno di Dio dirà Gesù. Vostro è il segreto della vita.

Le ricchezze non sono un fine, ma uno strumento nelle mani degli uomini; spesso sono diventate uno strumento iniquo perché l’uomo se ne è servito per dominare gli altri uomini e assoggettare interi popoli al controllo di alcune elite. Siamo arrivati nella storia perfino allo sterminio programmato e calcolato dei poveri, come ricorda ancora il profeta Amos. Grazie a Dio il progresso culturale dei popoli sta favorendo una sempre maggiore presa di coscienza, circa il bisogno di una più equa distribuzione delle ricchezze del pianeta. Alcune organizzazioni internazionali e alcune nazioni più sviluppate stanno lottando per nuovi equilibri sociali, ma la battaglia è ancora molto lunga e difficile. Gesù invita i suoi discepoli ad essere “scaltri” nell’uso delle ricchezze. Chiede ad ognuno di noi un diverso rapporto con le ricchezze sia sul piano individuale che in quello comunitario. Proprio per questo non può più bastare il gesto privato della elemosina; bisogna agire perché la ricchezza possa diventare uno strumento di liberazione e di riconciliazione tra i popoli; questa è la concretezza del vangelo, che per sua natura è un fatto sociale. La storia ci insegna che non pochi si sono allontanati dalla Chiesa e dalla fede, perché hanno ricevuto una cattiva testimonianza nell’uso del denaro e delle ricchezze. Assistiamo poi in questi anni come cristiani e cittadini del mondo a due fatti molto importanti. Papa Francesco sta testimoniando la possibilità concreta di una Chiesa povera per i poveri, ed è uno straordinario dono del Signore, un esempio che ci stimola a sempre nuova conversione. Inoltre al contempo assistiamo al fatto che molti poveri, si stanno -potremmo dire così- riprendendo il vangelo, spesso a loro nascosto, dietro parole di circostanza e umilianti elemosina. I poveri oggi sono coscienti che il vangelo è prima di tutto per loro, e non sono più disposti ad aspettare per i loro diritti e la loro dignità. Rileggiamo e meditiamo attentamente a questo proposito le parole profetiche di don Primo Mazzolari, prete povero tra i poveri al quale papa Francesco renderà onore, pregando sulla sua tomba fra pochi giorni:” io non ho mai contato i poveri, perché i poveri non si possono contare; i poveri si abbracciano, non si contano. Eppure c’è chi tiene la statistica dei poveri, e ne ha paura; paura di una pazienza che si può anche stancare, paura di un silenzio che potrebbe diventare un urlo, paura di un lamento che potrebbe diventare un canto, paura dei loro stracci che potrebbero farsi bandiera, paura dei loro arnesi che potrebbero farsi barricata.” Sta già avvenendo.


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il sacro non sia strumentalizzato dal profano. Papa Francesco in KazaKistan

E’ terminato  il 38.mo viaggio apostolico di Papa Francesco, che si è svolto dal 13 al 15 settembre in Kazakistan.

Si è così concluso il Congresso dei Capi delle religioni mondiali e tradizionali; è stata resa nota la Dichiarazione finale, nella quale si è voluto sottolineare la grande importanza del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune.

I frutti di queste giornate, alle quali per la prima volta ha partecipato un Papa saranno certamente importanti e duraturi.

Occorre mettere in evidenza il Discorso del Santo Padre, durante la Preghiera in silenzio dei Leader religiosi; un testo a nostro parere tra i più importanti del pontificato. Dopo la preghiera in silenzio dei leader religiosi, la plenaria ha riflettuto sul tema del ruolo dei leader delle religioni nello sviluppo spirituale e sociale della civiltà umana nel periodo post-pandemico. Il Papa ha voluto sottolineare tra le altre cose, la necessità di superare ogni tipo di fondamentalismo e l’importanza del ruolo pubblico della religione:” Fratelli e sorelle, il mondo attende da noi l’esempio di anime deste e di menti limpide, attende religiosità autentica. È venuta l’ora di destarsi da quel fondamentalismo che inquina e corrode ogni credo, l’ora di rendere limpido e compassionevole il cuore. Ma è anche l’ora di lasciare solo ai libri di storia i discorsi che per troppo tempo, qui e altrove, hanno inculcato sospetto e disprezzo nei riguardi della religione, quasi fosse un fattore di destabilizzazione della società moderna”.

Il Papa poi ha anche ricordato che non si deve mai giustificare la violenza, in particolare quella che usa le religioni: “Non permettiamo che il sacro venga strumentalizzato da ciò che è profano”.

 Ha colpito tutti in questo viaggio, l’atmosfera gioiosa e piena di speranza che si è notata in tutti gli ambiti, dagli apparati governativi, religiosi, fino alla gente comune. Papa Francesco è riconosciuto come uomo di pace e grande autorità morale e spirituale. Francesco Vescovo di Roma, cammina verso ogni uomo e ogni cultura, così come vorrà lo Spirito. Il dialogo si fa camminando, sottolinea spesso il Papa.

Il Dio di Gesù Cristo è il Dio dei cammini; percorriamo anche noi, ciascuno nella propria storia personale, il cammino nel dialogo interreligioso. Guardiamo oltre le difficoltà e le incomprensioni.

“Anche noi dunque, circondati da un così gran nugolo di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb12,1-2).


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Settimana Laudato Si’ 2021

Dal 16 al 24 maggio, una settimana per imparare ad ascoltare il grido della Terra e dei poveri, per provare a risolvere la crisi ecologica, per agire verso un cambiamento attraverso l’azione e la fede.

 “Rinnovo il mio appello urgente a rispondere alla crisi ecologica, il grido della terra e il grido dei poveri non possono più aspettare. Prendiamoci cura del Creato, dono del nostro buon Dio creatore”.

E’ l’invito di Papa Francesco a celebrare insieme la Settimana Laudato Si’ per il suo sesto anniversario, che quest’anno rappresenta il coronamento dell’Anno dell’Anniversario Speciale Laudato Si’.

Il 16 maggio 2020, in occasione del quinto anniversario dell’Enciclica, Papa Francesco aveva promosso la Settimana Laudato Si’ e il successivo Anno dell’Anniversario Speciale Laudato Si’. L’edizione 2021 della Settimana celebrerà la chiusura dell’Anno mostrando quanto in questo tempo le cose siano cambiate, celebrando il grande progresso che l’intera Chiesa ha compiuto sulla via della conversione ecologica.

Durante la Settimana sarà presentato uno strumento nuovo, la “Piattaforma di Iniziative Laudato Si‘”,  che servirà a riunire i principali partner ecclesiali attraverso diverse azioni ed eventi e a diffondere ulteriormente il Vangelo della Creazione attraverso un mandato missionario.


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Papa Francesco in Iraq

E’ iniziato il 33.mo Viaggio Apostolico di Papa Francesco che è arrivato nel pomeriggio in Iraq per una visita, la prima nella culla della civiltà tra i fiumi Tigri ed Eufrate, che si concluderà lunedì 8 marzo.

Photo credit: http://www.vatican.va

Una visita che ha un significato particolare e importante in una terra afflitta da tensioni etniche, religiose, dal lancio di missili, dallo spettro dell’Isis, oltre che dalla pandemia ancora in corso. Ma il Pontefice, nonostante tutto, ha deciso di far sentire la propria voce in un videomessaggio al popolo iracheno, che ha diffuso alla vigilia della Sua partenza, dove invita i cristiani, ma anche tutti i “fratelli e sorelle di ogni tradizione religiosa”, a “rafforzare la fraternità, per edificare insieme un futuro di pace”.

Sarà dunque una visita interconfessionale: il Papa incontrerà sciiti, sunniti, la comunità musulmana e la minoranza cristiana che tanto teme il risentimento dell’Isis.

Sigillo ufficiale della visita di Papa Francesco in Iraq, una palma, le bandiere dell’Iraq e del Vaticano sormontate da una colomba e sullo sfondo il Tigri e l’Eufrate. E una scritta in arabo “Siete tutti fratelli” a incorniciare l’immagine.

La tre giorni del Viaggio Apostolico è iniziato oggi, 5 marzo, con il benvenuto a Bagdad, da parte del Primo Ministro, a cui è seguita una visita con il Presidente. Sempre nella capitale, Francesco ha incontrato gli esponenti della comunità siro-cattolica nella Cattedrale di “Nostra Signora della Salvezza” a Baghdad, che fu teatro, nel 2012, di un attentato che provocò 48 vittime.

Secondo il programma ufficiale, sabato il Pontefice visiterà Najaf a sud della capitale, importante meta di pellegrinaggi e incontrerà il Grande Ayatollah Sayyd Ali Al- Husaymi Al -Sistani, la maggiore guida spirituale della comunità sciita in Iraq, per poi recarsi a Nassiriya, sulle rive dell’Eufrate per un incontro interreligioso presso la piana di Ur, patria di Abramo.

Abramo, figura venerata da cristiani, ebrei e mussulmani, diventa così il simbolo di questo viaggio, nel segno del dialogo tra le diverse confessioni.

La prima Messa del Papa in Iraq si terrà sabato sera nella Cattedrale Caldea di “San Giuseppe” a Baghdad, una delle 11 Cattedrali presenti nel Paese e uno dei centri della comunità cattolico- caldea, principale gruppo cristiano del Paese.

Domenica Francesco incontrerà le autorità religiose civili del Kurdistan iracheno a Erbil, città recentemente colpita da un attacco missilistico. Da lì il trasferimento a Mosul, vecchia roccaforte dello Stato islamico, dove si terrà una preghiera per le vittime della guerra.

Poi Qaraqosh, nella piana di Ninive, occupata dallo Stato islamico fino al 2016, dove terrà un discorso alla comunità locale nella Chiesa dell’Immacolata Concezione. Celebrazione conclusiva il pomeriggio, nello Stadio “Franso Hariri” di Erbil.

Data la situazione di emergenza sanitaria, non ci sarà folla ad attendere il Pontefice, che invita però tutti a riscoprirsi fratelli, per promuovere la giustizia e la pace, garantendo diritti umani e libertà religiosa.