ConAltriOcchi blog – 以不同的眼光看世界-博客

"C'è un solo modo di vedere le cose finché qualcuno non ci mostra come guardare con altri occhi" – "There is only one way to see things, until someone shows us how to look at them with different eyes" (Picasso) – "人观察事物的方式只有一种,除非有人让我们学会怎样以不同的眼光看世界" (毕加索)


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La Dottrina Sociale della Chiesa è un percorso spirituale

Postiamo sul nostro blog un testo pubblicato su Roma Sette edizione domenicale del 4 febbraio 2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza dell’articolo sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

Mi guardai attorno: ed ecco non c’era nessuno, nessuno che fosse capace di consigliare, nessuno da interrogare per avere risposta. (Isaia 41,28)

Siamo in un tempo della storia di non facile e forse neanche opportuna definizione; siamo un po’ spaesati, e la complessità delle situazioni non di rado assume la forma del turbamento. La tecnica si è fatta regina, non sappiamo più comunicare fra generazioni, viviamo una transizione che pare infinita e siamo quasi costretti ad ancorare le nostre speranze al passato; il presente poi è un tempo senza preghiera, e abbiamo paura del futuro.

Educare in particolare alla conoscenza della Dottrina sociale della Chiesa può oggi essere una domanda saggia e una risposta efficace, quando sono deboli non solo i saperi, ma anche i maestri e gli alunni.

La DSC non insegna un mestiere per un lavoro che fra poco non esisterà neanche più, sostituito da macchine più o meno intelligenti, ma può e deve insegnare ancora molto; come riconoscere i segni dei tempi, come ben vivere nella casa comune, come attendere da umili lavoratori nella vigna del Signore, il Suo ritorno nella gloria.

Le lampade delle vergini sagge nel vangelo di Matteo ci insegnano che la luce s’accende dentro. Non sono soltanto i movimenti esterni che decidono il senso della nostra vita; è la decisione spirituale, nei confronti del Signore che dà senso a tutto. Quel che decide non è un di più di sapere ma è un di più di amore. Noi abbiamo bisogno di questo più di amore; abbiamo bisogno che la cultura, lo studio, i saperi, siano strumenti a servizio del vangelo, non uno specchio per egocentrici e narcisisti. Abbiamo bisogno nell’attesa dello sposo, di aprire la nostra cultura; se noi non ci preoccupiamo delle attese del mondo intero, il nostro discorso non è sapiente. Potrà essere vantaggioso per un po’ di tempo, ma non sapiente. La DSC da sempre esce fuori dai perimetri del sistema per sedere accanto all’uomo e aspettare che lo sposo venga. Perché lo sposo viene proprio nell’incontro con l’uomo. E lui che ci sta cercando. 

Ecco lo sposo! Andategli incontro! Come le vergini della parabola tutti ci addormentiamo, ed è la nostra storia: tutti a volte ci siamo stancati, forse abbiamo mollato; ma nel momento più nero, qualcosa, una voce, una parola, una persona, ci ha risvegliato. 

La DSC è una profezia, che non solo quindi legge i segni dei tempi, ma annuncia la voce di Dio che non ci coglie in flagrante, ma è una voce che ci risveglia, ogni volta, anche nel buio più fitto.

La DSC guarda con gli occhi più profondi dello Spirito, la realtà, di cui la Chiesa è serva, protagonista e anche giustamente vittima; è fondamentale uno sguardo spirituale, non solo per la crescita personale, ma anche per le grandi questioni del nostro tempo. 

Imparate da me ci dice Gesù. Cristo si impara prima di tutto per rivelazione e imitazione; perché Dio è amore e noi sapienti e intelligenti corriamo il rischio di restare analfabeti del cuore.

La DSC ci insegna a vivere una diversità evangelica dentro la città, nelle istituzioni, nella scuola, nelle strade, non vendendosi alla sapienza costituita. 

Facciamo nostre le parole di San Bernardo: “Vi sono coloro che vogliono sapere soltanto per sapere: è curiosità. Vi sono coloro che vogliono sapere per essere considerati sapienti: è vanità. Vi sono coloro che vogliono sapere per vendere la loro scienza: è un turpe guadagno. Vi sono coloro che vogliono sapere per edificare sé stessi: è prudenza. Vi sono, infine, coloro che vogliono sapere per edificare gli altri: è carità”.


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il nono Concistoro di papa Francesco

Papa Francesco, ieri nel Concistoro che si è celebrato in Piazza San Pietro, ha creato 21 nuovi cardinali. La mistica francese Madaleine Delbrel, ci aiuta ad entrare nel significato profondo: «Cardinale, ovvero colui che lascia entrare nel “cardine” su cui si regge la propria esistenza, la parola di Dio».

Provengono da ogni parte del mondo, proprio per significare l’universalità della Chiesa. Nel pomeriggio, la stessa Piazza San Pietro ha accolto una Veglia di preghiera ecumenica organizzata dalla comunità di Taizè e presieduta dal Pontefice, per pregare per il prossimo  Sinodo.

Il papa ha pronunciato l’omelia e subito dopo, leggendo la formula di creazione ha proclamato i nomi dei nuovi cardinali; è seguita la professione di fede dei nuovi cardinali davanti al popolo di Dio e il giuramento di fedeltà e obbedienza a Papa Francesco e ai suoi successori.

I nuovi cardinali, si sono quindi inginocchiati davanti al Papa che ha imposto loro lo zucchetto, l’antico copricapo degli uomini anziani e quindi degni di particolare rispetto, la berretta cardinalizia, consegnato l’anello, segno di fedeltà alla propria diocesi e a tutta la Chiesa   e assegnato a ciascuno una chiesa di Roma quale segno di comunione con il vescovo di Roma.

I nuovi cardinali sono chiamati a seguire Gesù crocifisso. Quel crocifisso, quel Figlio dell’uomo il Padre lo ha resuscitato, lo ha costituito Signore! dove? Su quale trono? In nessun trono. Il trono è la coscienza di quegli uomini che credono alla misericordia, alla pace, al dialogo, all’ecumenismo, alla fraternità universale e per questa fede sono disposti a dare la vita. Dare la vita per la Chiesa e per il mondo è il servizio al quale sono chiamati i nuovi porporati. Un servizio che provvidenzialmente si sta liberando da tutti i mantelli e le corone di costantiniana memoria.

Gesù è entrato nella debolezza umana, e così sono chiamati a fare i nuovi cardinali. Questa universalità della croce è molto importante; oggi lo sentiamo di più di una volta, perché le pareti di divisione stanno cadendo tutte inesorabilmente. Non possiamo più vivere, non solo gli uni contro gli altri, ma neanche gli uni accanto agli altri. Le divisioni fra cattolici, protestanti, ortodossi, musulmani, ebrei, appartengono non al Dio crocifisso, ma alla logica della nostra finitezza. Noi  dobbiamo tendere verso una unità, che è molto più grande della unità civile politica e anche religiosa. Gli uomini sono tutti amati.


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Irrompe lo Spirito: dalla paura alla gioia di annunciare il Vangelo

Il Cenacolo che aveva visto gli Apostoli testimoni della Cena del Signore, il luogo dove tante volte si erano trovati insieme per ascoltare la Sua Parola, diventa ora un rifugio, un nascondiglio “per paura dei Giudei” – come ricorda l’Evangelista Giovanni. E ci dicono anche gli Atti: “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”(At 2,1).

Bisogna ricordare che gli Apostoli a Gerusalemme avevano pochi amici, si erano messi contro il potere religioso e quello politico, erano considerati dai più fanatici seguaci di una delle tante sette messianiche del tempo. Rischiavano la vita per il solo predicare che Gesù era il Figlio di Dio veramente morto e veramente risorto. E infatti gli Atti ci raccontano che ben presto arriva il primo martire: Stefano, che viene lapidato a morte.

Oggi quali sono le nostre paure, che ci fanno rinchiudere nei nostri gruppi? Se escludiamo la Chiesa dei martiri che come ben sappiamo esiste e resiste ancora oggi in tante parti del mondo, notiamo che anche nella Chiesa e tra i cristiani è forte la tentazione di rinchiudersi in un’esperienza di fede elitaria, spesso anche settaria, che esclude il mondo, visto come cattivo, nemico e di cui quindi si ha paura e che si tende a giudicare anziché amare. Può succedere che a volte  la nostra fede, la nostra comunità cristiana, il nostro gruppo ecclesiale, invece che essere spazio di fraternità e di annuncio del Vangelo, si trasformi in un fortino inespugnabile, dove quelli di dentro giudicano quelli di fuori e li escludono anche. “Chiesa in uscita” secondo l’insegnamento di Papa Francesco significa anche non aver paura e non giudicare, ma al contrario essere forti nella fede e allargare gli spazi dell’accoglienza.

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E’ in questo clima di paura e di chiusura che irrompe lo Spirito. “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano” (At 2,1).  In quel cenacolo diventato chiuso e impaurito, lo Spirito interviene, agisce e lo trasforma, cambia il cuore di quegli uomini sfiduciati e ricrea una nuova fraternità allargata fino ai confini della terra. Ecco perché ognuno sentiva parlare nella propria lingua nativa, ci ricordano sempre gli Atti.

Ancora oggi lo Spirito ci chiama a guardare in avanti, ad aprire gli spazi del nostro cuore, a porci in ascolto della Parola. Il Vangelo non è uno scritto da ricopiare, la Chiesa non è un museo da custodire. La comunità cristiana delle origini ha avuto il coraggio dello Spirito di accogliere nel suo seno i non-circoncisi, ha osato mettere per iscritto la Buona Notizia, ed è stata pellegrina fino ai confini del mondo conosciutoOggi sta’ a noi trasmettere allo stesso modo “il Vangelo che abbiamo ricevuto”, senza paura, vergogna, e ovunque andiamo in questo mondo globalizzato. “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26).

Non è una cosa semplice testimoniare la Chiesa della Pentecoste, perché è la Chiesa della gioia (come ci ricordava San  Paolo VI) ma anche del martirio. Nessuno si illuda di non dover pagare un prezzo, anche personale. Al contrario, vivere il Vangelo delle sacre abitudini, rinchiusi nelle sagrestie, nascosti dietro i fumi di incenso è indubbiamente più facile. Lo Spirito ci chiama invece a rischiare i sentieri della vita, a percorrere la Via (ódos), proprio come il Vangelo viene chiamato negli Atti degli Apostoli. La lingua più difficile da parlare sarà quella di chi incontriamo, di chi  ci sta di fronte, di chi sarà contro di noi, magari credendo far bene. Lo Spirito ci insegna a parlare anche quella.


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Papa Francesco: dieci anni di Vangelo

Dopo dieci anni dall’elezione, Francesco continua la sua missione

Dieci  anni fa iniziava il pontificato di Francesco, dopo un tempo difficile per la Chiesa e le dimissioni inattese di Benedetto XVI. Cominciava cosí il ministero di un Papa venuto “dalla fine del mondo” – come disse affacciandosi per la prima volta rivolgendosi ai fedeli in una Piazza San Pietro gremita da tanti romani che tradizionalmente non mancano a questo appuntamento e da tanti cattolici sparsi in ogni parte del mondo.

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Photo credit: http://w2.vatican.va

In questi dieci anni abbiamo imparato che in ogni parola, gesto e vita personale di Papa Francesco c’è un fuoco interiore che lo spinge, fino al limite delle forze, ad annunciare il Vangelo di Gesù. Questo sta facendo Papa Francesco: mettere la Chiesa, i cattolici e noi tutti davanti al Vangelo.

Paradossalmente proprio per questo, già dopo qualche mese dall’elezione del Cardinale Bergoglio a Pontefice sono iniziate da alcuni ambienti conservatori, interessati non al Vangelo ma alla politica ecclesiale, aspre critiche, una palese opposizione, talvolta anche una forte resistenza al vento nuovo portato da Francesco.

Così continuerà lungo i dieci anni di pontificato. Anzi, i sentimenti contro Francesco, in alcune frange conservatrici, si sono moltiplicati: tuttavia non dal popolo, che lo ama, ma da un mondo cattolico, spesso del “ricco” occidente, piuttosto borghese-capitalista, detentore di grandi interessi economici, che assolutamente non sopporta l’insegnamento di Papa Francesco che denuncia le ineguaglianze, le ingiustizie, le devastanti violenze delle guerre, lo sfruttamento sui più deboli, il clericalismo e la “doppia vita” nella Chiesa. Non si sopportano, insomma, i discorsi, il magistero e la testimonianza del Papa nei suoi incontri quotidiani con uomini e popoli di tutto il mondo.

Ma noi sappiamo bene che, la Chiesa, Papa Francesco, le nostre vite sono nelle mani di Dio: è il Signore che crea, fa vivere e stabilisce il nostro limite. Basterebbe credere a questa azione di Dio perché i critici del Papa si diano un pò di pace e tornino sui sentieri della fede riconoscendo a Dio la grande strategia dietro la storia e nelle vicende della Chiesa che cammina nel mondo. La Chiesa è posta nel mondo come un “segno”, un “sacramento” che rivela agli uomini l’amore universale di Dio realizzato in Gesú morto e risorto.

La Chiesa di Francesco cerca di confrontarsi ogni giorno col Vangelo: è questo il limite inaccettabile posto dai suoi detrattori. Per alcuni la Chiesa dovrebbe incentrarsi su dogmi, morale, sessualità da condannare, pericoli del comunismo, di un Islam che invade l’Europa. E’ l’ansia della paura, il timore della sconfitta, di chi si rende conto che trincerarsi nel legalismo è più facile che accettare la sfida del Vangelo – amare fino alla fine. Alcuni vogliono una Chiesa che sia centro di potere; un’istituzione forte che viene prima del Vangelo: il conflitto è qui – tra Vangelo o “istituzione forte”.

La Chiesa che i gruppi conservatori oggi rivendicano è la Chiesa della ricchezza, dell’accordo con i forti e i potenti: questi movimenti sono guidati dalla convinzione che la Chiesa nel mondo non debba presentarsi con l’umiltà e la mitezza di Gesù, ma come una forza sociale e politica che giustifichi il fondamento del suo potere. La Chiesa  annuncia la speranza del Vangelo, e cerca l’imitazione di Gesù.

Preghiamo il Signore ogni giorno per il papa affinchè il Signore lo sostenga; e preghiamo anche per noi  perché ci aiuti a mantenere sempre il desiderio, la sete di Lui . Si accresca in tutti noi la passione per il vangelo.. Cresca in noi tutti il desiderio di “fare Pasqua”. “Perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”.


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Il giardino di Adamo e il deserto di Dio

(Genesi 2-3; Matteo 4, 1-11)

Secondo il racconto della Genesi, il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo quando ancora la terra era un deserto. Questa cosa fatta di polvere divenne essere vivente grazie a un alito di vita che il Creatore soffiò nelle sue narici: come dire che l’uomo non ha vita in se stesso, ma la riceve dallo Spirito stesso di Dio e la vita rimane in lui soltanto a patto che l’uomo l’accolga quale dono di Dio.

La vita dunque per l’uomo è un dono precario. Non nel senso di dono insicuro, perché anzi Dio, con quel soffio iniziale, si impegna nei confronti dell’uomo e della sua vita. Precario nel senso di non poter sussistere se non a patto che l’uomo creda nella fedeltà di Dio e conti su di essa.

La precarietà della vita umana trova riscontro nella precarietà del rapporto tra l’uomo e la terra: è la terra davvero  un giardino, provvisto d’ogni albero necessario a nutrire la vita dell’uomo? Oppure la terra rimane per sempre un deserto inospitale, nel quale la vita è impossibile? Il testo biblico dice senza incertezza che il Signore Dio pose l’uomo in un giardino, e dice anche che al centro di quel giardino c’era l’albero della vita. Ma aggiunge anche un altro albero accanto a quello della vita, anch’esso quindi al centro del giardino: l’albero della conoscenza del bene e del male. È un albero velenoso, e Dio avverte Adamo:

“Di quell’albero non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti (Genesi 2, 17)”.

Una domanda s’impone: perché Dio ha messo un albero velenoso e proibito nel giardino di Eden? Fuori di metafora: perché Dio ha fatto l’uomo capace di peccare? perché Dio ha fatto l’uomo, pur sapendo sin dall’inizio che avrebbe peccato?

Prima di tentare una risposta a queste domande, occorre riflettere sulla loro pericolosità: può forse il vaso giudicare l’opera del vasaio? Chi è questo essere di terra che vuole giudicare l’opera di Dio? Riflettiamo: il peccato stesso di Adamo cominciò proprio di qui: dal fatto cioè che Adamo si ponesse l’interrogativo su l’opera di Dio. Ci chiediamo allora che cosa vuol dire quest’albero? Quale aspetto della nostra condizione esso intende descrivere?

La conoscenza «del bene e del male» è la conoscenza di tutto. «Conoscere» nella Bibbia vuol dire «avere esperienza»; l’obiezione di Maria all’angelo («Com’è possibile questo? Non conosco uomo») significa che non aveva avuto alcuna esperienza di rapporto con uomo.

Il misterioso albero del giardino descrive dunque un progetto, un desiderio, una tentazione, che facilmente s’insinua nella mente dell’uomo. Il progetto è quello di fare la prova di tutto e collaudare il valore di tutto, e decidere quello che serve e quello non serve alla vita dell’uomo.

«Quando voi ne mangiaste – dice il serpente – si aprirebbero i vostri occhi, e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male».

Provare tutto: s’intende tutto ciò che attrae e che appare gradito ai nostri occhi, desiderabile ai nostri appetiti, vantaggioso per incrementare la nostra esperienza. Provare tutto, ossia mettere tutto alla prova del nostro desiderio, e giudicare tutto sulla base di tale prova. Credo sia facile per ciascuno verificare quanto questo progetto continui ad affascinare l’uomo anche oggi e quanto insistentemente si produca ancora oggi l’esito descritto dalla Genesi: «Si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero d’essere nudi» – nudi, e cioè pericolosamente indifesi allo sguardo dell’altro, di Dio stesso, dunque nella necessità di nascondersi e di difendersi.

       Gesù ritorna nel deserto all’inizio del suo cammino in mezzo agli uomini. E nel deserto di nuovo riconosce la suggestione di Satana: quella di costituire il proprio desiderio quale misura di tutte le cose. Se egli trasformasse le pietre in pane, se desse strepitosa prova dei suoi sovrumani poteri proprio nel tempio, se accettasse di farsi re al modo in cui si fanno re tutti i signori di questo mondo, certo le folle lo seguirebbero: perché di queste cose tutti vanno in cerca.

Ma Gesù oppone alla suggestione di Satana la scelta della fede: non mettere Dio alla prova dei nostri desideri, non si può rendere un culto ad altro signore che non sia Dio stesso; l’uomo non può decidere da se stesso che cosa serve alla propria vita, ma deve rimettersi al Soffio di Dio, alla Parola che esce dalla sua bocca.

Il digiuno da tutto ciò che la prepotenza dei nostri desideri suggerisce come essenziale alla vita, per ritrovare la parola  sovrana e misteriosa che esce dal silenzio di Dio, è anche il programma del deserto spirituale al quale il cristiano ritorna nel tempo di Quaresima.


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Cenere Acqua e Polvere. Riflessioni sul Mercoledì delle Ceneri inizio della Quaresima

Tutti ricordiamo i nostri nonni che al fiume lavavano i panni con un po’di cenere e un po’ d’acqua. Cenere sulla testa il mercoledì che inaugura la Quaresima e acqua sui piedi la sera del Giovedì Santo; la Quaresima è significata proprio in questi due gesti semplici e profondissimi. Le maschere di carnevale sono tanto belle, ma vanno bene solo per un giorno; poi c’è la vita con la sua faccia dura e vera, il cammino di un percorso impegnativo che coinvolge ogni uomo e tutto l’uomo, proprio dalla testa ai piedi.

La Quaresima ci fa entrare nel deserto, come sanno tante famiglie, che svestite le maschere, sperimentano che la festa è finita e bisogna lottare giorno dopo giorno, e spesso entrare nel deserto. Il deserto è il luogo tipico della Quaresima, una parte essenziale della nostra vita.  Come pero’ diceva con tanta efficacia Antoine de Saint-Exupéry:” in ogni deserto c’è un pozzo, in ogni amarezza c’è il germoglio di una risurrezione inaspettata”. E’ il fatto della Pasqua l’orizzonte ultimo della Quaresima. Scrive il teologo Andrea Grillo:” Recuperare la quaresima come iniziazione festiva al mistero della Pasqua è una “grande impresa”, che noi cristiani cattolico-romani, appartenenti alla seconda generazione dopo il Concilio Vaticano II, abbiamo trovato indicata da quel grande Concilio come una delle chiavi di accesso alla nostra tradizione ecclesiale e spirituale. Rimettere in moto il meccanismo simbolico di un cammino festivo di pregustazione, di preparazione, e soprattutto di iniziazione alla Pasqua”.

Pope Francis receives ashes from Cardinal Tomko during Ash Wednesday Mass at Basilica of Santa Sabina in Rome

“Convertiti e credi al vangelo” oppure “Ricordati che sei polvere e polvere ritornerai“, diranno i sacerdoti spargendo la cenere. Fede e Umiltà sono necessarie per iniziare il cammino di conversione verso la Pasqua; basta una crisi economica e per molti manca il pane, una malattia e manca la gioia di vivere. Polvere è l’uomo. Eppure quella polvere, abitata dal soffio dello Spirito, è rimasta ancor oggi l’opera più bella di tutte. Lo Spirito irrompe nelle nostre fragilità e ci chiama ad una originaria e sempre nuova identità. Noi dobbiamo agire secondo lo Spirito, con quel coraggio fragile proprio ad ogni battezzato, e che vediamo  in ogni pagina di vangelo, e che ci fa ogni giorno uomini nuovi.

Il Signore, per mezzo del profeta Gioele che si legge come Prima Lettura del Mercoledì delle Ceneri (Gl 2,16-18) ci chiede di raccoglierci tutti insieme, giovani, vecchi, bambini, sposi, conviventi, immigrati, per accogliere l’invito a lasciarsi riconciliare con Dio, come ci ricorderà  S.Paolo nella seconda lettura tratta dalla Seconda Lettera ai corinzi ( 2cor 5,20-6,2).

 Gesù nel Vangelo (Mt6,1-6.16-18) ci esorta infine alla serietà del cammino. Anche Dio cammina e ci viene incontro e noi lo accogliamo con  la preghiera, il digiuno e l’elemosina. Queste non sono pratiche quaresimali singole e private, ma vogliono esprimere  il nostro cuore che si muove verso Dio e verso ogni uomo, da Pasqua in poi ormai mio fratello.

 La Quaresima ci aiuti a fare del nostro mondo interiore ed esteriore la  casa del Padre, dove tutti sono fratelli, e non una  casa di mercato (Gv2,16), dove tutti sono nemici e concorrenti.


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Chi è per noi Gesù?

«Chi dite voi che io sia?». Per rispondere a questa domanda di Gesù che leggiamo nel Vangelo, dobbiamo prima di tutto renderci conto di un vero e proprio “trapianto” di Spirito avvenuto nella nostra vita: «Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione» (Zc 12,10). Dio abbraccia ognuno di noi e con il dono del suo Spirito ci fa riconoscere la Sua presenza. Questo dono è per tutti perché come ci ricorda San Paolo non c’è più una salvezza per gli Ebrei e una per gli altri popoli perché Gesù ha abbattuto il muro di separazione che li divideva (Ef 2,14) ed è morto sulla croce per il mondo intero: «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).

«Chi dite voi che io sia?». Per rispondere a questa domanda dobbiamo anche chiederci chi è l’uomo. Come facciamo a rispondere circa l’identità di Gesù quando ancora siamo perplessi davanti a chi ha il colore della pelle diverso? Quando abbiamo paura delle moltitudini che vengono da lontano? Se non sapremo riconoscere e rispettare il volto dell’uomo più lontano da noi, non possiamo rispondere su chi è Gesù.

«Chi mi vuol seguire deve prendere la sua croce». Prendere la croce oggi vuol dire farsi carico del peso degli esclusi, per amore dell’uomo. Certamente in questo modo si perde la vita: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà». Perdere la vita vuol dire rischiare tutte le nostre sicurezze, mettere in questione le nostre abitudini, e quindi vuol dire in un certo senso morire. Entrare in questa morte però vuol dire salvarsi e salvare il mondo. Vediamo oggi nella nostra Europa come sia difficile allargare gli spazi e accettare le diversità. L’Europa si potrà salvare soltanto accettando il cambiamento in atto.

«Chi dite voi che io sia?». Per rispondere a questa domanda dobbiamo soprattutto pregare.“Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui” (Lc 9,18). Gesù prende coscienza della sua missione nella preghiera; capisce a poco a poco nella preghiera, l’universalità della sua vocazione. Gesù pregando incomincia a compiere la volontà del Padre, un progetto di salvezza per tutta l’umanità e per ciascun uomo.

Anche la Chiesa, ognuno di noi siamo chiamati a “vedere” nella preghiera la volontà di Dio, il suo progetto di amore per me e per tutti, e così diventare giorno dopo giorno collaboratori del Regno di Dio.


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Fiducia nel Padre o nel denaro?

Gesù aveva appena parlato  di riporre la propria fiducia nel Padre, ma subito incontra chi invece ripone  la fiducia nel denaro. Gesù ci avverte con parole molto chiare:”Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia”.”Anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni» ( Lc 12,15). Domandiamoci allora da che cosa facciamo dipendere la nostra vita, le nostre giornate, le nostre scelte. La vita vale per quello che uno possiede (anche legittimamente) o per quello che si condivide? “Stolto! Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato per chi sarà?»( Lc 12,20). Dobbiamo tutti riflettere circa il rapporto tra la nostra vita cristiana e il denaro. Non dobbiamo vivere la vita  come se fosse un valore  assoluto., dobbiamo viverla sapendo che essa è  limitata nel tempo  e solo in Gesù Cristo con la potenza della resurrezione, il limite sarà superato . L’uomo vecchio a poco a poco finisce,dice Paolo. L’uomo vecchio è anche la comunità. Noi oggi  sentiamo molto bene la vecchiaia della civiltà europea ad esempio. Non solo ma anche Il mondo intero in un certo senso  è vecchio, moribondo. Pensiamo a quello che succede intorno a noi;siamo circondati da violenza e morte che sono entrate anche nelle nostre chiese. La Buona Notizia è però che c’è qualcosa di nuovo che è nato e che supera il tempo e lo spazio. In Cristo per Cristo e con Cristo è nato in noi un uomo nuovo fatto per l’immortalità. La fede ci aiuta a recuperare le fondamenta del nostro essere, il principio e fondamento nel quale siamo stati creati e redenti. Beati quelli che non hanno visto e han­no creduto! una beatitudine per tutti, per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni, per chi non vede, per chi ricomincia. Grazie a tutti quelli che cre­dono senza necessità di segni, anche se hanno mille dubbi.


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Ospitalità e Libertà; le strade del vangelo

Il cammino sinodale ispirato da Marta e Maria

Un tema centrale della spiritualità cristiana è senza dubbio l’«ospitalità». E’ un tema sacro per tutte le religioni e per tutte le culture. Nel NT in Eb 13,2 leggiamo: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli». La civiltà post moderna in particolare in occidente ha perso il senso sacro dell’ospitalità perché ha reso economico ogni aspetto della nostra vita, compreso i rapporti tra le persone, basando tutto sulle regole del mercato e del profitto; le regole però non sono frutto di una condivisione, ma sono decise da chi parla di libero mercato, ma in realtà è padrone assoluto del mercato. Aggiungiamo poi una corruzione sistematica ed ecco allora sacche privilegi che usano il mercato per gli interessi di pochi a scapito dei molti. In questo contesto, l’ospite è diventato un semplice turista, su cui soltanto guadagnare.Nel vangelo Gesù entra in un villaggio nella casa di amici e ci da il senso profondo della ospitalità. “Entrò in un villaggio”. Il “villaggio” è il luogo attaccato alla tradizione, al passato. Il villaggio era quello che“l’accampamento”rappresentava nell’Antico Testamento, luogo dove le appartenenze sono divenute schlerotizzate e privilegiate, in cui ogni novità è vista con sospetto, ogni forestiero è già nemico.

Una donna, di nome Marta ospitò Gesù nella sua casa, racconta l’evangelista Luca. “Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola”. Maria si mette nella posizione del discepolo verso il maestro. Come San Paolo che racconta negli Atti di essere stato istruito ai piedi di Gamaliele. Maria quindi riconosce Gesù come Maestro. Maria, però non potrebbe fare questo. E’ una donna e le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini. Leggiamo ad esempio nel Talmud che “le parole della legge vengono distrutte dal fuoco piuttosto che essere insegnate alle donne”. Maria qui sta compiendo  qualcosa di clamoroso. Trasgredisce una delle leggi fondamentali insegnate dalla Tradizione.

“Tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta”. Cosa non può essere tolto ad una persona? Pensiamo che purtroppo a volte può essere tolta persino la vita ad una persona. Perché Gesù dice che Maria ha scelto una cosa migliore che non può esserle tolta? La risposta è che Maria ha scelto la libertà, attraverso la disobbedienza alla legge. Ecco un altro tema fondamentale, la libertà. Il sovrano può concedere la libertà, ma può anche toglierla in qualunque momento. Questo vale per le persone e come ci insegna la storia vale anche per popoli interi. Quando però la libertà è frutto di una conquista personale, frutto del coraggio di trasgredire regole della tradizione e della religione, che umiliano come in questo caso la dignità della donna, allora quando uno conquista questa libertà nessuno gliela può togliere. Gesù ci chiama a questa libertà; non ci chiama a scegliere una vita contemplativa o una più attiva, perchè la vita è una sola. Gesù ci chiama a fare la scelta della libertà, in particolare la libertà di ascoltare la Sua Parola, e di metterla in pratica in una concreta e solidale apertura agli altri, specialmente verso chi bussa alle nostre porte, scappando dalla guerra e dalla fame. Ospitalità e Libertà sono cose sacre, nessuna religione o istituzione può interferire con esse, perché si metterebbero contro Dio e contro l’uomo.


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Stefano primo martire, i Santi Innocenti, i martiri di ogni tempo; una storia che porta molto frutto

Un buon terzo del libro degli Atti degli apostoli ci racconta le vicende della Chiesa di Gerusalemme: una comunità unita, che condivide i beni materiali e la vita spirituale, sotto la guida degli apostoli. Poi arriva il martirio di Stefano e la prima grande persecuzione; e questa bella unità incomincia a disgregarsi. È certamente un trauma, ma anche l’inizio di una fase nuova, di apertura al mondo, come narrano gli Atti al capitolo 11,19-26.

Dopo il martirio di Stefano, Filippo va in Samaria, Saulo sulla via per Damasco riceve il mandato dal Signore, Pietro va  tra Lidda, Giaffa e Cesarea.

Ad un certo punto alcuni arrivano ad Antiochia. All’epoca si trovava in Siria, oggi nel sud della Turchia; era una città molto grande, un incrocio importante nelle rotte commerciali e politiche dell’epoca. Qualcuno di coloro che erano stati scacciati da Gerusalemme al tempo della persecuzione decide di annunciare anche lì il Vangelo;

Cosa accade ad Antiochia? mentre alcuni continuano a rivolgersi solo agli ebrei, altri prendono la decisione di annunciare la Parola anche ai greci, cioè ai pagani. È una scelta importante, che apre gli orizzonti della missione; eppure non è stata presa dalla Chiesa ufficiale che stava a Gerusalemme, ma da un gruppo di persone di cui non conosciamo neppure il nome! Non in contrasto né in polemica con la Chiesa madre di Gerusalemme; semplicemente in modo indipendente.

All’origine della comunità di Antiochia, che diventerà il punto di partenza di tutti i viaggi missionari di Paolo, non c’è uno dei grandi nomi della Chiesa nascente. Del resto, non è forse stato così anche per Roma? Quando Pietro e Paolo vi si recano, ci sono già non poche comunità cristiane, fondate non sappiamo da chi. “La nascita della Chiesa  di Antiochia, la prima comunità cristiana “mista”, composta cioè di ebrei convertiti e di pagani,  non è stata programmata e non va attribuita a protagonisti ufficiali”; non si tratta però di un’iniziativa estemporanea, campata per aria; “la mano del Signore era con loro”: non c’era l’ufficialità da parte di Gerusalemme, ma c’era la presenza del Signore.

La Chiesa madre di Gerusalemme sente parlare dell’accaduto e manda Barnaba ad Antiochia  a vedere cosa succede:

Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla considerevole fu aggiunta al Signore (At 11,22-24).

Qui dobbiamo fermarci e imparare. Anzi, contemplare lo stile pastorale di Barnaba. È l’esempio più bello di missionario, di pastore, di guida, di educatore, di maestro. Viene infatti mandato ad una Chiesa che è nata da sé, come abbiamo visto; e per prima cosa non dice: fermi tutti, che sono arrivato io! Ora vi insegno come si fa ad annunciare il Vangelo!

No, Barnaba non è questo tipo di persona. Barnaba non cambia nulla di quello che trova, anzi esorta a perseverare. Perché? “Quando giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare fedeli al Signore”. Barnaba arriva in questa comunità diciamo sui generis e per prima cosa riconosce che la grazia di Dio è già all’opera; “la mano del Signore era con loro”, e Barnaba lo nota! Egli vede il bene che c’è già e ne è felice.

Com’è bello incontrare qualcuno che riesce a riconoscere e  a gioire per il bene degli altri e soprattutto riconosce che la Grazia è già all’opera! A volte c’è uno di stile di annuncio cristiano insopportabile, dall’alto in basso che pensa di portare lo Spirito che invece sempre ci precede; il nostro compito non è quello di portare lo Spirito ma di aiutare a riconoscerne la presenza.

Ma il racconto degli Atti non si ferma qui; non si accontenta di dirci come Barnaba si comporta; ci spiega anche perché ha reagito così, giunto ad Antiochia. Dice, traducendo alla lettera: “perché era un uomo buono e pieno di Spirito Santo e di fede”. È capace di valorizzare gli altri perché è un uomo buono (non lo fa per opportunismo e neppure per finta); ed è buono perché pieno di Spirito Santo e di fede.

Lo dirà  anche Paolo, nella lettera ai Galati: se uno è veramente pieno dello Spirito di Cristo, porta frutti di “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”; (Gal 5,22).

Barnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo: lo trovò e lo condusse ad Antiochia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta gente. Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani (At 11,25-26).

v.26b. Mentre tra di loro si chiamano fratelli, credenti , discepoli (ben 29 volte), santi, santificati  salvati (2,47) e “quelli che sono della via”; dagli altri (pagani) vengono denominati «cristiani».

 Ciò significa che: 

a) il titolo Cristo era ormai praticamente diventato un nome proprio;

b) il legame dei cristiani con Gesù appariva, persino ai pagani, indispensabile; uno era cristiano  perché era di Cristo possiamo dire. Questa identificazione purtroppo è una cosa non affatto scontata.

come nasce allora una comunità cristiana? tre sono i fattori determinanti : l’azione di Dio, la collaborazione di una comunità cristiana già costituita e la libera accoglienza delle persone.

Ci sentiamo Chiesa, cristiani in questo modo? Per Grazia o forse per ricompensa di qualche merito ?

dono da accogliere o diritto da far valere?

frutto del seno del Padre o prodotto delle nostre alchimie pastorali?

Vocazione, chiamata che ci responsabilizza  o privilegio che ci contrappone agli altri?

Considerando poi le cose da parte di chi lo trasmette, emergono alcuni fatti che danno da pensare.

Il soffrire per la fede anziché spegnere le energie, rinvigorisce il dono del Signore

Il dovere di annunciare Gesù non richiede alcun mandato ufficiale esplicito: è insito nel fatto stesso di trovarmi, per la fede e il battesimo, discepolo di Gesù (i primi evangelizzatori di Antiochia sono semplici battezzati: v. 20).

Tutti, anche i cosiddetti lontani, sono per definizione destinatari dell’annuncio cristiano (v. 20) e dunque a tutti bisogna rivolgersi.

Evangelizzare è dire Gesù (v. 20).

È la fraternità che attrae, contagia alla fede, non l’organizzazione.

E’ la capacità di incoraggiare il bene come fa Barnaba, più che il controllo, che ottiene i risultati (v. 24).

Saper coinvolgere le persone giuste al posto e al momento giusto e lavorare insieme sono spesso, di fatto, la strada dello Spirito.