Postiamo sul nostro blog un testo pubblicato su Roma Sette edizione domenicale del 4 febbraio 2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza dell’articolo sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
Mi guardai attorno: ed ecco non c’era nessuno, nessuno che fosse capace di consigliare, nessuno da interrogare per avere risposta. (Isaia 41,28)
Siamo in un tempo della storia di non facile e forse neanche opportuna definizione; siamo un po’ spaesati, e la complessità delle situazioni non di rado assume la forma del turbamento. La tecnica si è fatta regina, non sappiamo più comunicare fra generazioni, viviamo una transizione che pare infinita e siamo quasi costretti ad ancorare le nostre speranze al passato; il presente poi è un tempo senza preghiera, e abbiamo paura del futuro.
Educare in particolare alla conoscenza della Dottrina sociale della Chiesa può oggi essere una domanda saggia e una risposta efficace, quando sono deboli non solo i saperi, ma anche i maestri e gli alunni.
La DSC non insegna un mestiere per un lavoro che fra poco non esisterà neanche più, sostituito da macchine più o meno intelligenti, ma può e deve insegnare ancora molto; come riconoscere i segni dei tempi, come ben vivere nella casa comune, come attendere da umili lavoratori nella vigna del Signore, il Suo ritorno nella gloria.
Le lampade delle vergini sagge nel vangelo di Matteo ci insegnano che la luce s’accende dentro. Non sono soltanto i movimenti esterni che decidono il senso della nostra vita; è la decisione spirituale, nei confronti del Signore che dà senso a tutto. Quel che decide non è un di più di sapere ma è un di più di amore. Noi abbiamo bisogno di questo più di amore; abbiamo bisogno che la cultura, lo studio, i saperi, siano strumenti a servizio del vangelo, non uno specchio per egocentrici e narcisisti. Abbiamo bisogno nell’attesa dello sposo, di aprire la nostra cultura; se noi non ci preoccupiamo delle attese del mondo intero, il nostro discorso non è sapiente. Potrà essere vantaggioso per un po’ di tempo, ma non sapiente. La DSC da sempre esce fuori dai perimetri del sistema per sedere accanto all’uomo e aspettare che lo sposo venga. Perché lo sposo viene proprio nell’incontro con l’uomo. E lui che ci sta cercando.
Ecco lo sposo! Andategli incontro! Come le vergini della parabola tutti ci addormentiamo, ed è la nostra storia: tutti a volte ci siamo stancati, forse abbiamo mollato; ma nel momento più nero, qualcosa, una voce, una parola, una persona, ci ha risvegliato.
La DSC è una profezia, che non solo quindi legge i segni dei tempi, ma annuncia la voce di Dio che non ci coglie in flagrante, ma è una voce che ci risveglia, ogni volta, anche nel buio più fitto.
La DSC guarda con gli occhi più profondi dello Spirito, la realtà, di cui la Chiesa è serva, protagonista e anche giustamente vittima; è fondamentale uno sguardo spirituale, non solo per la crescita personale, ma anche per le grandi questioni del nostro tempo.
Imparate da me ci dice Gesù. Cristo si impara prima di tutto per rivelazione e imitazione; perché Dio è amore e noi sapienti e intelligenti corriamo il rischio di restare analfabeti del cuore.
La DSC ci insegna a vivere una diversità evangelica dentro la città, nelle istituzioni, nella scuola, nelle strade, non vendendosi alla sapienza costituita.
Facciamo nostre le parole di San Bernardo: “Vi sono coloro che vogliono sapere soltanto per sapere: è curiosità. Vi sono coloro che vogliono sapere per essere considerati sapienti: è vanità. Vi sono coloro che vogliono sapere per vendere la loro scienza: è un turpe guadagno. Vi sono coloro che vogliono sapere per edificare sé stessi: è prudenza. Vi sono, infine, coloro che vogliono sapere per edificare gli altri: è carità”.