ConAltriOcchi blog – 以不同的眼光看世界-博客

"C'è un solo modo di vedere le cose finché qualcuno non ci mostra come guardare con altri occhi" – "There is only one way to see things, until someone shows us how to look at them with different eyes" (Picasso) – "人观察事物的方式只有一种,除非有人让我们学会怎样以不同的眼光看世界" (毕加索)


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Ospitalità e Libertà; le strade del vangelo

Il cammino sinodale ispirato da Marta e Maria

Un tema centrale della spiritualità cristiana è senza dubbio l’«ospitalità». E’ un tema sacro per tutte le religioni e per tutte le culture. Nel NT in Eb 13,2 leggiamo: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli». La civiltà post moderna in particolare in occidente ha perso il senso sacro dell’ospitalità perché ha reso economico ogni aspetto della nostra vita, compreso i rapporti tra le persone, basando tutto sulle regole del mercato e del profitto; le regole però non sono frutto di una condivisione, ma sono decise da chi parla di libero mercato, ma in realtà è padrone assoluto del mercato. Aggiungiamo poi una corruzione sistematica ed ecco allora sacche privilegi che usano il mercato per gli interessi di pochi a scapito dei molti. In questo contesto, l’ospite è diventato un semplice turista, su cui soltanto guadagnare.Nel vangelo Gesù entra in un villaggio nella casa di amici e ci da il senso profondo della ospitalità. “Entrò in un villaggio”. Il “villaggio” è il luogo attaccato alla tradizione, al passato. Il villaggio era quello che“l’accampamento”rappresentava nell’Antico Testamento, luogo dove le appartenenze sono divenute schlerotizzate e privilegiate, in cui ogni novità è vista con sospetto, ogni forestiero è già nemico.

Una donna, di nome Marta ospitò Gesù nella sua casa, racconta l’evangelista Luca. “Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola”. Maria si mette nella posizione del discepolo verso il maestro. Come San Paolo che racconta negli Atti di essere stato istruito ai piedi di Gamaliele. Maria quindi riconosce Gesù come Maestro. Maria, però non potrebbe fare questo. E’ una donna e le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini. Leggiamo ad esempio nel Talmud che “le parole della legge vengono distrutte dal fuoco piuttosto che essere insegnate alle donne”. Maria qui sta compiendo  qualcosa di clamoroso. Trasgredisce una delle leggi fondamentali insegnate dalla Tradizione.

“Tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta”. Cosa non può essere tolto ad una persona? Pensiamo che purtroppo a volte può essere tolta persino la vita ad una persona. Perché Gesù dice che Maria ha scelto una cosa migliore che non può esserle tolta? La risposta è che Maria ha scelto la libertà, attraverso la disobbedienza alla legge. Ecco un altro tema fondamentale, la libertà. Il sovrano può concedere la libertà, ma può anche toglierla in qualunque momento. Questo vale per le persone e come ci insegna la storia vale anche per popoli interi. Quando però la libertà è frutto di una conquista personale, frutto del coraggio di trasgredire regole della tradizione e della religione, che umiliano come in questo caso la dignità della donna, allora quando uno conquista questa libertà nessuno gliela può togliere. Gesù ci chiama a questa libertà; non ci chiama a scegliere una vita contemplativa o una più attiva, perchè la vita è una sola. Gesù ci chiama a fare la scelta della libertà, in particolare la libertà di ascoltare la Sua Parola, e di metterla in pratica in una concreta e solidale apertura agli altri, specialmente verso chi bussa alle nostre porte, scappando dalla guerra e dalla fame. Ospitalità e Libertà sono cose sacre, nessuna religione o istituzione può interferire con esse, perché si metterebbero contro Dio e contro l’uomo.


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Una fede provata ma semplice

Viaggio apostolico a Panama: Incontro con i vescovi, Liturgia penitenziale con i detenuti e Via Crucis con i giovani 

È stato un incontro molto importante, quello che il papa ha avuto con i vescovi centroamericani del Sedac, il Segretariato episcopale dell’America Centrale che da 75 anni comprende i vescovi delle Conferenze episcopali di Panamá, El Salvador, Costa Rica, Guatemala, Honduras e Nicaragua.

Papa Francesco nel suo appassionato discorso ha indicato a loro e a tutta la Chiesa universale, la grande testimonianza di  Sant’Oscar Romero, per  parlare  alla gente del Centro America il cui “volto povero” dice una fede “provata ma semplice” per “ampliare la visione” e “unire gli sforzi” nel servizio al vangelo.

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Vivere le opere di misericordia, non come “elemosina” ma come “vocazione”. Il cardinale Antonio Quarracino – racconta il papa parlando del suo predecessore a Buenos Aires  – diceva che era candidato al Premio Nobel per la fedeltà; eppure Romero – come tanti vescovi – fu considerato una brutta parola, sospettato, scomunicato anche nelle chiacchiere private di tanti vescovi. “Sentire con la Chiesa” fu la bussola che ha segnato la sua vita nella fedeltà, anche nei momenti “più turbolenti”, sfociata in una “dedizione martiriale nel servizio quotidiano.

Papa Francesco ha ricordato come il Sentire con la Chiesa di Romero fosse una concreta attuazione del rinnovamento del Concilio Vaticano II.

Ascoltare il Concilio e ascoltare il Popolo di Dio, questo fanno i Pastori che cercano il Signore; ascoltano il battito del cuore del loro popolo, sentono l’odore della loro gente, e insieme camminano verso il Risorto.

A questo proposito papa Francesco ha ricordato la kenosis di Cristo, che ha svuotato sè stesso, prendendo forma di servo per divenire simile agli uomini. Per fare questo, la Chiesa e i suoi Pastori  devono  essere necessariamente poveri, umili, non autosufficienti, e che sanno commuoversi davanti le ferite le  mondo.

Nella Chiesa Cristo vive tra di noi, e perciò essa dev’essere umile e povera, perché una Chiesa arrogante, una chiesa piena di orgoglio, una Chiesa autosufficiente non è la Chiesa della kenosis.

Una Chiesa che vive per strada, rubando alla strada tanti giovani sedotti da venditori di fumo, gente senza scrupolo che vende loro illusioni e morte.

L’America centrale deve riscoprire la propria  forza e la propria dignità :” la vostra gente  non è la serie B della società e di nessuno”.

Anche verso il fenomeno migratorio, così drammaticamente importante nel continente latino- americano, la Chiesa dice il papa, deve sempre esprimere la Sua maternità. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare sono i quattro verbi dei cristiani. I sacerdoti superando la piaga del clericalismo devono essere in prima linea a fianco del loro popolo, con la “centralità della compassione.

Papa Francesco ha esortato anche i vescovi, con parole molto forti, ad avere sempre la porta aperta per i loro sacerdoti, rifuggendo dalla mondanità spirituale, esprimendo pienamente la paternità.

Una Chiesa che non vuole che la sua forza stia – come diceva Mons. Romero – nell’appoggio dei potenti o della politica, ma che si svincoli con nobiltà per camminare sorretta unicamente dalle braccia del Crocifisso, che è la sua vera forza.

Nel Centro de Cumplimiento de Menores Las Garzas de Pacora  il papa ha celebrato una Liturgia penitenziale con i detenuti.

 «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro» (Lc 15,2), è il versetto biblico spunto per la Sua Omelia.

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Dio ci accoglie così come siamo. Non è sempre facile credere al Dio di Gesù Cristo. A volte è più facile credere a un dio che distribuisce miracoli, a un dio da meritare più che da accogliere.

Gesù ci invita invece ad allargare lo sguardo, ci invita a vedere meglio; ci parla di un Dio che cammina di terra in terra, che a Zarepta soccorre una vedova straniera, che in Siria guarisce dei lebbrosi. Un Dio che cammina quotidianamente con noi, nell’ordinario e che non guarda prima di tutto i nostri meriti o le nostre appartenenze, ma ai nostri bisogni e ci ama per quello che siamo.

Credere in un dio che guarda prima di tutto i meriti o le appartenenze ha come conseguenza rappresentare una Chiesa che si difende, che esclude chi non ha meriti da vantare, o chi ne ha pochi; una Chiesa che diventa una elite, una struttura chiusa che non accoglie come non affascina se non pochi eletti. Una Chiesa che non incide nella realtà quotidiana, che passa solo per la tangenziale delle nostre vite, fermandosi all’occorrenza nei salotti televisivi e nelle lobby.

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Credere invece al Dio di Gesù Cristo che guarda prima di tutto alle nostre debolezze e ai nostri bisogni si traduce nel costruire “una Chiesa in uscita”, dove i confini sono il mondo, dove i pastori hanno l’odore delle pecore non soltanto dell’incenso, e dove nessuno si sente escluso o abbandonato.

Attorno a Gesù ci sono sempre stati e ancora ci sono gruppi di fanatici, violenti e integralisti, che usano la religione e la Chiesa per i propri interessi. Lo sa bene e lo ha ricordato recentemente anche Papa Francesco – alcuni non servono la Chiesa ma si servono della Chiesa per i loro interessi.

Gesù non ha paura di avvicinarsi a coloro che, per mille ragioni, portavano il peso dell’odio sociale. Gesù si avvicina e si compromette, mette in gioco la sua reputazione e invita sempre a guardare un orizzonte capace di rinnovare la vita, di rinnovare la storia.

Amici, dice il papa ai detenuti:” ognuno di noi è molto di più delle “etichette che gli mettono; è molto di più degli aggettivi che vogliono darci, è molto di più della condanna che ci hanno imposto. Tutti, lottate, lottate – ma non tra di voi, per favore! –, per che cosa?, per cercare e trovare strade di inserimento e di trasformazione. E questo il Signore lo benedice. Questo il Signore lo sostiene e questo il Signore lo accompagna.”

Alla sera poi papa Francesco a celebrato la Via Crucis con i giovani, nel Campo Santa Maria la Antigua – Cinta Costera . “Camminare con Gesù sarà sempre una grazia e un rischio”, è stato il filo conduttore della Sua meditazione.

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La Via Crucis di Gesù oggi ancora si prolunga, in tante drammatiche situazioni; la tentazione è quella di dire :” È più facile e “paga di più” essere amici nella vittoria e nella gloria, nel successo e nell’applauso; è più facile stare vicino a chi è considerato popolare e vincente”.

 Gesù è ancora un uomo solo. La forza di Maria ci è necessaria per stare sotto la croce:” Contempliamo Maria, donna forte. Da Lei vogliamo imparare a rimanere in piedi accanto alla croce. Con la sua stessa decisione e il suo coraggio, senza evasioni o miraggi.”

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Nel mistero della nostra Redenzione abbiamo il Sangue e le lacrime: il Sangue del Figlio, le lacrime della Madre. Un incontro del Sangue e delle lacrime, lungo il Calvario e ai piedi della Croce.


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In comunione con la Chiesa in Cina, siamo una famiglia

Ieri nella nostra parrocchia di Santa Maria ai Monti abbiamo organizzato una Messa solenne per inaugurare le attivitá del nuovo anno pastorale, con la partecipazione di tutti, catechisti, bambini, operatori pastorali, suore e religiosi del rione….La Provvidenza ha voluto che fossero appena arrivati a Romdue vescovi della Cina continentale, che per la prima volta nella storia partecipano al Sinodo, in forza del recente accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, per il quale la nostra comunità ha tanto pregato e speratoLi abbiamo invitati a concelebrare la Messa, presieduta dal Cardinale Francesco Coccopalmerio, Presidente Emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, e loro hanno accettato con grande gioia.
Per noi che da sempre portiamo nel cuore la Chiesa in Cina, ma anche per tutta la comunitá parrocchiale che ha imparato a conoscere e voler bene a questi nostri fratelli e sorelle “lontani” geograficamente ma cosí vicini nella comunione ecclesiale, la loro presenza tra noi ha reso la festa ancora piú bella . Come Papa Francesco, ci siamo profondamente commossi per aver condiviso con loro la celebrazione dell’Eucarestia nella nostra parrocchia e a Roma. Portiamo anche nel cuore e invitiamo a leggere il Messaggio che il Santo Padre Francesco ha scritto recentemente ai Cattolici cinesi e alla Chiesa Universale.
I due vescovi cinesi erano Mons. Giovanni Battista Yang Xiaoting, vescovo di Yan’ An (Shaanxi), Mons. Giuseppe Guo Jincai, vescovo di Chengde (Hebei), quest’ultima diocesi appena eretta dal Santo Padre. Ha concelebrato anche Mons. Leonardo Gomez, Vescovo Emerito di Chiquinquirà (Colombia), che è a Roma per partecipare alla canonizzazione del Beato Papa Paolo VI e di Mons. Oscar Romero, che si terrà in San Pietro il prossimo 14 ottobre. 

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Foto: ©Francesco Pesce/ConAltriOcchi Blog

Dopo una breve omelia del Cardinale, Mons. Yang ha preso la parola e, ispirandosi alle letture del giorno, ha condiviso una breve ma significativa riflessione con la nostra comunitá – la riportiamo di seguito con quale piccola modifica di editing:
Come la famiglia costituita da marito e moglie é sempre unita, cosí é la Chiesa, che é una, santa, cattolica e apostolica. In Italia, in Cina o in altri Paesi, l’amore di Cristo é sempre lo stesso. Papa Francesco, che conosce molto bene la nostra situazione della Chiesa cattolica in Cina, non vuole lasciarci, non vuole separarci dalla Chiesa universale.  Noi aspettiamo sempre che il il Santo Padre possa venire in Cina, che anche voi, il Cardinale, il Parroco don Francesco, tutti voi, sempre vi aspettiamo in Cina! Nell’amore di Cristo, nell’amore di Dio, siamo sempre una famiglia, la Chiesa universale é sempre come una famiglia. Anche se siamo in paesi diversi, anche se nella cultura, nella liturgia e in altre cose c’é una diversitá, la nostra fede, nel Signore, é sempre una. Per questo tutti noi, nell’amore di Dio, nell’amore di Cristo, siamo uniti come una famiglia. Voi avete pregato molto per la Chiesa cinese. Vi ringraziamo per questo, per aver pregato per noi, per aver aiutato la Chiesa in Cina. Anche oggi siamo molto contenti di essere venuti in mezzo a voi, questa é una grande gioia per noi. Vi ringrazio ancora per la vostra preghiera e per tutto l’amore che avete manifestato per la Chiesa in Cina. Vi chiedo ancora un aiuto per questa Chiesa in Cina. La nostra Chiesa é come una bambina, non é molto matura, quindi abbiamo bisogno del vostro accompagnamento, del vostro aiuto e della vostra preghiera, sempre nell’amore del Signore. Grazie a tutti!  
Questa riflessione é stata una perla preziosa donata alla nostra comunitá, che si é aggiunta alle incommensurabili ricchezze che giá possediamo. Tanti parrocchiani e persone di buona volontá hanno animato questa celebrazione. I lettori, il coro e i sacerdoti concelebranti. C’era la presenza significativa dei bambini e dei ragazzi che inizieranno o continueranno il catechismo in preparazione dei Sacramenti, accompagnati dai genitori e dalle loro famiglie. Abbiamo scritto noi le preghiere dei fedeli e un parrocchiano dopo l’altro le ha lette a significare il contributo di tutti e di ciascuno alla vita della comunitá. Altri parrocchiani hanno poi portato i doni all’Altare. Il pane e il vino, ma anche due stole rosse per i vescovi cinesi e un’immagine evangelica fatta dalle suore cinesi per il Cardinale. Alla fine della Messa la processione si é fermata a pregare all’altare laterale dove sono poste le reliquie del Beato Gabriele Maria Allegra, missionario francescano siciliano traduttore della Bibbia in cinese. Per l’occasione avevamo fatto portare anche dalla Rettoria cinese la statua della Madonna di Sheshan, cui i cattolici cinesi sono tanto devoti.
Non c’era modo piú bello di iniziare l’anno pastorale. Un dono della Provvidenza, un dono della Madonna, nel giorno che ricordava la Vergine del Rosario. Maria Regina dei Monti, Regina del Rosario e Regina della Cina prega per noi, per la nostra comunitá e per la Chiesa universale!


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Migranti e rifugiati, nostri fratelli

Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018

“Accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati” è il titolo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato che si celebra oggi 14 gennaio 2018. Sono quattro verbi molto chiari che impegnano la Chiesa, le istituzioni nazionali e internazionali, tutti gli uomini di buona volontà ad uno sforzo urgente e quotidiano. Ricorda il papa all’inizio del Suo messaggio il libro del Levitico: «Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio» ( Lv 19,34). Così prosegue Francesco: “Ogni forestiero che bussa alla nostra porta è un’occasione di incontro con Gesù Cristo, il quale si identifica con lo straniero accolto o rifiutato di ogni epoca” (cfr Mt 25,35-43).

L’incontro con Gesù oggi si rivela anche nella comunione con i fratelli migranti e rifugiati. Il nostro mondo, oggi lo vediamo bene, è invaso dalle genti; sono figli e figlie, non stranieri; sono figli e figlie non immigrati.

La presenza del Signore si manifesta sempre di più nella conpresenza di tutti i popoli; essi non vengono a mani vuote ma portano doni, che non sono le singoli cose naturalmente, portano una spiritualità una cultura una tradizione una umanità. Si parla spesso a proposito delle migrazioni, di Esodo biblico; si tratta invece di una Epifania, una manifestazione del Signore che viene.

Scrive ancora il papa nel Suo messaggio:” L’integrazione non è un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca. È un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini”.

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Il Signore Gesù ci testimonia la paternità di Dio, che ha mandato Suo Figlio per ricostruire un mondo secondo le misure dell’amore, dove  la pecora smarrita, la pietra scartata, il figliol prodigo sono oggetto della cura, dell’attenzione e della misericordia del Padre. Un Padre che desidera che tutti siano salvi e che tutti siano riconosciuti nella loro dignità.

Convertirsi significa anche superare come un’antitesi, tra quelli di dentro e quelli di fuori, tra coloro che sono nati in un territorio e coloro che vi arrivano, e superarla in una sintesi che è quella dell’amore, nella quale si va al di là di se stessi, andando incontro allo smarrimento di tanti uomini e donne.

Le istituzioni internazionali stanno prendendo sempre più coscienza del fenomeno migratorio. Il Vertice delle Nazioni Unite, svolto a New York il 19 settembre 2016, ha manifestato la  volontà di intensificare gli sforzi  a favore dei migranti e dei rifugiati per salvare le loro vite e proteggere i loro diritti, condividendo tale responsabilità a livello globale. A tal fine, gli Stati si sono impegnati a scrivere ed approvare entro la fine del 2018 due patti globali ( Global Compacts ), uno dedicato ai rifugiati e uno riguardante i migranti.

La Chiesa che da sempre ha elaborato una riflessione sul problema dei migranti e dei rifugiati, ultimamente tramite la Sezione Migranti e Rifugiati ( guidata personalmente dal papa) del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, dopo essersi consultata con varie conferenze episcopali e ONG cattoliche  ha elaborato Venti Punti di Azione che sono fondati sulle cosiddette “buone pratiche” una  risposta concreta e attuabile.

Impariamo a capire e accogliere tutti coloro che soffrono la guerra o la fame. E ricerchiamo con coraggio nelle nostre “virtù” anche il loro carattere spesso farisaico e settario, per entrare dentro un’altra misura della fraternità umana, basata sulla riconciliazione. Non basta fare del Vangelo la norma di uno strano galateo di comportamento: questa è ipocrisia. Occorre eliminare ogni ostacolo sulla via della fraternità e fare della casa del Padre veramente la casa di tutti, dove nessuno sia scartato.


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La stalla e la stella

I Magi videro la stella e la percepirono come un segno; avrebbero potuto adorarla come suggeriva la loro cultura e la loro formazione; invece capirono con l’aiuto della Grazia che era un segno e andarono a Gerusalemme per chiedere dove fosse nato il bambino. Gli fu risposto tramite la Parola di Dio:” a Betlemme di Giudea perché così è scritto”

La stella provoca una grandissima gioia ma rimane un segno; i magi vanno oltre il segno e trovano il bambino; vanno oltre il segno tramite la Parola di Dio; i segni non sono utili per il loro splendore, ma se interpretati alla luce della Parola di Dio.

Vanno a Betlemme a vedere. Vedere che cosa? C’è una grande differenza tra lo splendore della stella e il piccolo bambino, in una semplice e avvilente capanna. Ecco dove entra la fede; credere in Dio davanti alle cose piccole, un bambino in una capanna, il seme gettato, Il lievito nella pasta, un granellino di senape.

L’Altro aspetto fondamentale della Festa della Epifania è la manifestazione di Cristo a tutte le genti.  Il capitolo 60 del profeta Isaia è veramente una luce che illumina i nostri passi verso la contemplazione del bambino nelle nostre vite.

Gerusalemme risplende di una luce non sua, ma di una luce che è venuta su di lei; Isaia da un nome a questa luce, il Signore. Su Gerusalemme risplende non solo un luce, non solo la Gloria ma il Signore stesso.

“I Popoli cammineranno alla tua luce e i re allo splendore che emana da te” Questa luce che è il Signore è l’unica luce che brilla nel mondo, che attira, che segna il cammino, di tutti i popoli e di tutti i capi, i re.

Isaia si rende subito conto che neanche Gerusalemme è consapevole di questo; il mondo non capisce che il Signore regna.  Allora come fa spesso Isaia lo fa  riflettere  con queste stupende parole: Gira intorno gli occhi e guarda, tutti costoro si sono radunati e vengono a te; figli vengono da lontano e figlie ti saranno portate in seno.”

Il nostro mondo, oggi lo vediamo bene, è invaso dalle genti; sono figli e figlie, non stranieri; sono figli e figlie non immigrati; sono figli e figlie che Gerusalemme, il nostro mondo non sapeva di avere.

“A quella vista tu risplenderai, sarà commosso e si rallegrerà il tuo cuore; perché si riverserà su di te la moltitudine delle genti del mare, e le schiere dei popoli verranno a te.”

 Il profeta ci sta dicendo che la presenza del Signore si manifesta sempre di più nella conpresenza di tutti i popoli; San Paolo si inventa il termine concorporei che è molto efficace; tutti i popoli sono un solo corpo.

Si parla in Isaia di genti del mare; cioè neanche il mare può più arrestare  questo flusso di popoli. Il mare come sappiamo ha fatto numerose vittime nel pellegrinaggio dei migranti, ma neanche il mare, che nella bibbia è sinonimo di male, di avversità, può fermare la volontà di Dio di unire il mondo in  una sola famiglia.

Dicono ancora Isaia e i racconti sui Magi nei vangeli, che questi popoli non vengono a mani vuote ma portano doni, che non sono le singoli cose naturalmente, ma le lodi del Signore, portano una spiritualità una cultura una tradizione una umanità, altro che rubarci il lavoro.

Si parla spesso a proposito delle migrazioni, di Esodo biblico; e se invece fosse una Epifania ?


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Tempo di Natale: Una vigilanza fedele

Bisogna sempre vivere il Natale partendo dallo Spirito. Occorre una vigilanza concreta:

Una vigilanza fedele. La fedeltà vuol dire credere che la storia dell’uomo è nelle mani di quel bambino che nascerà. Dio agisce nella storia concretamente. Egli si è impegnato nella nostra storia e lo Spirito del Signore ancora opera ogni giorno; ho questa fede. Questa fede illumina tante notti. Le candele di Avvento ci hanno insegnato che la luce s’accende dentro, come le lampade delle vergini sagge di cui parla il vangelo di Matteo. Non sono soltanto i movimenti esterni che decidono il senso della nostra vita ;è la decisione spirituale, nei confronti del Signore che dà senso a tutto.

Una vigilanza che sa discernere : saper discernere nella realtà le bellezze che ci sono, i segni dei tempi che Dio ci dona. Così scrive il papa in Amoris Laetitia: “molte volte abbiamo agito con atteggiamento difensivo e sprechiamo le energie pastorali moltiplicando gli attacchi al mondo decadente, con poca capacità propositiva per indicare strade di felicità.”

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Una vigilanza che si compromette. Non si può vivere veramente stando fuori dalle situazioni, nascosti e protetti dalla siepe di Adamo. Occorre scegliere compromettendosi:“Gesù aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente” (AL 308).

Questa “meravigliosa complicatezza è in fondo il Natale, la realtà di polvere e Spirito, già e per sempre amata dal Signore. Il bambino che viene ci chiede un cambio di passo, una rivoluzione interiore ed esteriore, come se un antico sole quello che splendeva rassicurante sulla mia testa dovesse provvidenzialmente oscurarsi, e la luna che tanto mi affascinava nel mio cattolicesimo borghese e benestante, dovesse cadere con tutti gli astri.

Noi dobbiamo di più e meglio entrare nei cataclismi del mondo dove ingiustizie e malvagità convivono, dire a voce alta chi ne sono gli autori e i complici  e chi sono le vittime. Entrare e mettersi dalla parte delle pietre scartate è il mandato di Gesù Cristo.

Gesù è entrato nella debolezza umana. Questa universalità del Natale  è molto  importante, oggi lo sentiamo di più di una volta, perché le pareti di divisione stanno cadendo tutte inesorabilmente; non possiamo più vivere,non solo gli uni contro gli altri, ma neanche  gli uni accanto  agli altri. Le divisioni appartengono non al Dio tra poco bambino, domani crocifisso e risorto,ma  appartengono al peccato di Adamo. Natale ci chiede di tornare al principio di quella unità che supera ogni divisione civile politica e anche religiosa: gli uomini sono tutti amati. Le divisioni sono funzionali, ma nulla più. Abbiamo ancora addosso una storia di muri, di razzismi e anche di guerre di religione, di scomuniche reciproche. Il Natale  non le tollera più.

Preghiamo il Bambino di Betlemme  perché ci aiuti ad aprirci ad una solidarietà che arrivi fino al  dolore fisico dell’uomo, di ogni uomo  per cui Natale  vuol dire anche avere un pezzo di pane a mezzogiorno o essere liberato dalla guerra che lo  sta uccidendo.

Preghiamo il Figlio dell’uomo perché ci aiuti ad amare sempre di più il mondo. «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito», il Dio di Gesù non è un Dio che chiede, ma un Dio che offre, che arriva addirittura a offrire se stesso: «Perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna»”. Avevano chiesto a Gesù all’inizio del vangelo di Giovanni, dove abitasse, e Lui decide di abitare nel nostro dolore. E li siamo veramente tutti fratelli.


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San Francesco una testimonianza che continua a rinnovare il mondo

San Francesco ci sorregge in quella grande avventura dello Spirito che è la nostra vita di fede.Ha testimoniato   che la Parola di Dio è una Parola d’amore che Dio pronuncia su di noi, sul mondo, sulla storia e che carezza come un vento leggero la nostra vita, spesso così difficile in tante giornate. Ha testimoniato che la Parola di Dio è una Parola efficace che opera ciò per cui era stata mandata. Ha testimoniato che la Parola di Dio porta in sé il gemito di ogni carne e dell’intera umanita’in cammino verso la pienezza, di Dio. Ha testimoniato qui a Roma che una Chiesa in preghiera con Pietro e per Pietro è una Chiesa in cammino verso il Risorto. Ha testimoniato come Profeta, la sofferenza della incomprensione e anche della derisione dei profeti di sventura. Ha testimoniato la gioia del Natale. Ha testimoniato che l’eucarestia non è un rito ma uno stile di vita, di vita eterna.

La sua testimonianza continua   lungo i secoli, cominciando dai lebbrosi che incontrava fino ai lebbrosi dei nostri giorni. La nostra società vuole ispirarsi ai grandi principi dell’uguaglianza e della fraternità, cari all’illuminismo, e ai principi cristiani, ma si trova a compiere una impossibile quadratura del cerchio. Fa finta di voler inserire in sé, dentro le proprie città, l’escluso, (l’immigrato, il clandestino, il senza fissa dimora, il carcerato) ma non ci riesce; perché non ci riesce?Non ci riesce perché dovrebbe contestare se stessa, nei propri principi costitutivi, e non ne ha il coraggio, anzi meglio non ne abbiamo il coraggio.

San Francesco ha avuto il coraggio di contestare se stesso, la società e la Chiesa del suo tempo; ed è cominciato un altro Francesco, un’altra società, un’altra Chiesa. Oggi siamo in tempi di grande inquietudine. Ci sono vari tipi di inquietudini. Ci sono purtroppo inquietudini non sane, cattive, violente, razziste, egoiste, borghesi.

La sana inquietudine invece nasce dal desiderio di allargare i confini delle nostre città, perché ci sia posto anche per quelli che sono esclusi e nasce dalla necessità di aggiornare le regole della nostra società, perché la violenza non nasca da dentro di noi; già sta succedendo. Questa sana inquietudine, morale, giuridica, politica, religiosa, è l’ultimo lembo della nostra dignità.

San Francesco è anche un testimone della dignità dell’uomo, di ogni uomo.

San Francesco ci testimonia che Gesù è andato fra i lebbrosi di ogni tempo, per insegnare loro a smettere di dirsi immondi, a guardare le nostre città e scoprire che sono loro molto spesso immonde. Questa è la rivoluzione cristiana, il capovolgimento. Se preghiamo con le beatitudini vediamo che sono fatte di immondi. Chiediamo a San Francesco di intercedere affinchè nessuno di noi trasformi Gesù in un profeta accomodante a misura delle nostre società. Chiediamogli di intercedere presso il Signore per allargare i nostri confini, i nostri spazi, i nostri cuori, per accogliere i piccoli di ogni tempo.


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Il peccato europeo

Cittadini di Europa, eredi della grande tradizione greca e romana, cristiani radicati nel sangue dei martiri, persone liberate da ogni schiavitù nel secolo dei lumi. Guardando i profughi respinti con la forza e con i gas lacrimogeni alla frontiera tra Grecia e Macedonia, guardando l’accordo con la Turchia, guardando il nostro Mare Mediterraneo dove viaggiano le nostre grandi navi da crociera, io mi vergogno del mio essere europeo, greco romano, cristiano e illuminista.

Scappano dalle bombe, dalla distruzione delle loro case e dalle persecuzioni dell’Isis. Forse però non sono loro i veri profughi; forse è la nostra Europa ad aver ormai perduto le radici della sua antichissima civiltà; un’europa vecchia e stanca, che non fa più figli, e non sa riconoscere come propri, i figli dell’altra parte della umanità; sì credo proprio che è l’Europa ad essere profuga e perduta, senza una patria e senza un approdo, un futuro.

“Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare”. (Mt 21,43) Ci penso spesso a queste parole del Signore; stanno già avvenendo; viene tolta la radice all’albero che non porta frutti buoni per tutti; viene tolta la libertà a chi non la sa condividere con gli altri; viene tolto anche il Vangelo a chi lo ha trasformato in privilegio e merce di scambio con il potere. L’Europa delle università e delle cattedrali, per sua colpa è ridotta ad un ospizio per vecchi, le sue nazioni sono in “guerra” le une contro le altre, i suoi confini stanno per cadere sotto i colpi della dignità di coloro che si sono stancati delle dichiarazioni di principio e hanno trasformato i loro stracci in bandiere e i loro poveri arnesi in barricate. Forse c’è proprio bisogno di un altro popolo che faccia fruttificare la vigna europea, che ricostruisca una civiltà perduta. Una civiltà europea che è diventata idolatrica di se stessa, piena di “vitelli d’oro”, perchè è sparita la parola della vera democrazia, la parola della grande filosofia occidentale, ed è sparita anche la Parola di Dio, che ti mette in una salutare crisi e ti ricorda il cuore della tua essenza, che è la condivisione dei doni di Dio.

Davanti ad un vero e proprio “peccato europeo”, forse il Vescovo di Roma Francesco, voce che grida nel deserto, è stato mandato da Dio come un nuovo Mosè: “Allora il Signore disse a Mosè: ‘Va, scendi, perché il tuo popolo, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata![..] Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga’ “(Es 32,7-10). Davanti al peccato Dio dice a Mosè, vai a dire a loro che io li distruggo. Il Dio di Gesù Cristo, non è certamente cattivo e vendicativo, ma non si compromette con il nostro male, si dissocia da una Europa che non è più se stessa e non scende a nessun compromesso.

Papa Francesco  con il suo esempio e i suoi appelli, sta distruggendo le vecchie tavole di una legge ingiusta e discriminatoria, le scaglia per terra  e lo fa in nome di Dio facendo capire al “peccatore europeo” che sta sbagliando; distruggere il male è l’inizio del perdono e della riconciliazione. Il peccato europeo è una cosa seria; le tavole della legge non esistono più, sono andate distrutte insieme a tutti i vitelli d’oro; Francesco come un nuovo Mosè denuncia la gravità del peccato, per poter liberare l’Europa proprio dal suo peccato. Chiediamo all’Europa di avere il coraggio (è ancora in tempo) di accogliere le seconde tavole della legge, questa volta, come ci ricorda Gesù, scritte non più sulla pietra, cioè nei frontespizi dei palazzi del potere, sugli scudi degli eserciti, sulla carta delle costituzioni, ma nel cuore di carne di ogni cittadino europeo. Dio ti ha già perdonato vecchia Europa; ti chiediamo di ricominciare ad essere te stessa, di ritrovare la tua antica nobiltà; non essere mai più un sogno svanito, una illusione, una delusione. Noi ne aspettiamo pregando e pur sempre amandoti, la prova.


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Migranti e rifugiati : i “lebbrosi” del mondo di oggi

Ieri 20 Giugno si è celebrata La Giornata internazionale del rifugiato, indetta dalle Nazioni Unite,  per ricordare l’approvazione nel 1951 della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati da parte dell’Assemblea generale dell’ONU.

La Parola di Dio è ricca di indicazioni su come affrontare questa problematica così stringente e quotidiana. Nel  libro del Levitico si parla della figura del lebbroso; il lebbroso non era solo un escluso dal villaggio, ma doveva gridare lui stesso «sono immondo». L’esclusione lo toccava dentro, nella coscienza, diventava quasi una sua identità di cui era anche lui consapevole. Questo contrasto tra il villaggio e il lebbroso lo possiamo proiettare lungo i secoli e lo viviamo ancora oggi. Il villaggio siamo noi, le nostre città, il nostro vecchio occidente, il nostro sistema economico impazzito, a volte è anche la Chiesa, quando è clericalizzata, quando non è in uscita come vuole Papa Francesco.

Ma, siccome la nostra società occidentale rivendica di ispirarsi ai grandi principi dell’uguaglianza e della fraternità, cari alla tradizione illuminista che è nata e si è sviluppata in Europa, cuore del Cristianesimo, essa si trova a professare una grande menzogna. Fa finta di voler inserire in sé, dentro il villaggio europeo e occidentale, l’escluso (il migrante, il clandestino, il senza fissa dimora, il carcerato …) ma non ci riesce. Perché non ci riesce? Perché dovrebbe guardarsi veramente dentro e contestare se stessa, il suo operato, quello che sta diventando, ed esportando nel mondo, ma non ne ha il coraggio, anzi meglio non ne abbiamo il coraggio.

I migranti sono i lebbrosi del ventunesimo secolo, del mondo di oggi. La società non ha altro luogo di esclusione che i campi di “accoglienza”, a volte quasi dei “lager” moderni dove rinchiudere le nostre ipocrisie e i nostri egoismi.

Allargare i confini del villaggio perché ci sia posto anche per quelli che sono esclusi, aggiornare le sue regole, essere veramente un villaggio globale, questa è la via che il Papa continuamente indica  dando  voce a coloro che voce in capitolo non ne hanno, che sono in balia di un futuro incerto, anche spaventoso. Allargamento dei confini, abbattimento dei muri, globalizzazione della solidarietà: possono essere l’ultimo lembo della nostra dignità.

Non dimentichino il mondo e l’occidente scristianizzato o peggio ancora apatico, indifferente e in preda a mode spiritualiste individualistiche, che Gesù ha vissuto l’esclusione, il rifiuto, l’abbandono. Già il Messia che doveva venire era atteso dai profeti come una pietra scartata. Gesù Bambino e la Santa Famiglia di Nazaret hanno vissuto da migranti, forse potremmo dire anche rifugiati, per molti anni, prima di poter tornare nella loro terra.

Papa Francesco oggi, con ancora maggiore forza, ha detto ancora che Gesù è venuto a svegliare la coscienza degli scartati di oggi, perché smettano di considerarsi legittimamente esclusi e sappiano che Dio è dalla loro parte e non devono perdere mai la speranza. Guai invece a quelli del villaggio se si chiudono nelle loro mura: guai agli Scribi e ai Farisei di oggi.

Gesù ha sancito una volta per sempre il crollo della struttura portante del villaggio arroccato nelle sue mura e agghindato con i suoi templi moderni, evanescenti e vuoti: “Non rimarrà pietra su pietra” se non diventa un villaggio globale, solidale e aperto, per tutti, in nome della nostra comune umanità. Chiediamo al Signore l’umiltà e il coraggio di allargare l’accampamento, aprire il fortino e abbassare le mura di cinta, altrimenti noi e prima ancora i nostri figli verremo travolti e soffocati dalle nostre stesse fortezze inespugnabili.


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Dare voce a chi non ha voce. La Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato

La Chiesa celebra Domenica 15 gennaio la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Quest’anno, Papa Francesco ha scelto come tema: “Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce”. Questa giornata ha più di cento anni e fu istituita nel 1914 da Benedetto XV.

Come ormai tutti sappiamo, la questione dei migranti e’ diventata un’emergenza globale. Secondo i dati riportati dalla Fondazione ISMU, sono oltre 181mila gli arrivi via mare registrati nel 2016 in Italia, in aumento del 18% rispetto all’anno precedente. Di essi, 25mila sono minori, di cui il 14% non accompagnati. Con questa Giornata siamo chiamati  a dare voce ma soprattutto risposte a questi esseri umani, soprattutto donne e bambini, che sono costretti a fuggire e a lasciare tutto, nella speranza di una vita migliore. Ma quali risposte possiamo dare? La nostra semplice risposta è una questione di buon senso: umanità, generosità e competenza.

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In primo luogo, notiamo che molte informazioni che ci vengono date o che riportiamo non sono corrette. Questo è spesso responsabilità di alcuni media, ma anche  nostra, come  cittadini. Abbiamo infatti il dovere di informarci e di non giudicare in base al sentire e all’apparenza. Soprattutto quando si tratta di questioni così fondamentali e delicate, come quelle della vita e della sicurezza di esseri umani in fuga perché a rischio della vita e della loro incolumità.

Dalle informazioni che riceviamo e da come noi parliamo, sembra che migranti e i rifugiati siano una fetta molto ampia della popolazione italiana. Sempre secondo le informazioni della Fondazione Ismu, riportate in un recente articolo del Sole 24 Ore , gli italiani credono che gli immigrati siano il 30% della popolazione, mentre si tratta di un mero 10%. Similmente, si ha una percezione più ampia della presenza musulmana, che suscita in molti una certa apprensione. Tali errate percezioni certo non aiutano ad affrontare la questione migranti, che richiede la cooperazione e la buona volontà di tutti, dalle istituzioni internazionali, ai singoli governi, fino a noi cittadini.

Poi ci siamo noi cristiani. Specialmente noi, non possiamo sottrarci al dovere della carità e non possiamo essere vittime della paura, tanto più se immotivata. Dobbiamo inoltre superare visioni ristrette e antistoriche. I cristiani hanno come vocazione quella di passare dal particolarismo all’universalità. Il Cristianesimo è per sua natura aperto al mondo. Non a caso si è adattato a molteplici culture e sistemi sociali, “fino agli estremi confini della terra”.

Per questo seguiamo l’invito del Papa e quanto detto profeticamente da San Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato. Apriamo i confini politici ed economici degli stati. Apriamo le case sfitte, le parrocchie e gli istituti religiosi. E soprattutto apriamo i nostri cuori verso questi nostri fratelli e sorelle che soffrono. Ci renderemo conto ancora una volta della realtà del Vangelo: se metteremo insieme le nostre forze verrà fuori qualcosa di bello e di umano, come i cinque pani e due pesci che condivisi e distribuiti con equità, con l’aiuto del Signore, hanno sfamato tanta gente.

E siamo fedeli alla nostra storia. Già nel 1914, Benedetto XV, scriveva ai vescovi diocesani italiani la lettera circolare “Il dolore e le preoccupazioni”, dove chiedeva di istituire una Giornata annuale per sensibilizzare e raccogliere offerte in favore degli emigrati italiani. Nel corso degli anni si è poi sviluppata e aggiornata questa iniziativa profetica del Papa, nata nell’ambito della Prima Guerra Mondiale, per arrivare alla struttura odierna. L’azione pastorale della Chiesa riguardo alla questione migratoria ha quindi una lunga storia e una notevole esperienza, ed è sempre stata una parte fondamentale della sua Dottrina Sociale. Noi cristiani dobbiamo metterla in pratica, attuarla nel mondo, secondo i tempi e i momenti.

La storia insegna che la paura è sempre stata una cattiva consigliera. Le nostre paure, poi, sono relative. Dal punto di vista dei migranti, quelle che sono le nostre paure sono invece una speranza. In fondo se la nostra cultura europea e occidentale oggi si sente più fragile, insicura e minacciata significa anche che finalmente altri popoli stanno rivendicando dignità e cibo per i loro figli, dopo secoli di oppressione e sfruttamento. Quello che il beato Paolo VI aveva preannunciato nella Enciclica Populorum Progressio si sta verificando oggi. E realmente oggi capiamo meglio che “lo sviluppo è il nome nuovo della pace”.

Convertiamoci dunque verso uno stile di vita più sobrio, verso gesti di carità concreti, invece di tante forme di devozionismo al limite della fede che non portano beneficio a nessuno, tanto meno al nostro cammino cristiano e alla nostra anima. Un gesto di carità, una preghiera, un diverso stile di vita personale possono portare qualcosa di bello, magari una vita migliore, a qualcuno. Aggiungiamo un gesto di carità, un po’ del nostro tempo, a un Ave Maria che ci viene chiesta come penitenza nella Confessione. “La carità copre una moltitudine di peccati” – dice la Scrittura. Siamo una piccola goccia nell’oceano, diceva Santa  Madre Teresa. Eppure quella “piccola matita nelle mani di Dio” vediamo cosa ha fatto.

Oggi sullo scenario internazionale si affaccia una grande opportunità per affrontare efficacemente il fenomeno migratorio. Il nuovo segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha diretto per tanti anni l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR). La sua esperienza in questo ambito è un fattore molto importante e certamente ha pesato sulla sua designazione. E’ una cosa che lascia ben sperare. Il mondo, nella sua sede istituzionale più importante, sembra essersi finalmente deciso ad affrontare risolutamente e senza più rinvii la crisi umanitaria legata all’emergenza migranti, emergenza che è ormai quotidianità. Guterres è anche un cattolico praticante. Pensiamo che potrà così unire le competenze tecniche e politiche all’umanesimo cristiano.

E non ci dimentichiamo dell’opera misericordiosa e profetica del nostro amato Papa Francesco, che ha deciso di guidare lui stesso in prima persona la sezione dedicata ai migranti del nuovo dicastero sullo Sviluppo Umano Integrale.

Preghiamo e operiamo come possiamo per questi nostri fratelli e sorelle, apriamo a loro il nostro cuore, ciascuno secondo le sue possibilità, sensibilità e competenze.