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Una “mattonella” del Papa per il Beato Allegra, traduttore della Bibbia cinese

Mons. Francesco Pesce

Una mattonella molto speciale – a nome di Papa Francesco – è stata recentemente posta nella Casa Natale del Beato Gabriele Maria Allegra OFM (1907-1976), frate francescano originario della Sicilia e missionario in Cina. Per il restauro della casa ormai completato e supportare attività caritative e di spiritualità di questo luogo ora meta di pellegrinaggi, l’Associazione “Gabriele fra le Genti”, costituita da alcuni familiari del frate che gestiscono la casa (dal 2017 proprietà della Provincia dei Frati Minori di Sicilia) ha lanciato l’iniziativa “una mattonella per il Beato”. Papa Francesco ha aderito a questa iniziativa, donando anche lui una mattonella in occasione della Giornata Missionaria Mondiale che si è celebrata lo scorso ottobre. La mattonella è stata istallata da poche settimane nel cortile della casa, che si trova a San Giovanni La Punta, vicino ad Acireale (provincia di Catania), aggiungendosi a quelle che via via sono state donate nel corso degli anni dai familiari del Beato, da fedeli della Sicilia e da altre parti dell’Italia, e dai cattolici cinesi, tra cui i fedeli della Diocesi di Hong Kong, che attraverso donazioni hanno contribuito all’acquisto e al restauro della casa. Lo scorso 31 dicembre, il Vescovo Ausiliare di Hong Kong – Mons. Joseph Ha Chi-Shing OFM – ha benedetto la mattonella donata dal Papa in occasione di un pellegrinaggio con un gruppo di fedeli.

Foto: ©Gabriele fra le Genti Onlus
Foto: ©Francesco Pesce

Il Cardinale Parolin ricorda il Beato Gabriele Maria Allegra

Insieme al Pontefice, anche il Segretario di Stato – il Cardinale Pietro Parolin – si è associato all’iniziativa, donando a sua volta una mattonella. Domenica 22 ottobre 2023, nella Giornata Missionaria Mondiale, il Cardinale Parolin aveva inaugurato una mostra di arte cristiana cinese e aveva poi presieduto la Messa, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria ai Monti (Diocesi di Roma), dove sono esposte le Reliquie del Beato Allegra per la venerazione dei fedeli. Per celebrare la Giornata e valorizzare il mese missionario, la parrocchia aveva anche organizzato un incontro il giorno successivo, per ricordare e far conoscere meglio questa straordinaria figura di apostolo della Parola di Dio in terra cinese.  Nell’omelia della Messa, nella quale hanno concelebrato anche alcuni Padri Francescani della Provincia Siciliana, il Cardinale ha ricordato la figura del Beato Allegra, conosciuto soprattutto per la sua traduzione della Bibbia in lingua cinese – la prima completa e dai testi originali per i cattolici cinesi, pubblicata a Hong Kong nel 1968 e ancora oggi largamente usata.  

Foto: ©Francesco Pesce
Foto: ©Francesco Pesce

Un incontro per tracciare la figura del Beato

 “Amo la Bibbia e amo la Cina: è per tutte e due che ho lavorato con lo stesso amore”: da questa frase del Beato Allegra il titolo dell’incontro tenutosi lunedì 23 ottobre nella parrocchia di Santa Maria ai Monti, organizzato dal parroco, Mons. Francesco Pesce, dalla onlus TherAsia da lui fondata e dalla Pontificia Università Antonianum. L’incontro ha visto la partecipazione attenta ed entusiasta di tanti fedeli, tra cui anche fratelli e sorelle cinesi, la maggior parte dei quali studia nelle varie università pontificie romane. In molti hanno espresso il desiderio di conoscere meglio questa figura, non ancora pienamente nota a molti, anche in Italia e in Cina.

Dopo i saluti di Mons. Francesco Pesce si sono susseguiti i vari interventi, moderati dal Dottor Gianni Valente, Direttore dell’Agenzia Fides.

Foto: ©Francesco Pesce

Il primo intervento – inviato in forma scritta dal Professor Rui Zhang, docente alla East China Normal University di Shanghai – è stato letto da Mons. Pesce. Il Professore ha fatto un breve excursus storico sull’introduzione e lo sviluppo del Cristianesimo in Cina, fino alla situazione attuale. Ha sottolineato l’antichità dei contatti tra Cina ed Europa, dal punto di vista culturale, commerciale e anche religioso. Tanti missionari occidentali nel corso dei secoli, in più ondate, hanno intrapreso la via della Cina per annunciare il Vangelo in quella terra. I Francescani prima, durante la dinastia Yuan nel XIII e XIV secolo, e successivamente – a partire dalla fine del ‘500, tra la fine della dinastia Ming e l’inizio della Qing – con la Compagnia di Gesù, e a seguire ancora i Francescani e poi i Domenicani e gli Agostiniani. Il Prof. Zhang accenna anche alla Questione dei Riti Cinesi, che causò divisioni all’interno della missione cattolica in Cina. A quel tempo, si pose questo dilemma, che fu poi risolto dal Pontefice: possono i convertiti cinesi continuare a praticare il culto a Confucio e agli Antenati oppure no? Quale termine usare per tradurre “Dio” in cinese? Un termine della cultura cinese o un termine differente, per evitare commistioni e fraintendimenti? La questione è stata poi definitivamente risolta dal Papa, secoli dopo, in favore della possibilità per i cattolici cinesi di praticare questi riti. 

Un esempio – noi osserviamo – che mostra come per due visioni del mondo antiche e profondamente radicate come il pensiero cinese e il Cristianesimo ci vuole tempo e pazienza per ascoltarsi, dialogare, superare incomprensioni e capirsi.

Il Professor Zhang si sofferma poi sul periodo tra il 1860 e il 1930, caratterizzato dalla traduzione della Bibbia in cinese, citando anche il lavoro del Beato Allegra, “che chiamò la traduzione del Testo Sacro ‘l’opera della mia vita’”.

Il Professor Stephane Oppes OFM, già Decano della Facoltà di Filosofia, docente di Metafisica alla Pontificia Università Antonianum e Consultore teologo del Dicastero per le Cause dei Santi, ha sottolineato come la “gioia del Vangelo” sia stata una caratteristica fondamentale della vita e della spiritualità del Beato Allegra, della sua multiforme attività nel “continente” cinese e della sua vocazione di frate minore e traduttore della Sacra Scrittura. “Gioia del Vangelo” non è un’espressione scelta “a caso” da Padre Oppes per il titolo del suo intervento, ma si ispira all’Enciclica di Papa Francesco Evangelii Gaudium, di cui nel 2023 ricorreva il decimo anniversario. 

Citando le Memorie che il Beato Allegra scrisse su richiesta del superiore a Hong Kong, Padre Oppes ha condiviso alcune parole significative del Beato: “Dico senza vanteria e senza esagerazione che sin da giovane, anzi giovanissimo, sono stato un sognatore”. Egli sognava in particolare di diventare “predicatore” e “missionario”.

Padre Oppes ha poi sintetizzato l’apostolato del Beato Allegra, in alcuni punti essenziali: 

  • L’annuncio del Vangelo per l’arte e nell’arte: il Beato Allegra vedeva nell’arte (la musica, la pittura in particolare) come un veicolo importante per l’evangelizzazione.
  • L’annuncio del Vangelo attraverso lo studio della Parola di Dio: organizzava momenti formativi, anche insieme alle altre denominazioni cristiane.
  • L’annuncio del Vangelo nel dialogo ecumenico.
  • L’annuncio del Vangelo nel dialogo tra le religioni: era ben consapevole della ricchezza della tradizione spirituale e religiosa della Cina e spingeva perché i testi della cultura e del pensiero cinese fossero presenti in biblioteca per conoscerli e approfondirli.
  • L’annuncio del Vangelo più “spicciolo”, cioè nella “pastorale ordinaria”, come frate e come prete.

Ha preso poi la parola poi il Professor Witold Salamon OFM, della Commissione Scotista Internazionale, con un intervento dal titolo: “Il Beato Gabriele Maria Allegra OFM – un frate dedito alla venerazione del beato Giovanni Duns Scoto e alla divulgazione del suo pensiero”. Tre sono state le principali questioni affrontate:

  1. La venerazione di Padre Allegra verso la Beata Vergine Maria, concepita senza peccato originale e assunta in cielo in anima e corpo, nonché verso l’insigne fautore dell’Immacolata e Assunta, ovvero il Beato Giovanni Duns Scoto – come emerge anche dalla corrispondenza del Beato Allegra con Carlo Balić, Primo Presidente della Commissione Scotista. 
  2. La Cristologia scotiana nella visione del Beato Allegra. Su richiesta di Carlo Balić, il Beato  Allegra intervenne al grande Convegno scotista in occasione del settimo centenario della morte di Giovanni Duns Scoto, svoltosi a Edimburgo e a Oxford nel settembre 1966. Oggetto del suo intervento fu un resoconto dei suoi colloqui a Pechino tra il 1942 e il 1945 con lo scienziato gesuita Teilhard de Chardin. Durante questi colloqui il Beato Allegra ebbe l’occasione di presentare una sintesi della cristologia scotiana a Teilhard de Chardin.
  3. Il profilo “scotistico” del Beato Allegra nelle sue “Memorie”. Ciascuno dei cinque quaderni delle “Memorie”, scritte pochi mesi prima della morte del Beato portano il titolo: “Et ideo multum tenemur Ei” (“perciò molto dobbiamo a Lui”). Con questa citazione di Scoto, il Beato Allegra esprime la gratitudine verso il Figlio di Dio fattosi carne che soffrì e morì in croce per noi, mosso da quell’amore che è l’essenza intrinseca di Dio. Nel lavoro di traduzione della Sacra Scrittura in cinese, Padre Allegra invocava ogni giorno l’intercessione del Servo di Dio Duns Scoto quale Patrono secondario dello Studium Biblicum di Pechino e poi di Hong Kong, celebrandone ogni anno l’8 novembre una commemorazione del beato transito.

Il successivo intervento è stato tenuto da Don Giuseppe Li Xianmin, Studente di Dottorato del Pontificio Istituto Biblico. Don Giuseppe spiega che dopo essere arrivato in Cina, nel 1935 il Beato Allegra iniziò a tradurre in modo indipendente la Bibbia dai testi originali in cinese. Lo aiutarono nella traduzione, i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento tradotti dal padre gesuita Luis Antoine de Poirot, che aveva trovato nella biblioteca della Chiesa del Nord (“Beitang”) a Pechino, per cui spese 6.000 dollari americani per scattare foto di questa traduzione. Inoltre, con l’aiuto dell’Arcivescovo Mario Zanin, chiese riuscì ad avere una copia della traduzione del Nuovo Testamento di Jean Basset, delle Missions Etrangères de Paris (MEP) dal British Museum di Londra.

Dal 1935 al 1944, il Beato Allegra completò da solo la traduzione dell’Antico Testamento. Nel 1945 fondò uno “Studium Biblicum” con la partecipazione di sacerdoti cinesi per aiutarlo a rivedere la traduzione. Nel 1948 lo Studium Biblicum si trasferì a Hong Kong, nel 1961 la traduzione dell’Antico e del Nuovo Testamento fu completata in più volumi e nel 1968 in un unico volume. Poi lo Studium Biblicum iniziò un nuovo lavoro di revisione, ma purtroppo nel 1976 il Beato Allegra morì. Nel 1975, lo Studium Biblicum pubblicò anche un “Dizionario Biblico” cinese, che raccoglie tutti i vocaboli biblici importanti. 

Nel 1993, la Bibbia tradotta sotto la guida del Beato Allegra – in cinese “Sigao” fu stampata per la prima volta a Pechino per la Cina continentale. Il 18 ottobre 2018 si è tenuta a Pechino una cerimonia in cui è stata lanciata un’edizione speciale in occasione del 50° anniversario dell’uscita della “Bibbia di Sigao – com’è chiamata in cinese. Tra il 1993 e il 2018, in Cina, sono state pubblicate e distribuite più di 4,5 milioni di copie della “Bibbia Sigao”.

Nel corso degli anni ho incontrato diversi cattolici cinesi che hanno letto tante volte la Bibbia intera anche 10, 20 volte o anche di più” – racconta Don Giuseppe. “Durante la pandemia di Covid, sotto le restrizioni del lockdown, molte famiglie cinesi iniziarono un piano di lettura della Bibbia pianificando di leggere la Bibbia intera in un anno, o alcuni mesi. In questo modo la fede cresce con il nutrimento della Parola di Dio quando non c’è possibilità di ricevere i sacramenti”.

Nel concludere il suo intervento, Don Giuseppe conferma che la Bibbia del Beato Allegra è apprezzata in Cina per la sua traduzione eccellente, elegante e accurata. Col passare del tempo, molte espressioni o termini impiegati andrebbero aggiornati, e con gli approfondimenti delle ricerche bibliche, una revisione accurata aiuterebbe la perfezione della traduzione: “Auspichiamo che attraverso l’opera magnificente del Beato Allegra e dei suoi collaboratori, la Parola di Dio si divulghi più ampiamente in Cina, e con il nutrimento della Parola di Dio, il Popolo Cinese conosca i misteri salvifici di Dio Padre”. 

Per il successivo intervento è stata raccolta una testimonianza dalla Professoressa Chiara Allegra, pronipote del Beato Allegra in quanto figlia di un nipote diretto del Beato – Saro Allegra – figlio di un fratello del Beato. Essendo nata due anni dopo la morte del Beato, Chiara Allegra non ha potuto conoscerlo personalmente, ma ha sempre vissuto in un’atmosfera familiare di fede, nella quale l’esperienza spirituale e missionaria dello “zio” – come è sempre stata abituata a chiamarlo – le è stata trasmessa. Sulle ginocchia delle zie, ascoltava le storie “di questo fraticello”, non troppo alto, semplice, umilissimo, ma “che era un grande della Chiesa”, che era partito missionario per annunciare il Vangelo al grande Popolo Cinese. Successivamente, Chiara ebbe modo di leggere le molte lettere che il Beato Allegra scriveva alla famiglia, che amava profondamente anche a distanza, e a cui scriveva collettivamente o individualmente. Per Chiara, l’amore e la passione che il Beato metteva nell’opera di traduzione della Bibbia in cinese nasce proprio dalla famiglia, chiesa domestica, che gli aveva trasmesso la fede, ponendo al centro Gesù.

Chiara ricorda che tutte le persone che lo hanno conosciuto personalmente avvertivano un senso di pace e di beatitudine, alla presenza del Beato Allegra. Era un uomo sempre sorridente; incoraggiava tutti a vivere nella gioia, che – diceva lui – “è mezza santità. Amava profondamente la Madonna, la nostra Madre Celeste: tutte le lettere che scrive iniziano con l’invocazione “Ave Maria”. Nelle lettere emerge la sua profonda attenzione verso l’altro. Tutti per lui erano “prediletti”. Spesso esortava alla preghiera quotidiana e a tenere fisso lo sguardo negli occhi di Maria. A volte, facendo riferimento ai suoi problemi di salute, dice che ciò che è più importante è che Dio mi dia la giusta salute per compiere la “grande traduzione della Bibbia”. 

Nel concludere la sua testimonianza, Chiara Allegra cita una lettera del Beato del 1929 o 1930: “Ringrazio sempre il buon Gesù, che mi ha dato dei genitori così cristiani, e lo prego che vi benedica, genitori amatissimi, affinché la nostra casa sia come la casa di Lazzaro, Marta e Maria a Betania, dove egli trovava immancabilmente dei cuori amici. Gesù vuole che la nostra famiglia sia una famiglia di Suoi amici intimi, affinché scacciato da tanti cuori trovi nei nostri l’amore che cerca invano altrove”. 

Mons. Francesco Pesce, appassionato di Cina, l’intervento conclusivo. Ricordando che il Beato Allegra arrivò in Cina quando aveva solo 24 anni, sottolinea che per più di 30 anni si dedicò anima e corpo alla traduzione completa della Bibbia in lingua cinese dai testi originali, che a quel tempo la Chiesa Cattolica in Cina ancora non possedeva – a differenza invece dei Protestanti. Con questo suo sacrificio di una vita voleva infatti “dare Cristo alla Cina e la Cina a Cristo”. 

Mons. Pesce condivide quanto ha appreso direttamente dai “Fratelli e Sorelle cinesi che ho incontrato nel mio cammino”, quanto cioè questa traduzione sia autorevole e amata al tempo stesso in Cina. Molti di loro ne sottolineano soprattutto il rigore e la fedeltà ai Testi Originali; altri la bellezza del testo – che è poi anche uno dei principi cinesi della traduzione (xin-da-ya – cioè fedeltà, comprensibilità ed eleganza); altri ancora il fatto che da sempre l’hanno utilizzata e quindi è a loro familiare, è per loro “la Bibbia per eccellenza”. Questo dopo 55 anni dalla sua pubblicazione.

Oltre all’eroicità per l’impresa che giovanissimo si era impegnato a portare a termine di fronte all’immagine della Madonna della Ravanusa di cui era molto devoto e a cui confidò speranze e preoccupazioni circa il lavoro di traduzione della Bibbia, sottolinea Mons. Pesce che del Beato Allegra colpiscono la gioia e serenità che emanano dal suo volto, nelle foto che possediamo. Lo vediamo spesso sorridente, con un sorriso che emana calore e pace nello stesso tempo, ed è indice di quella “povertà di spirito” che solo un rapporto profondo con Dio e una vita di preghiera possono donare. Prima di ogni sessione scriveva sempre un’invocazione o una preghiera alla Madonna. Per il Beato, la versione della Bibbia “dev’essere opera di pietà e di sana scienza biblica”.

Ciò non significa che questa impresa fosse tutta – potremmo dire – “rose e fiori”. Troviamo nei suoi scritti anche momenti molto umani, dove il peso e le difficoltà del lavoro si facevano sentire. Eppure, nell’umiltà e senza clamori riuscì a portare a compimento questa impresa. Gli erano di conforto le parole che gli aveva mandato a dire Papa Pio XI, che aveva trascritte dietro una foto del Pontefice e rilesse molte volte come incoraggiamento: “Dite a questo padre che nihil impossibile est oranti, laboranti et studenti. Ditegli che avrà molto da soffrire, ma non si abbatta. Lavori con costanza. Io su questa terra non vedrò quest’opera, ma dal Cielo pregherò per lui”.

Conclude, Mons. Pesce: “Dal Cielo, sono sicuro, il Beato Allegra prega e intercede per noi. Invochiamolo, conosciamolo meglio, lasciamoci ispirare dalla sua testimonianza”.

Foto: ©Francesco Pesce

Il Beato Gabriele Maria Allegra – breve biografia

Il Beato Gabriele M. Allegra nasce a San Giovanni la Punta (CT) il 26 dicembre 1907. Cresciuto in una famiglia umile e profondamente cristiana, diventa giovanissimo frate minore francescano. Ordinato sacerdote nel 1930, parte missionario in Cina l’anno successivo. E per trent’anni si dedica al suo sogno di traduzione della Sacra Scrittura in cinese, fondando lo Studio Biblico, prima a Pechino, poi trasferito ad Hong Kong, tutt’oggi attivo.

Foto: ©Gabriele fra le Genti Onlus

Uomo dotato di una straordinaria intelligenza, in ogni campo della cultura e della lingua ma soprattutto frate umile, nel 1955 riceve la laurea Honoris Causa in Sacra Teologia, come riconoscimento alla sua biblica cultura e all’immenso lavoro di traduzione. Mai trascura la vita religiosa e sacerdotale e la carità verso il prossimo più bisognoso. Testimone di una vita interiore piena di Dio, è la gioia che contraddistingue la sua personalità e santità.

Muore ad Hong Kong il 26 gennaio del 1976.

Il 29 settembre 2012 viene Beatificato ad Acireale (Catania), dove riposa il suo corpo nella chiesa di S. Biagio del Convento dei Frati Francescani.

Foto: ©Francesco Pesce

La casa Natale del Beato Allegra

 La casa natale del Beato fra’ Gabriele si trova a Giovanni La Punta, in provincia di Catania. Acquistata dalla Provincia dei frati Minori di Sicilia il 10 maggio 2017, grazie principalmente alle donazioni dei fratelli cristiani cinesi, è stata affidata con comodato d’uso gratuito alla gestione dell’Associazione “Gabriele fra le genti ONLUS”.

Foto: ©Francesco Pesce

Dopo il restauro, è divenuta luogo di accoglienza per tutti e di spiritualità e ospita una semplice ricostruzione storica della vita del Beato e della sua famiglia.

È casa per bambini e ragazzi, per adulti ed anziani, per chi ha bisogno di una parola di conforto o di sostegno, di guida e orientamento. Casa di gioia soprattutto.

Contatti per visite e pellegrinaggi:

Gabriele fra le genti Onlus

Casa Natale Beato Gabriele M. Allegra

Via Soldato Torrisi, 16

95037 S. Giovanni La Punta (Catania)

http://www.gabrielefralegenti.org

gabrielefralegenti@gmail.com


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Annunciare il Vangelo è la missione di tutti, soprattutto con la vita

Pubblichiamo l’omelia che il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, ha pronunciato nella parrocchia di Santa Maria ai Monti domenica 22 ottobre 2023 nella Messa che ha presieduto in occasione della Giornata Missionaria Mondiale. In quei giorni la parrocchia ha ricordato in maniera particolare la figura del Beato Gabriele Maria Allegra OFM, missionario in Cina a traduttore della Bibbia, le cui Reliquie sono esposte in chiesa per la venerazione dei fedeli. Il grassetto nel testo è nostro e ha lo scopo di sottolineare alcuni punti dell’Omelia.

Cardinale Pietro Parolin

Cari fratelli e sorelle nel Signore,

Ringrazio il vostro Parroco, Mons. Francesco Pesce, per l’invito a presiedere la Liturgia eucaristica in questa domenica in cui si celebra la 97ma Giornata Missionaria Mondiale.

L’ho accettato molto volentieri e desidero salutare tutti voi qui presenti, fedeli della parrocchia di Santa Maria ai Monti.

Ho trovato un po’ di difficoltà a collegare le letture ascoltate al tema della missione, che oggi è proposto alla nostra attenzione e alla nostra riflessione. Certamente, la domanda maliziosa dei farisei: “È lecito o no pagare il tributo a Cesare?” e soprattutto la risposta di Gesù: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio“, meriterebbero un commento approfondito, data l’importanza e la delicatezza, nello stesso tempo, dell’argomento. Infatti, quello delle tasse è un capitolo della Dottrina Sociale della Chiesa, che, nel Catechismo della Chiesa Cattolica, specifica che l’obbligo di pagarle si fonda sulla “sottomissione all’autorità e sulla corresponsabilità nel bene comune” (n. 2240). 

Foto: ©Francesco Pesce

Ci aiutano meglio ad entrare nel tema della missione alcuni versetti della prima lettura, laddove il Signore, rivolgendosi all’imperatore di Persia, Ciro Il detto “il Grande” (che autorizzò gli Ebrei a tornare nella loro patria dall’esilio in Babilonia e a ricostruire il Tempio e restituì i tesori che vi erano stati asportati da Nabucodonosor), afferma: “Perché sappiano dall’oriente e dall’occidente, che non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri“.

Dunque, il nome del Signore, la sua grandezza, la sua opera di salvezza deve essere fatta conoscere a tutto il mondo, dall’oriente all’occidente.

Stiamo celebrando il Sinodo dei Vescovi – e per il quale vi invito a pregare – che concentra la sua attenzione su tre parole: comunione, partecipazione, missione, le quali devono caratterizzare una “Chiesa sinodale“. Ma la comunione e la partecipazione sono in vista della missione, cioè dell’annuncio di Gesù Cristo, della sua conoscenza e dell’incontro personale con lui.

Un annuncio e una conoscenza non solo teorici, intellettuali, nozionistici, di testa, ma che nei sacramenti diventa incontro vivo con Gesù risorto e vivo, diventa esperienza forte di lui, fino al punto che ciascuno di noi dovrebbe poter dire con l’Apostolo Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato sé stesso per me” (Gal. 2,20).

La Giornata Missionaria Mondiale ci chiama a prendere sempre più coscienza del nostro compito missionario. Di che cosa in particolare?

Innanzitutto, che la Chiesa missionaria per natura. Se non lo fosse, sarebbe un’associazione tra molte altre, ma non la Chiesa di Cristo (cfr. Papa Francesco, Messaggio per la 91ma Giornata Missionaria Mondiale, 2017).

San Paolo VI, nell’Esortazione Apostolica Evangeli Nuntiandi, ha scritto così: “Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio di Cristo nella S. Messa che è il memoriale della sua morte e della sua resurrezione” (n. 14).

Papa Francesco ha ripreso questo concetto nell’Esortazione Apostolica Evangeli Gaudium, che è li documento programmatico del suo pontificato, e l’ha sintetizzato nella frase: “La Chiesa in uscita“. (n. 24). Al riguardo, Papa Francesco ci ha confidato un suo “sogno”: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale” (n. 27).

Questa natura missionaria della Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è legata al fatto che essa deriva la propria origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo (cfr. Ad Gentes n. 2). Ricordiamo le parole che Gesù rivolse ai discepoli nel Cenacolo dopo la sua risurrezione: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” (Gv. 20,21). E lo Spirito Santo, inviato dal Padre per mezzo del Figlio ha ispirato e resa capace la Chiesa di intraprendere la missione in sintonia con il comando e il mandato di Gesù: “Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (M.t 28,19).

La missione, quindi, non è qualcosa di facoltativo. Parlare della missione non è parlare di una delle attività della Chiesa, ma del senso e del significato della Chiesa nel mondo. Parlare della missione è parlare dell’origine e dello scopo della Chiesa in relazione al disegno di Dio per il mondo. La Chiesa missionaria per natura e l’evangelizzazione è un dovere fondamentale di ogni cristiano.

Ecco il secondo punto che vorrei sottolineare. Tutti siamo responsabili della missione, tutti siamo corresponsabili. Nella Evangeli Nuntiandi, che abbiamo già citato, San Paolo VI si domanda: che ha la missione di evangelizzare? L’opera evangelizzatrice è un dovere fondamentale del Popolo di Dio (cfr. n. 59), cioè di tutti i battezzati. Tutti i figli della Chiesa devono spendere le loro forze nell’opera di evangelizzazione (cfr. Ad Gentes n. 36).

Papa Francesco ha detto in un’Udienza: “Evangelizzare è la missione della Chiesa, non solo di alcuni, ma la mia, la tua, la nostra missione. L’Apostolo Paolo esclamava: «Guai a me se non annuncio il Vangelo» (1 Cor, 9,16). Ognuno deve essere evangelizzatore, soprattutto con la vita” (22 maggio 2013).

Non dimentichiamolo, cari fratelli e sorelle di Santa Maria ai Monti: annunciare il Vangelo è la missione non solo di alcuni, ma la mia, la tua, la nostra! E il nostro primo e principale dovere in ordine alla diffusione della fede è quello di vivere una vita profondamente cristiana (cfr. Ad Gentes, n. 36).

Il cristianesimo vive di due movimenti, quello del ricevere e quello del donare. Come figli di Dio noi riceviamo il dono della fede, riceviamo la Parola di Dio, riceviamo li perdono, riceviamo i Sacramenti, riceviamo una nuova vita nello Spirito. Tuttavia, noi completiamo il circuito della grazia di Dio solo quando andiamo a condividere queste stesse benedizioni con coloro che ancora non le hanno ricevute. Dobbiamo essere pronti a ridonare quanto abbiamo ricevuto.

Purtroppo, dobbiamo constatare che la coscienza missionaria presso molti cattolici si è affievolita, fino al punto quasi da spegnersi. Notiamo in molte parti della Chiesa una forte caduta del senso missionario. L’idea di annunciare Gesù agli altri un tempo infiammava il cuore e generava attenzione, interessamento e generosità tra i fedeli.

lo ricordo i tempi della mia infanzia, come si vivevano con intensità le Giornate Missionarie Mondiali e ci si sentiva profondamente coinvolti nella responsabilità di annunciare il Vangelo a chi ancora non lo conosceva. Una delle forme di partecipazione era rinunciare a qualcosa, mettendo da parte i soldi per aiutare i missionari, che allora lavoravano soprattutto in quelle che venivano chiamate le “terre di missione” e che allora, come oggi, si collocano “agli avamposti della missione, ed assumono i più grandi rischi per la loro salute e per la loro stessa vita” (Evangelii Nuntiandi n. 69)

Come non ricordare qui il Beato P. Gabriele Allegra, francescano minore, nato a San Giovanni La Punta, un paesino in provincia di Catania nel 1907, che parti missionario in Cina quando aveva solo 24 anni e mori a Hong Kong nel 1976? Il suo nome è legato alla traduzione della Bibbia in lingua cinese. La sua figura sarà approfondita nella Tavola rotonda che si terrà in questa parrocchia domani sera. 

Ma non è necessario salpare i mari o scalare le montagne o andare in chissà quali luoghi remoti per portare il dolce nome di Gesù. Certo, non può mancare questo impegno che chiamiamo la missione “ad gentes“. Ma dobbiamo ricordare che la missione, come la carità, incomincia da casa nostra. Il luogo da dove dobbiamo iniziare sarà per noi proprio tra i membri sbandati e tiepidi delle nostre famiglie e delle nostre parrocchie e comunità. Dovunque siamo e andiamo è territorio di missione; dovunque siamo e andiamo siamo chiamati ad annunciare Gesù.

lo vorrei che questa S. Messa, in coincidenza con la Giornata Missionaria Mondiale, accendesse in tutti noi qui presenti, o almeno in qualcuno, il “fuoco missionario”, l’ansia, mai appagata, di far conoscere Gesù e il suo Vangelo a coloro che ancora non lo conoscono o che l’anno dimenticato. Perché – non dimentichiamolo – “la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui, sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (Evangelii Gaudium, n. 1).

Papa Francesco, che ha scritto queste parole all’inizio dell‘Evangeli Gaudium, ha usato delle bellissime immagini nel messaggio per la presente Giornata Missionaria Mondiale, prendendo spunto dal racconto dei discepoli di Emmaus nel Vangelo di Luca (cfr. 24,13-35): cuori ardenti, per le Scritture spiegate da Gesù; occhi aperti nel riconoscerlo e piedi in cammino per ritornare a Gerusalemme e annunciare che il Signore era veramente risorto.

Che bello: cuori ardenti, occhi aperti, piedi in cammino! Ripartiamo anche noi, cari fratelli e sorelle, da questa celebrazione con cuori ardenti, occhi aperti e piedi in cammino per far ardere altri cuori con la Parola di Dio, aprire altri occhi a Gesù Eucaristia e invitare tutti a camminare insieme sulla via della pace e della salvezza che Dio in Cristo ha donato all’umanità.

Ci affidiamo all’intercessione di Santa Maria, Madre nostra, patrona di questa comunità e parrocchiale regina delle missioni.

Così sia.


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IL coraggio della Pace

“All’inizio del nuovo anno, tempo di grazia che il Signore dona a ciascuno di noi, vorrei rivolgermi al Popolo di Dio, alle nazioni, ai Capi di Stato e di Governo, ai Rappresentanti delle diverse religioni e della società civile, a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo per porgere i miei auguri di pace ”.Papa Francesco desidera ricordare nel suo Messaggio per la pace di questo anno, intitolato Intelligenza artificiale e pace, che tutti siamo responsabili nella costruzione della pace, e desidera anche rinnovare gli sforzi di tutte le religioni e degli uomini di buona volontà per costruire un mondo pacificato. Quando noi riflettiamo sulla Pace,dobbiamo liberarci da una  pre comprensione  che ne fa quasi un fatto  irrealizzabile  e credere  invece  come essa sia non solo possibile ma anche una vocazione per ogni uomo. Gesù poi sulla Croce, ci ricorda San Paolo, ha distrutto in sé l’inimicizia, ha distrutto le barriere  che separano gli uomini. Gesù non è solo un annunciatore di pace, come ce ne sono stati molti nella storia; Lui  ha realizzato in sé le condizioni vere per la pace.  Anche le religioni spesso sono rimaste alla pace come annuncio, ma alla prova dei fatti non sembra che siano riuscite a creare un mondo pacificato. L’annuncio del vangelo della pace non basta, bisogna distruggere le inimicizie, i muri, i pregiudizi, proprio come ha fatto Gesù.Ricorda spesso Papa Francesco:”solo la pace è santa, non la guerra”. Anche le parole che diciamo con tanta facilità – «siamo tutti fratelli» – sono parole molto impegnative e non possiamo più dirle se non cominciamo da noi stessi a distruggere, le pareti di separazione che ci separano dagli altri. Non separazione ma comunione, a partire dalla preghiera. Questo è possibile farlo sempre, ad ogni livello, in ogni casa, in ogni ufficio, in ogni momento della giornata. La pace è prima di tutto un dono di Dio, per ogni uomo e per ogni religione. La legittima paura di perdere ognuno la propria identità è una cosa pericolosa perché rischia di far perdere di vista una cosa ancora più grande, che è la vita stessa, dove lo Spirito soffia quando e dove vuole ; chi vuole ingabbiare lo Spirito con “una legge fatta di prescrizioni e di decreti”(Ef 2,15) si illude e non può cogliere l’attualità dello Spirito.  La pace non si costruisce per legge e decreti, e non si costruisce neanche con la paura di perdere qualche cosa, ma studiando amando e servendo il mondo,come diceva Paolo VI, disposti anche a sacrificare non la propria identità ma se necessario alcune tradizioni fino a quando “Dio sarà tutto in tutti”.(I Cor 15,28)


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Se Tu squarciassi i cieli e scendessi (Is 63,19): il Tempo di Avvento

L’Avvento non è una prima di tutto una preparazione al Natale, ma una contemplazione della seconda venuta di Gesù alla fine dei tempi. Noi viviamo i nostri giorni tra due avvenimenti; un fatto già avvenuto, la nascita, e un altro atteso, il suo ritorno alla fine della storia. Noi anche celebriamo l’eucarestia, “nell’Attesa della Sua venuta”.

L’Avvento si estende per quattro settimane nel quale il colore liturgico è il viola, riservato ai tempi di attesa (Avvento e Quaresima) e di dolore (morte).  Si distingue la terza domenica, detta domenica Gaudete/Rallegratevi, dalla prima parola dell’antifona d’ingresso, in cui nel medioevo si interrompeva il digiuno di Avvento, simile a quello di Quaresima per l’ormai prossimo Natale. Durante il periodo di Avvento non si canta il Gloria,che esprimerà la gioia degli angeli e di tutta la creazione nella notte di Natale,  mentre rimane il canto dell’Alleluia, come espressione del già e non ancoradel tempo in cui viviamo.

Nel 490 il vescovo di Tours ordinò che il periodo prima di Natale diventasse un tempo penitenziale nella Chiesa Franca dell’Europa Occidentale, e ordinò un digiuno di tre giorni ogni settimana a partire dall’11 novembre, festa di S. Martino di Tours protettore della sua città. Tra la festa di San Martino e il Natale ci sono 40 giorni. Questo numero di giorni   ricordava il  tempo dei 40 giorni della Quaresima, come anche  i 40 giorni e le 40 notti di Mosè sul monte Sinai (Es 24,18; 34,28). Ecco perché il tempo di Avvento fu anche denominato   Quadragesima Sancti Martini o anche Quaresima e  digiuno  di 40 giorni di San Martino. Come la Pasqua era preceduta dalla Quaresima di penitenza, così anche il Natale era preceduto dalla Quaresima di San Martino. Si viveva la gioia della venuta del Messia con una attenzione penitenziale.

Un secolo dopo (sec. VI) anche nella Chiesa di Roma viene introdotto il Tempo di Avvento, con un tono prevalentemente gioioso sviluppando di più l’aspetto di preparazione al Natale.  Nel sec. XIII, alla fine del Medio Evo, i due aspetti della liturgia gallicana e romana trovarono una sintesi tra aspetto penitenziale e festoso. Ancora oggi fondamentalmente si mantiene questo equilibrio grazie alla riforma liturgica voluta dal concilio Vaticano II e da Paolo VI.

Il  nostro  compito di cristiani del ventunesimo secolo  è quello di tenere alta  e luminosa la fede nel Dio di Gesù Cristo, tra poco bambino, crocifisso e risorto. Dobbiamo anche mantenere , e non è un compito secondario,  la fede in un mondo di giustizia e di pace di cui nel tempo di Avvento ci parleranno i profeti. Noi crediamo che sia necessario, l’amore, il volersi bene nella città, cioè nelle nostre metropolitane, nei nostri palazzi, nei nostri luoghi di lavoro; crediamo che sia non solo importante, ma necessario.

Non basta più che nel mondo ci siano le anime buone che si dedicano alle opere buone. Ogni potere ha sempre avuto bisogno di qualche anima buona. Nella logica del potere   qualcuno che si dedica alla giustizia è un ottimo paravento, per fare più comodamente i propri affari!

Ascolteremo in questo tempo di Avvento, il grido di Giovanni Battista : «Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni burrone sarà riempito, ogni monte abbassato; le vie tortuose diventeranno diritte e quelle impervie, spianate». La voce ci parla di un mondo duro e difficile, violento in tanti giorni della storia.  Le montagne insuperabili oggi sono quei muri che tagliano in due le città, le nazioni, le speranze di tanta povera gente. I burroni scoscesi sono la disperazione di molti che attendevano carità e hanno trovato leggi disumane e spietate. Il profeta però vede oltre, vede strade che corrono diritte e piane, burroni colmati, monti spianati. Il profeta vede le speranze mai sconfitte degli uomini. Vede soprattutto il sole che sorge sulle notti di tante persone e di tanti popoli.

Il profeta garantisce: «Ogni uomo vedrà la salvezza». Dio viene e non si fermerà davanti ai burroni o alle montagne, e neanche ai cuori di pietra.  Perché :” un bambino è nato per noi; ci è stato dato un figlio”.(Is 9,5)


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Il vangelo e i poveri

Domani nella domenica che precede la Festa di Gesù Cristo Re dell’universo, si celebra la 7à edizione della Giornata Mondiale dei Poveri voluta da papa Francesco nel 2017.

Nel Messaggio per questo anno il Santo Padre ci invita a:”non distogliere lo sguardo dal povero”(Tb4,7), commentando la storia drammatica e magnifica di Tobia. Nel testo della lettera si fa anche riferimento alla profezia della Pace in Terris di Giovanni XXIII e alla tenacia di Santa Teresina, proprio nel sessantesimo anniversario della storica enciclica e nel 150° anniversario della morte della grande testimone missionaria.

19 novembre. Giornata Mondiale dei Poveri - Il messaggio di Papa Francesco

Sappiamo anche che il mandato di Gesù riguardo ai poveri è molto preciso.

Nella Sinagoga Gesù prese il il rotolo del profeta Isaia e – come dice il testo greco  trovò quel passo dopo averlo cercato. Il verbo greco infatti è eurisko – da cui viene la ben nota esclamazione eureka! Gesù cioè sceglie un passo che probabilmente non era previsto si leggesse e che invece Lui cerca e trova apposta per leggerlo in quel momento.

Si tratta del capitolo 61 del profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”.

Qual è questo “vangelo” di cui ci parla Isaia a cui fa eco Gesù? Il “vangelo” che si attendono i poveri – i primi a cui ancora una volta questo lieto annuncio è rivolto – è la fine della povertà. I prigionieri attendono la libertà, i ciechi si aspettano di poter vedere, e gli oppressi di essere sollevati dai loro pesi.

Nel mondo siamo testimoni, spesso piuttosto spettatori volenti o inermi, di tante forme di povertà (materiale, morale, spirituale), ingiustizie, prevaricazioni, disabilità, vulnerabilità…. Anche noi, nelle nostre vite, abbiamo le nostre povertà, siamo prigionieri di tante cose e siamo oppressi in qualche parte del nostro cuore. Ma, ci ha preannunciato Isaia e ci ha ricordato il Signore Gesù: “Coraggio, non temere, Egli viene a salvarti”(Is 35,4). E ancora ci dirà : “La verità vi farà liberi”(Gv 8,32). Quella salvezza, quella verità è proprio il Signore Gesù, che è il compimento della Scrittura, cioè il compimento del “lieto annuncio”.

E’ importante allora per tutti noi avere la coscienza, avere la certezza che c’è un punto, un “stella polare” dove guardare; che camminiamo su un sentiero già tracciato e – come ci ricorda Isaia – “spianato” dal Signore, nel deserto, che sono a volte le nostre vite, le nostre società. Dobbiamo tenere lo sguardo fisso su di Lui  e seguirlo, lasciandoci guidare dallo Spirito, certi che così non smarriremo la via. Molte volte noi cerchiamo ma non troviamo (la soluzione di quel tale problema, la risposta ad una certa domanda, il coraggio di fare una scelta…) proprio perchè prima che affidarci allo Spirito e distogliendo lo sguardo da Gesù, contiamo solo sulle nostre forze, pianifichiamo solo in base ai nostri calcoli, guardiamo solo alle nostre priorità. E non capiamo che dobbiamo “rovesciare” il nostro modo di pensare, vedere e fare le cose: perché prima di tutto siamo noi ad essere già stati trovati e soprattutto amati e “salvati”.

Scrive ancora l’evangelista Luca:” Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti, erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.

Noi dobbiamo certamente essere informati, preparati, leggere, pregare e meditare la Parola di Dio, ma subito dopo abbiamo il dovere di chiudere il “libro”, “arrotolarlo” come ha fatto Gesù, per metterci al servizio di quelli che aspettano la liberazione e che hanno gli occhi fissi su di noi e si attendono da noi una parola di conforto, una presa di posizione, un gesto di speranza, forse anche di rottura. Ricordiamoci sempre di cosa ha detto il Signore: “beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica”. Oggi sono milioni i bambini, le donne, i popoli interi che attendono e che ci guardano. E  ragionando  più “in piccolo”, ci sono tanti che si aspettano una risposta da noi nelle nostre vite – i nostri vicini, i colleghi, i familiari, i poveri che sono nelle strade delle nostre città. Da troppo tempo il nostro occidente, le nostre case, a volte anche le nostre chiese assomigliano alla comunità di Esdra descritta nella Bibbia, chiusa nella propria autosufficienza e dimentica dei bisogni dei poveri. In tanti attendono la liberazione e tengono gli occhi fissi su di noi.

Il nostro compito di cristiani è prima di tutto contribuire alla costruzione di una società liberata, noi prima di tutto siamo battezzati nello Spirito che libera gli oppressi e dobbiamo sentire forte l’urgenza di questo compito, di questa missione, la liberazione dei poveri, degli oppressi e degli emarginati.


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Il grido di angoscia e disperazione dei poveri dovrebbe svegliarci dal letargo

Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2023*

In questi giorni l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) sta ospitando una serie di eventi collegati con la Giornata Mondiale dell’Alimentazione, che si celebra ogni anno in ottobre. 

Alla cerimonia annuale che si è tenuta lunedì mattina 16 ottobre, Papa Francesco ha rivolto un messaggio al Direttore Generale della FAO – Qu Dongyu – attraverso Mons. Fernando Chica Arellano, Osservatore Permanente della Santa Sede presso la FAO, il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD) e il Programma Alimentare Mondiale (PAM) – le tre agenzie delle Nazioni Unite del polo agro-alimentare con sede a Roma. 

All’inizio del suo Messaggio – letto in spagnolo ma pubblicato anche in inglese –, il Santo Padre ricorda “molti dei nostri fratelli e sorelle che soffrono la povertà e lo scoraggiamento”, “il cui grido di angoscia e disperazione dovrebbe svegliarci dal letargo che ci attanaglia”. Senza mezzi termini, Papa Francesco afferma che “la condizione di fame e malnutrizione che ferisce gravemente così tanti esseri umani è il risultato di un accumulo iniquo di ingiustizie e diseguaglianze”, e questo riguarda non solo l’accesso al cibo – continua il Messaggio – ma anche a tutte le risorse fondamentali che restano inaccessibili per molti. Ciò è “un insulto che dovrebbe far vergognare tutta l’umanità e far mobilitare la comunità internazionale”. 

Facendo eco al tema della Giornata di quest’anno – l’acqua è vita, l’acqua è cibo. Non lasciare nessuno indietro – il Papa spiega che l’acqua “garantisce la sopravvivenza”, ma è una risorsa minacciata in “quantità e qualità” da diversi fattori, tra cui il cambiamento climatico, cosicché “i nostri fratelli e sorelle soffrono di malattie o muoiono proprio a causa dell’assenza o della scarsità di acqua potabile”.  Secondo il Pontefice, “l’accesso all’acqua potabile è un diritto umano fondamentale e universale”, che richiede investimenti infrastrutturali, soprattutto nelle aree più povere e remote. Il Messaggio evidenzia poi l’importanza dell’acqua per la sicurezza alimentare, in quanto elemento essenziale per la produzione agricola. È pertanto necessario promuovere tecnologie e pratiche per una gestione sostenibile dell’acqua, per contrastarne la scarsità e preservarne la qualità. A questo riguardo, ci permettiamo di notare quanto sono importanti – oltre alle tecnologie e alle infrastrutture – approcci istituzionali partecipativi con il coinvolgimento delle comunità, che hanno dato prova in molti casi di una gestione dell’acqua – e più ampiamente delle risorse naturali – più inclusiva e sostenibile.

Alla fine del messaggio, il Papa nota con rammarico che “risorse finanziarie e tecnologie innovative” – che potrebbero essere usate per risolvere i problemi collegati all’acqua – vengono “dirottate verso la produzione di armi e il commercio”. Concludendo, il Papa ribadisce la disponibilità della comunità cristiana a fare la propria parte: “La Chiesa non si stanca mai di seminare quei valori che costruiranno una civiltà che trova nell’amore, nel mutuo rispetto e nell’aiuto reciproco una bussola che guidi i propri passi, volgendosi soprattutto a quei fratelli e sorelle che soffrono maggiormente, come coloro che soffrono la fame e sete”.  

*Le citazioni dal Messaggio sono una nostra traduzione in italiano


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Laudate Deum: Siamo responsabili del Creato, della “terra che è di Dio”

Riflessioni sull’Esortazione Apostolica “Laudate Deum” di Papa Francesco sulla crisi climatica

È stata resa pubblica il 4 ottobre scorso nella festa di San Francesco l’Esortazione Apostolica “Laudate Deum, che si pone in continuità con  l’Enciclica “Laudato Si’ sulla  cura della casa comune pubblicata nel 2015. La Laudate Deum tratta una questione tanto complessa quanto specifica e specialistica – la crisi climatica -, che sta causando un “deterioramento globale dell’ambiente”. Poiché tale questione sta a cuore a tutti noi“il clima è un bene comune, di tutti e per tutti” (23), e “la terra è essenzialmente una eredità comune, i cui frutti devono andare a beneficio di tutti” (93), l’Esortazione Apostolica è indirizzata “a tutte le persone di buona volontà”. 

Con un tono e un linguaggio che non nascondono – anzi esplicitano in maniera drammatica – la gravità della crisi, Papa Francesco condivide ancora una volta dopo la Laudato Si’ le sue “accorate preoccupazioni” con “sorelle e fratelli del nostro pianeta sofferente” – la nostra “casa comune” -, paventando presto un “punto di rottura” (2) e illustrando alcuni degli effetti del cambiamento climatico che già si stanno facendo sentire su tutta l’umanità, particolarmente sulle “persone più vulnerabili” (3). Tra essi – come evidenziano agenzie e istituzioni internazionali specializzate – eventi metereologici estremi quali inondazioni, siccità, carestie, incendi, riscaldamento degli oceani; la perdita della biodiversità e il degrado delle risorse naturali, tra cui terra e acqua (che costituiscono la principale fonte di sostentamento nei Paesi poveri e in Via di Sviluppo, che dipendono ancora in gran parte dall’agricoltura), con conseguente aumento di conflitti per l’accesso (anche questo spesso limitato) a tali risorse; cattivi raccolti, che aumentano fame e povertà;  migrazioni forzate, soprattutto dai “piccoli Stati insulari in via di sviluppo”, molti dei quali rischiano nei prossimi decenni di essere sommersi a causa dell’innalzamento del livello del mare dovuto allo scioglimento dei ghiacci; aumento degli sfollati interni, tra cui anche minori.

Una questione, quella del cambiamento climatico, che per il Santo Padre non è “meramente” di natura ecologico-ambientale – come i “non specialisti” potrebbero essere indotti a pensare – ma strettamente legata “alla dignità della vita umana” (3). 

Il cambiamento climatico ha infatti un’origine, una portata e implicazioni più ampie, di natura sociale e morale, con ulteriori implicazioni economiche, distributive e politiche, che costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità. Ammonisce il Santo Padre che “cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale” (57). E ancora: “Supporre che ogni problema futuro possa essere risolto con nuovi interventi tecnici è un pragmatismo fatale” (57); il cambiamento climatico va trattato invece come “un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli (58). Solo affrontandolo con tale consapevolezza e prospettiva più ampie – che vanno ben al di là dell’ausilio esclusivo della “fisica” e della “biologia” nonché del “paradigma tecnocratico” – è possibile trovare risposte efficaci e adeguate, sulla strada di “uno sviluppo sostenibile e integrale” per “proteggere” e – aggiungiamo noi – salvare la “nostra casa comune”.

Riconoscere le “dimensioni sociali del cambiamento climatico”, significa riconoscere che si tratta di “più di una crisi ambientale” ed è invece una “crisi sociale”*, strettamente connessa con le diseguaglianze globali e a più livelli, cioè “tra Paesi ricchi e Paesi poveri; tra ricchi e poveri all’interno dei Paesi; tra uomini e donne e tra generazioni”*. È proprio a causa di tali diseguaglianze che “i più poveri e vulnerabili portano il peso maggiore” degli effetti del cambiamento climatico, anche se “contribuiscono in maniera minore”*. Essi subiscono anche in maniera maggiore l’impatto relativo alle misure adottate per affrontare i cambiamenti climatici, soprattutto in assenza di politiche inclusive o quando gli approcci adottati non sono formulati in collaborazione con i beneficiari e le comunità interessate*. Per aumentare la resilienza al cambiamento climatico, un aspetto importante consiste nel riconoscere il valore e cercare sinergie tra conoscenze “scientifiche”, “indigene” e “locali” (*World Bank*; **Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC).  

Tra i gruppi sociali più vulnerabili ed esposti al cambiamento climatico, su cui l’Esortazione si sofferma, vi sono i migranti, “che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale […]”. Ma anche le donne, che a causa di sistematiche diseguaglianze, sono più vulnerabili agli shock esterni. Soprattutto nei Paesi in via di Sviluppo (PVS), le donne – rispetto agli uomini – hanno un minore accesso a risorse naturali (in primo luogo la terra), input agricoli, informazione, formazione, tecnologie, capitale finanziario e mercati. Generalmente non hanno voce nei processi decisionali a livello della famiglia e della comunità e hanno un carico di lavoro estremamente pesante, in casa e sui campi, che incide non solo sulla loro salute e benessere, ma anche sulle opportunità di formazione e di impiego. Dati recenti delle Nazioni Unite mostrano che un numero maggiore di donne rispetto agli uomini soffre la povertà e la fame. Le famiglie monoparentali con a capo le donne sono tra i gruppi più vulnerabili. 

Anche i contadini e i produttori su piccola scala che vivono nei PVS sono duramente colpiti dal clima che cambia. Si tratta di coloro che producono la maggior parte del cibo che si consuma in Asia e in Africa Sub-Sahariana, usando appezzamenti di terra sotto i due ettari. Sono tra i più colpiti dipendendo in massima parte dall’agricoltura e attività correlate, ma sono tra coloro che vi hanno contribuito di meno. 

Infine, le popolazioni indigene, a causa del loro stretto legame e dalla dipendenza dall’ambiente naturale. Il cambiamento climatico peggiora la loro già difficile condizione, in particolare aumentando “esclusione politica ed economica, perdita di terra e risorse naturali, violazioni dei diritti umani, discriminazioni e disoccupazione”***.

A fronte dei dubbi suscitati da alcuni, anche nella Chiesa Cattolica, e in linea con la maggioranza degli esperti del clima e degli scienziati, l’Esortazione Apostolica sostiene l’origine umana del cambiamento climatico, che “non può più essere messa in dubbio” (11). Dal 1800 sono infatti le attività umane il principale motore del cambiamento climatico e del riscaldamento globale del pianeta, in particolare a causa dell’uso dei combustibili fossili quali carbone, petrolio e gas****, come recentemente reiterato anche dall’Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC. L’Esortazione è quindi un appello a tutti noi affinché – ciascuno secondo le proprie possibilità e responsabilità – inverta la rotta, considerando che i cambiamenti del clima non solo sono “diffusi, rapidi e in aumento” (Nazioni Unite e IPCC), ma alcuni di essi sono “irreversibili” (15), quali l’innalzamento del livello dei mari, il riscaldamento degli oceani e lo scioglimento dei ghiacci. I nostri comportamenti e le nostre scelte individuali ma anche le decisioni politiche sono quindi la via più efficace e soprattutto possibile per uscire da questo cammino che può essere senza ritorno. 

Sul piano della cooperazione multilaterale, l’Esortazione nota una “debolezza della politica internazionale” (34-36), incoraggia “gli accordi multilaterali tra gli Stati” (34) e auspica un abbandono del “vecchio multilateralismo”, per “riconfigurarlo e ricrearlo alla luce della nuova situazione globale” (37). Non entra nello specifico su alcune questioni chiave alla base delle necessità di rilanciare un multilateralismo genuino e di riformare alcune istituzioni e processi multilaterali, quali la mancanza di una reale volontà politica a prendere in mano la situazione e ad affrontare oltre parole, una volta per tutte, questioni su cui si dibatte da decenni; le difficoltà di esercitare una leadership etica forte e condivisa; l’eccessiva burocratizzazione; la duplicazione di alcune iniziative e la scarsa cooperazione che possono generare inefficienze e spreco di risorse; un rigurgito di nazionalismo, che va nella via opposta a una genuina cooperazione tra gli stati e a una ricerca di convergenze e sinergie per un bene più alto e privo di interessi di parte, soprattutto in favore dei Paesi più poveri e svantaggiati.

Concludiamo questa semplice riflessione con delle domande, che forse possiamo trovare in filigrana nel testo dell’Esortazione: che mondo vogliamo trasmettere a chi verrà dopo di noi? Ma anche – considerando che gli effetti del clima si stanno già facendo sentire – in che mondo vogliamo vivere i nostri anni? Come vivere una globalizzazione che non sia quella della indifferenza? Come la mia esperienza particolare può contribuire al bene di tutti? Come cristiani, cosa possiamo fare – sul piano individuale e collettivo – e se abbiamo responsabilità sociali, istituzionali e politiche? Come far dialogare e collaborare scienza e fede, tecnica e fede, fede e politica, per un interesse super partes e per il bene comune? 

In un’emergenza pressante come quella del cambiamento climatico che minaccia il Creato che ci è stato dato in dono e in eredità, siamo chiamati ad agire con urgenza, senza se e senza ma, senza ambiguità e andando oltre alle dichiarazioni d’intento e alle analisi che ormai sono chiare e approfondite. Bisogna – come cristiani in particolare – essere testimoni credibili e portatori della speranza “che non delude” (Rm 5,1).

https://www.worldbank.org/en/topic/social-dimensions-of-climate-change;

** https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg2/downloads/report/IPCC_AR6_WGII_SummaryForPolicymakers.pdf

*** https://www.un.org/esa/socdev/unpfii/documents/backgrounder%20climate%20change_FINAL.pdf

**** https://www.un.org/en/climatechange/what-is-climate-change#:~:text=But%20since%20the%201800s%2C%20human,sun%27s%20heat%20and%20raising%20temperatures; https://www.un.org/en/climatechange/science/mythbusters


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Lasciamo fare allo Spirito Santo, il vero protagonista del Sinodo

Si è aperto stamattina il Sinodo sulla sinodalità con una Messa solenne in San Pietro presieduta da Papa Francesco, idealmente affidandolo al Santo di Assisi, nel giorno della sua festa liturgica. “Lasciamo che lo Spirito Santo sia il protagonista del Sinodo” – ha detto il Pontefice nell’omelia, invitandoci a essere una Chiesa ospitale, non con le porte chiuse”, seguendo “lo sguardo accogliente di Gesù”.

Papa Francesco ha voluto fortemente questo sinodo, che continuerà in una seconda parte nel 2024. Potremmo dire che si tratta di un “sinodo nel sinodo”, perché riflette proprio sulla natura stessa della Chiesa, sul suo essere – potremmo dire costitutivamente – sinodale – cioè chiamata ad annunciare e a testimoniare il Vangelo, “camminando insieme” (questo il significato del termine sinodo). Camminare insieme al Popolo di Dio, ma anche al mondo, e a tutti gli uomini di buona volontà.

Il Papa stesso, rispondendo attraverso il Dicastero per la Dottrina della Fede a cinque “Dubia” sollevati da alcuni cardinali nei giorni scorsi, ha affermato che la sinodalità “come stile e dinamismo, è una dimensione essenziale della vita della Chiesa”. La Chiesa è “mistero di comunione missionaria”, che “implica necessariamente una partecipazione reale: non solo la gerarchia, ma tutto il Popolo di Dio in modi diversi e a diversi livelli può far sentire la sua propria voce e sentirsi parte del cammino della Chiesa”.

Crescere come Chiesa sinodale è la strada maestra che il Papa ha indicato. L’esperienza stessa ci suggerisce di non dare mai per scontato che la Chiesa sappia sempre camminare insieme come Popolo di Dio radunato dal Signore; ancora oggi troppi sono gli esclusi, e non pochi quelli che non hanno voce. Anche in questo caso, potremmo dire, si tratta di un “cammino nel cammino”, spesso in salita, ma d’altra parte Gesù stesso ci ha dato testimonianza di questo, camminando con fatica e determinazione sulla strada verso Gerusalemme. Camminare alla sequela di Gesù, camminare insieme, spesso significa anche camminare con la croce.

L’ Instrumentum laboris è il documento di riferimento per seguire i lavori del Sinodo. Diviso in due grandi aree, è il risultato di tutto il materiale raccolto nei cammini   diocesani e continentali ed esprime quindi l’universalità della Chiesa. Una Chiesa – come spiega il documento – che intende affrontare in questa assise tematiche molto concrete come il dramma della guerra, i cambiamenti climatici, il ruolo di una economia che spesso uccide, il dramma degli abusi sessuali, il ruolo donne nella Chiesa – solo per citarne alcuni.

Anche per questo nell’Instrumentum Laboris sono presenti quindici schede di lavoro che vogliono aiutare a riflettere su una concezione meno statica del concetto stesso di sinodalità, secondo la visione che il Papa ha più volte condiviso: nella Chiesa siamo chiamati più che ad occupare spazi, a generare processi. Con questo, di nuovo, il Papa ci dice: i protagonisti non siamo noi, non siamo “servi” indispensabili, ma siamo strumenti di qualcosa di più grande.

La prima parte dell’Instrumentum Laboris mette in luce il cammino fatto dalla Chiesa nei due anni preparatori. La seconda parte – che si chiama Comunione, missione, partecipazione – mette in luce le tre questioni fondamentali, oggetto del sinodo: accogliere tutti, nessuno escluso; riconoscere e valorizzare il contributo di ogni battezzato in una Chiesa sempre più missionaria; e riflettere sul rapporto tra partecipazione e autorità in una Chiesa sinodale. A nessuno sfugge l’importanza e la delicatezza di tali questioni.

È importante anche notare come nel documento preparatorio si faccia molta attenzione all’uso di un linguaggio inclusivo, perché non solo quello che diciamo, ma anche come lo diciamo ha una grande importanza e può fare la differenza. La Chiesa è un Noi, che non deriva dalla sommatoria di tanti io, ma dall’armonia che crea lo Spirito, un poliedro – come ricorda spesso il Santo Padre – dalle molte facce in un unico corpo.

Tornando al tema del linguaggio, in questo sinodo – come più volte ha sottolineato Papa Francesco – sarà fondamentale ascoltare e imparare – nella Chiesa, a tutti i livelli – a farlo. Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, che “desidera essere umile, e sa di dover chiedere perdono e di avere molto da imparare”.

Dall’ascolto nasce e rinasce una “Chiesa dell’incontro e del dialogo” con la realtà, nello spirito che già il Concilio Vaticano II aveva sottolineato, in particolare nella Gaudium et Spes e che San Paolo VI – il papa che ha creato il Sinodo – ha voluto codificare nella troppo spesso dimenticata enciclica Ecclesiam Suam, che Papa Francesco ha invece oggi citato.

Camminiamo anche noi, nella preghiera, nell’ascolto e nella riflessione, in questo importante evento ecclesiale che è il Sinodo, confidando nell’ispirazione dello Spirito Santo e affidandolo a San Francesco di Assisi, che ha saputo indicarci la via proprio a partire dalla sua fragilità personale e da quella della Chiesa. Una fragilità non subita ma offerta al Signor,  che guida la sua Chiesa in ogni momento della sua storia.


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San Francesco: la rivoluzione del vangelo

La liturgia celebra oggi la festa di San Francesco di Assisi, nel giorno in cui inizia il Sinodo dei Vescovi sul tema della sinodalità. La storia cristiana di questo santo grande e al tempo stesso umile potremmo dire che sia iniziata davanti alle macerie della Chiesa del suo tempo. Racconta la Leggenda Maggiore di San Bonaventura, riferendosi a San Francesco: “Un giorno era uscito nella campagna per meditare. Trovandosi a passare vicino alla chiesa di San Damiano, che minacciava rovina, vecchia com’era, spinto dall’impulso dello spirito Santo, vi entrò per pregare. Pregando inginocchiato davanti all’immagine del Crocifisso, si sentì invadere da una grande consolazione spirituale e, mentre fissava gli occhi pieni di lacrime nella croce del Signore, udì con gli orecchi del corpo una voce scendere verso di lui dalla croce e dirgli per tre volte: Francesco, va e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!”.

Forse intuì subito che non si trattava soltanto di un’opera materiale di ricostruzione, ma di qualcosa di più profondo, una ricostruzione spirituale della Chiesa del suo tempo; testimoniare dall’interno il vangelo sine glossa come vera ed efficace purificazione.

San Francesco ci sorregge in quella grande avventura dello Spirito che è la nostra vita di fede. Vissuta con lo stile di madonna povertà, tendendo alla perfetta letizia, che non è un ideale irraggiungibile ma una vocazione per ogni uomo.

La testimonianza di San Francesco continua a rimanere attuale lungo i secoli, fino ad oggi. Incontrava i lebbrosi allora, e anche noi come cristiani siamo chiamati a incontrare quelli di oggi – gli esclusi, gli emarginati, coloro che non hanno voce, che soffrono a causa delle tante ingiustizie. È paradossale che questo incontro rimanga ancora oggi nelle nostre società moderne difficile, se non impossibile, e che vi siano ancora tanti lebbrosi in mezzo a noi (il povero, l’immigrato, il clandestino, il senza fissa dimora, il carcerato), nonostante si dichiari di ispirarsi ai principi di libertà, uguaglianza e fraternità, spesso anche ai principi cristiani. Perché questo incontro, questa accoglienza, sono così difficili? Perché nel XXI secolo ancora non siamo riusciti a concretizzarli? Forse perchè la nostra società post-moderna dovrebbe mettersi in discussione, contestare se stessa, in molti dei propri principi costitutivi dichiarati solennemente ma troppo spesso disattesi non ne ha il coraggio, anzi meglio dire che tutti noi non ne abbiamo il coraggio.

San Francesco ha avuto il coraggio di mettersi in discussione, di contestare se stesso, prima di tutto; poi lo ha fatto con la società e la Chiesa del suo tempo. Da qui, da questa conversione personale e poi comunitaria, sono cominciati un altro uomo, un’altra società e un’altra Chiesa.

Chiediamo l’intercessione di San Francesco affinché nessuno di noi trasformi Gesù in un profeta accomodante a misura nostra, a misura delle nostre società e comunità. Chiediamogli di intercedere presso il Signore per allargare i nostri confini, i nostri spazi, i nostri cuori, e per accogliere i piccoli di ogni tempo.


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La Festa di Metà Autunno tra i cattolici in Cina

Si è celebrata quest’anno il 29 settembre la Festa di Metà Autunno (中秋节) – una delle feste più sentite e importanti in Cina (come in altri Paesi dell’Asia orientale), dopo il Capodanno lunare. Si tratta di una festa “mobile”, che cade generalmente tra settembre e i primi di ottobre, quando la luna è piena e più vicina alla terra, apparendo più grande e luminosa. È una festa antichissima in cui si usava offrire sacrifici alla luna per ringraziare del buon raccolto e propiziarlo per l’anno successivo. Tutt’oggi si trascorre in famiglia secondo la visione della luna come simbolo della riunione familiare, cenando insieme e andando fuori a guardare la luna. Immancabili i tipici yuebing 月饼 o “dolci della luna”, di forma rotonda, con ripieni di vario tipo – frutta secca, canditi, fagioli rossi, semi di loto… Si preparano a casa o si possono acquistare in tante confezioni diverse da regalare ad amici e parenti.

I cattolici cinesi hanno celebrato questa bella festa della tradizione cinese anche partecipando a momenti di preghiera e ricordandosi di chi è solo e nel bisogno.

Secondo quanto condiviso dal sito di informazione cattolico Xinde (“Fede”), nello Shaanxi, Mons Dang Mingyan, Vescovo di Xi’An, ha presieduto la Messa in cui ha consacrato il nuovo altare della chiesa di San Michele, nel giorno in cui la liturgia ricorda i Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. Hanno concelebrato 40 sacerdoti e partecipato 50 suore, oltre i fedeli anche dalle parrocchie vicine. Durante il rito, sono state poste le reliquie di Santa Teresa di Lisieux e dei suoi genitori – Luigi e Zelia Martin. A Sanyuan, Mons. Han Yingjin insieme a un gruppo di sacerdoti e religiose, è andato a visitare alcune suore anziane, impartendo loro la benedizione e portando doni. 

Come riportato dal centro di servizi sociali di Xingtai (Hebei), in occasione della festa i volontari hanno fatto visita a persone in difficoltà, tra cui anziani, malati e disabili, portando dolci della luna, riso, latte e frutta. Secondo le informazioni della Chiesa cattolica del Guangdong, qualche giorno prima della festa, anche i volontari della Fondazione caritativa Tian Ai 天爱 (“Amore Celeste”) della diocesi di Shantou – insieme al vescovo Mons. Huang Binzhang – si sono dati da fare, visitando una casa di riabilitazione per persone che hanno contratto il morbo di Hansen, portando loro doni, in un’atmosfera di calore e festa.