ConAltriOcchi blog – 以不同的眼光看世界-博客

"C'è un solo modo di vedere le cose finché qualcuno non ci mostra come guardare con altri occhi" – "There is only one way to see things, until someone shows us how to look at them with different eyes" (Picasso) – "人观察事物的方式只有一种,除非有人让我们学会怎样以不同的眼光看世界" (毕加索)


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Irrompe lo Spirito: dalla paura alla gioia di annunciare il Vangelo

Il Cenacolo che aveva visto gli Apostoli testimoni della Cena del Signore, il luogo dove tante volte si erano trovati insieme per ascoltare la Sua Parola, diventa ora un rifugio, un nascondiglio “per paura dei Giudei” – come ricorda l’Evangelista Giovanni. E ci dicono anche gli Atti: “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”(At 2,1).

Bisogna ricordare che gli Apostoli a Gerusalemme avevano pochi amici, si erano messi contro il potere religioso e quello politico, erano considerati dai più fanatici seguaci di una delle tante sette messianiche del tempo. Rischiavano la vita per il solo predicare che Gesù era il Figlio di Dio veramente morto e veramente risorto. E infatti gli Atti ci raccontano che ben presto arriva il primo martire: Stefano, che viene lapidato a morte.

Oggi quali sono le nostre paure, che ci fanno rinchiudere nei nostri gruppi? Se escludiamo la Chiesa dei martiri che come ben sappiamo esiste e resiste ancora oggi in tante parti del mondo, notiamo che anche nella Chiesa e tra i cristiani è forte la tentazione di rinchiudersi in un’esperienza di fede elitaria, spesso anche settaria, che esclude il mondo, visto come cattivo, nemico e di cui quindi si ha paura e che si tende a giudicare anziché amare. Può succedere che a volte  la nostra fede, la nostra comunità cristiana, il nostro gruppo ecclesiale, invece che essere spazio di fraternità e di annuncio del Vangelo, si trasformi in un fortino inespugnabile, dove quelli di dentro giudicano quelli di fuori e li escludono anche. “Chiesa in uscita” secondo l’insegnamento di Papa Francesco significa anche non aver paura e non giudicare, ma al contrario essere forti nella fede e allargare gli spazi dell’accoglienza.

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E’ in questo clima di paura e di chiusura che irrompe lo Spirito. “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano” (At 2,1).  In quel cenacolo diventato chiuso e impaurito, lo Spirito interviene, agisce e lo trasforma, cambia il cuore di quegli uomini sfiduciati e ricrea una nuova fraternità allargata fino ai confini della terra. Ecco perché ognuno sentiva parlare nella propria lingua nativa, ci ricordano sempre gli Atti.

Ancora oggi lo Spirito ci chiama a guardare in avanti, ad aprire gli spazi del nostro cuore, a porci in ascolto della Parola. Il Vangelo non è uno scritto da ricopiare, la Chiesa non è un museo da custodire. La comunità cristiana delle origini ha avuto il coraggio dello Spirito di accogliere nel suo seno i non-circoncisi, ha osato mettere per iscritto la Buona Notizia, ed è stata pellegrina fino ai confini del mondo conosciutoOggi sta’ a noi trasmettere allo stesso modo “il Vangelo che abbiamo ricevuto”, senza paura, vergogna, e ovunque andiamo in questo mondo globalizzato. “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26).

Non è una cosa semplice testimoniare la Chiesa della Pentecoste, perché è la Chiesa della gioia (come ci ricordava San  Paolo VI) ma anche del martirio. Nessuno si illuda di non dover pagare un prezzo, anche personale. Al contrario, vivere il Vangelo delle sacre abitudini, rinchiusi nelle sagrestie, nascosti dietro i fumi di incenso è indubbiamente più facile. Lo Spirito ci chiama invece a rischiare i sentieri della vita, a percorrere la Via (ódos), proprio come il Vangelo viene chiamato negli Atti degli Apostoli. La lingua più difficile da parlare sarà quella di chi incontriamo, di chi  ci sta di fronte, di chi sarà contro di noi, magari credendo far bene. Lo Spirito ci insegna a parlare anche quella.


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Servo di Dio e di nessun altro

a cento anni dalla nascita di don Milani profeta del nostro tempo

Immaginare Don Milani alle prese con i cappellani militari e con i giudici che alla fine, sul tema dell’obiezione di coscienza , lo condanneranno per vilipendio alla patria è forse l’immagine che più di tutte ha accompagnato il nostro impegno sociale e le nostre motivazioni alla ricerca di una visione giusta. Ma la sua testimonianza parte da lontano, parte dalla sua risposta alla vocazione  di essere “SERVO di Dio e di nessun altro” come titola un libro a lui dedicato, per mettersi al servizio del popolo che gli è affidato.

“Esperienze pastorali” rappresenta un metodo; un metodo dell’analisi della realtà senza sconti. Testo molto controverso per il suo linguaggio composto ma risoluto, linguaggi che hanno suscitato dibattiti forti nella chiesa e opinioni contrastanti, circa l’opportunità o meno di considerarlo una riflessione di ampio respiro sulla “salute” delle nostre comunità ecclesiali, non solo circoscritta alla parrocchia di san Donato a Calenzano. Testo, nonostante l’imprimatur di due vescovi, non ritenuto opportuno dalle autorità ecclesiali.  L’analisi di Don Lorenzo è certamente, come sarà sempre, senza fronzoli e accurata, delineando subito una caratteristica peculiare dei suoi scritti; nessuna concessione a ciò che è vago e interpretabile, ma una asciutta e documenta considerazione sulla realtà sociale ed ecclesiale nella quale si sente chiamato a testimoniare l’amore di Dio verso i suoi figli.

La sua storia lo porta poi a Barbiana, parrocchia di montagna sperduta sul Mugello, dove diventa parroco di poche decine di persone, tutti contadini e poveri.

Don Lorenzo vede chiara la sua missione e quando i cappellani militari, all’inizio del 1965, attaccano gli obiettori di coscienza al servizio militare esaltando la retorica della guerra e del sacrificio, sceglie di non rispondere da solo ma di fornire ai ragazzi della sua scuola, poveri e contadini, la possibilità di approfondire il tema e di argomentare collettivamente, e insieme a  loro analizza e studia le posizioni di chi temeva nel riconoscimento  del primato e della libertà di coscienza un pericolo all’ordine “costituito”. La vicenda processuale permise poi ai ragazzi della scuola di argomentare nella successiva “lettera ai giudici”, in modo più circostanziato e dettagliato una posizione contro la guerra e chi la fa, ancorata a ragionamenti e documentazioni storiche inattaccabili. La cosa non eviterà a don Milani, sebbene non più in vita la condanna, in secondo appello, per apologia di reato. Ma ormai aveva aperto un modo nuovo di intendere la formazione, la scuola e la partecipazione.

Visione che venne espressa con più determinazione                             in “Lettera a una professoressa ”del 1967. Anche qui don Lorenzo e i ragazzi di Barbiana partono dai fatti, di fronte alla burocrazia di una scuola non pensata per far crescere ma per mortificare chi è più fragile, senza riconoscere le sue fatiche, il suo impegno. I  ragazzi di Barbiana sperimentano sulla loro pelle queste storture e analizzano ed esprimono una lettura spietata sulle contraddizioni strutturali della scuola italiana. Scuola pensata per pochi e incapace di aprirsi, con discutibili criteri di considerazione e di visione, alla necessità di tutti.

Don Lorenzo a Barbiana, con questa metodologia di analisi e di ricerca, mette i suoi ragazzi di fronte alla realtà e crea, senza lesinare duro lavoro per sè stesso e per loro, una vera scuola di democrazia e partecipazione dove “i Care” non diventa un motto, ma una precisa scelta di vita. Missione che può realizzarsi solo con dedizione totale  verso coloro che riconosciamo più fragili: “Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede una fede consapevole. Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso, e di dare espressione alle istanze profonde del proprio cuore, come pure alle attese di giustizia di tanti fratelli e sorelle che aspettano giustizia. Di quella piena umanizzazione che rivendichiamo per ogni persona su questa terra, accanto al pane, alla casa, al lavoro, alla famiglia, fa parte anche il possesso della parola come strumento di libertà e di fraternità”. (Papa Francesco, Barbiana, 20 giugno 2017)


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Papa Francesco: dieci anni di Vangelo

Dopo dieci anni dall’elezione, Francesco continua la sua missione

Dieci  anni fa iniziava il pontificato di Francesco, dopo un tempo difficile per la Chiesa e le dimissioni inattese di Benedetto XVI. Cominciava cosí il ministero di un Papa venuto “dalla fine del mondo” – come disse affacciandosi per la prima volta rivolgendosi ai fedeli in una Piazza San Pietro gremita da tanti romani che tradizionalmente non mancano a questo appuntamento e da tanti cattolici sparsi in ogni parte del mondo.

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Photo credit: http://w2.vatican.va

In questi dieci anni abbiamo imparato che in ogni parola, gesto e vita personale di Papa Francesco c’è un fuoco interiore che lo spinge, fino al limite delle forze, ad annunciare il Vangelo di Gesù. Questo sta facendo Papa Francesco: mettere la Chiesa, i cattolici e noi tutti davanti al Vangelo.

Paradossalmente proprio per questo, già dopo qualche mese dall’elezione del Cardinale Bergoglio a Pontefice sono iniziate da alcuni ambienti conservatori, interessati non al Vangelo ma alla politica ecclesiale, aspre critiche, una palese opposizione, talvolta anche una forte resistenza al vento nuovo portato da Francesco.

Così continuerà lungo i dieci anni di pontificato. Anzi, i sentimenti contro Francesco, in alcune frange conservatrici, si sono moltiplicati: tuttavia non dal popolo, che lo ama, ma da un mondo cattolico, spesso del “ricco” occidente, piuttosto borghese-capitalista, detentore di grandi interessi economici, che assolutamente non sopporta l’insegnamento di Papa Francesco che denuncia le ineguaglianze, le ingiustizie, le devastanti violenze delle guerre, lo sfruttamento sui più deboli, il clericalismo e la “doppia vita” nella Chiesa. Non si sopportano, insomma, i discorsi, il magistero e la testimonianza del Papa nei suoi incontri quotidiani con uomini e popoli di tutto il mondo.

Ma noi sappiamo bene che, la Chiesa, Papa Francesco, le nostre vite sono nelle mani di Dio: è il Signore che crea, fa vivere e stabilisce il nostro limite. Basterebbe credere a questa azione di Dio perché i critici del Papa si diano un pò di pace e tornino sui sentieri della fede riconoscendo a Dio la grande strategia dietro la storia e nelle vicende della Chiesa che cammina nel mondo. La Chiesa è posta nel mondo come un “segno”, un “sacramento” che rivela agli uomini l’amore universale di Dio realizzato in Gesú morto e risorto.

La Chiesa di Francesco cerca di confrontarsi ogni giorno col Vangelo: è questo il limite inaccettabile posto dai suoi detrattori. Per alcuni la Chiesa dovrebbe incentrarsi su dogmi, morale, sessualità da condannare, pericoli del comunismo, di un Islam che invade l’Europa. E’ l’ansia della paura, il timore della sconfitta, di chi si rende conto che trincerarsi nel legalismo è più facile che accettare la sfida del Vangelo – amare fino alla fine. Alcuni vogliono una Chiesa che sia centro di potere; un’istituzione forte che viene prima del Vangelo: il conflitto è qui – tra Vangelo o “istituzione forte”.

La Chiesa che i gruppi conservatori oggi rivendicano è la Chiesa della ricchezza, dell’accordo con i forti e i potenti: questi movimenti sono guidati dalla convinzione che la Chiesa nel mondo non debba presentarsi con l’umiltà e la mitezza di Gesù, ma come una forza sociale e politica che giustifichi il fondamento del suo potere. La Chiesa  annuncia la speranza del Vangelo, e cerca l’imitazione di Gesù.

Preghiamo il Signore ogni giorno per il papa affinchè il Signore lo sostenga; e preghiamo anche per noi  perché ci aiuti a mantenere sempre il desiderio, la sete di Lui . Si accresca in tutti noi la passione per il vangelo.. Cresca in noi tutti il desiderio di “fare Pasqua”. “Perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”.


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Il giardino di Adamo e il deserto di Dio

(Genesi 2-3; Matteo 4, 1-11)

Secondo il racconto della Genesi, il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo quando ancora la terra era un deserto. Questa cosa fatta di polvere divenne essere vivente grazie a un alito di vita che il Creatore soffiò nelle sue narici: come dire che l’uomo non ha vita in se stesso, ma la riceve dallo Spirito stesso di Dio e la vita rimane in lui soltanto a patto che l’uomo l’accolga quale dono di Dio.

La vita dunque per l’uomo è un dono precario. Non nel senso di dono insicuro, perché anzi Dio, con quel soffio iniziale, si impegna nei confronti dell’uomo e della sua vita. Precario nel senso di non poter sussistere se non a patto che l’uomo creda nella fedeltà di Dio e conti su di essa.

La precarietà della vita umana trova riscontro nella precarietà del rapporto tra l’uomo e la terra: è la terra davvero  un giardino, provvisto d’ogni albero necessario a nutrire la vita dell’uomo? Oppure la terra rimane per sempre un deserto inospitale, nel quale la vita è impossibile? Il testo biblico dice senza incertezza che il Signore Dio pose l’uomo in un giardino, e dice anche che al centro di quel giardino c’era l’albero della vita. Ma aggiunge anche un altro albero accanto a quello della vita, anch’esso quindi al centro del giardino: l’albero della conoscenza del bene e del male. È un albero velenoso, e Dio avverte Adamo:

“Di quell’albero non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti (Genesi 2, 17)”.

Una domanda s’impone: perché Dio ha messo un albero velenoso e proibito nel giardino di Eden? Fuori di metafora: perché Dio ha fatto l’uomo capace di peccare? perché Dio ha fatto l’uomo, pur sapendo sin dall’inizio che avrebbe peccato?

Prima di tentare una risposta a queste domande, occorre riflettere sulla loro pericolosità: può forse il vaso giudicare l’opera del vasaio? Chi è questo essere di terra che vuole giudicare l’opera di Dio? Riflettiamo: il peccato stesso di Adamo cominciò proprio di qui: dal fatto cioè che Adamo si ponesse l’interrogativo su l’opera di Dio. Ci chiediamo allora che cosa vuol dire quest’albero? Quale aspetto della nostra condizione esso intende descrivere?

La conoscenza «del bene e del male» è la conoscenza di tutto. «Conoscere» nella Bibbia vuol dire «avere esperienza»; l’obiezione di Maria all’angelo («Com’è possibile questo? Non conosco uomo») significa che non aveva avuto alcuna esperienza di rapporto con uomo.

Il misterioso albero del giardino descrive dunque un progetto, un desiderio, una tentazione, che facilmente s’insinua nella mente dell’uomo. Il progetto è quello di fare la prova di tutto e collaudare il valore di tutto, e decidere quello che serve e quello non serve alla vita dell’uomo.

«Quando voi ne mangiaste – dice il serpente – si aprirebbero i vostri occhi, e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male».

Provare tutto: s’intende tutto ciò che attrae e che appare gradito ai nostri occhi, desiderabile ai nostri appetiti, vantaggioso per incrementare la nostra esperienza. Provare tutto, ossia mettere tutto alla prova del nostro desiderio, e giudicare tutto sulla base di tale prova. Credo sia facile per ciascuno verificare quanto questo progetto continui ad affascinare l’uomo anche oggi e quanto insistentemente si produca ancora oggi l’esito descritto dalla Genesi: «Si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero d’essere nudi» – nudi, e cioè pericolosamente indifesi allo sguardo dell’altro, di Dio stesso, dunque nella necessità di nascondersi e di difendersi.

       Gesù ritorna nel deserto all’inizio del suo cammino in mezzo agli uomini. E nel deserto di nuovo riconosce la suggestione di Satana: quella di costituire il proprio desiderio quale misura di tutte le cose. Se egli trasformasse le pietre in pane, se desse strepitosa prova dei suoi sovrumani poteri proprio nel tempio, se accettasse di farsi re al modo in cui si fanno re tutti i signori di questo mondo, certo le folle lo seguirebbero: perché di queste cose tutti vanno in cerca.

Ma Gesù oppone alla suggestione di Satana la scelta della fede: non mettere Dio alla prova dei nostri desideri, non si può rendere un culto ad altro signore che non sia Dio stesso; l’uomo non può decidere da se stesso che cosa serve alla propria vita, ma deve rimettersi al Soffio di Dio, alla Parola che esce dalla sua bocca.

Il digiuno da tutto ciò che la prepotenza dei nostri desideri suggerisce come essenziale alla vita, per ritrovare la parola  sovrana e misteriosa che esce dal silenzio di Dio, è anche il programma del deserto spirituale al quale il cristiano ritorna nel tempo di Quaresima.


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Cenere Acqua e Polvere. Riflessioni sul Mercoledì delle Ceneri inizio della Quaresima

Tutti ricordiamo i nostri nonni che al fiume lavavano i panni con un po’di cenere e un po’ d’acqua. Cenere sulla testa il mercoledì che inaugura la Quaresima e acqua sui piedi la sera del Giovedì Santo; la Quaresima è significata proprio in questi due gesti semplici e profondissimi. Le maschere di carnevale sono tanto belle, ma vanno bene solo per un giorno; poi c’è la vita con la sua faccia dura e vera, il cammino di un percorso impegnativo che coinvolge ogni uomo e tutto l’uomo, proprio dalla testa ai piedi.

La Quaresima ci fa entrare nel deserto, come sanno tante famiglie, che svestite le maschere, sperimentano che la festa è finita e bisogna lottare giorno dopo giorno, e spesso entrare nel deserto. Il deserto è il luogo tipico della Quaresima, una parte essenziale della nostra vita.  Come pero’ diceva con tanta efficacia Antoine de Saint-Exupéry:” in ogni deserto c’è un pozzo, in ogni amarezza c’è il germoglio di una risurrezione inaspettata”. E’ il fatto della Pasqua l’orizzonte ultimo della Quaresima. Scrive il teologo Andrea Grillo:” Recuperare la quaresima come iniziazione festiva al mistero della Pasqua è una “grande impresa”, che noi cristiani cattolico-romani, appartenenti alla seconda generazione dopo il Concilio Vaticano II, abbiamo trovato indicata da quel grande Concilio come una delle chiavi di accesso alla nostra tradizione ecclesiale e spirituale. Rimettere in moto il meccanismo simbolico di un cammino festivo di pregustazione, di preparazione, e soprattutto di iniziazione alla Pasqua”.

Pope Francis receives ashes from Cardinal Tomko during Ash Wednesday Mass at Basilica of Santa Sabina in Rome

“Convertiti e credi al vangelo” oppure “Ricordati che sei polvere e polvere ritornerai“, diranno i sacerdoti spargendo la cenere. Fede e Umiltà sono necessarie per iniziare il cammino di conversione verso la Pasqua; basta una crisi economica e per molti manca il pane, una malattia e manca la gioia di vivere. Polvere è l’uomo. Eppure quella polvere, abitata dal soffio dello Spirito, è rimasta ancor oggi l’opera più bella di tutte. Lo Spirito irrompe nelle nostre fragilità e ci chiama ad una originaria e sempre nuova identità. Noi dobbiamo agire secondo lo Spirito, con quel coraggio fragile proprio ad ogni battezzato, e che vediamo  in ogni pagina di vangelo, e che ci fa ogni giorno uomini nuovi.

Il Signore, per mezzo del profeta Gioele che si legge come Prima Lettura del Mercoledì delle Ceneri (Gl 2,16-18) ci chiede di raccoglierci tutti insieme, giovani, vecchi, bambini, sposi, conviventi, immigrati, per accogliere l’invito a lasciarsi riconciliare con Dio, come ci ricorderà  S.Paolo nella seconda lettura tratta dalla Seconda Lettera ai corinzi ( 2cor 5,20-6,2).

 Gesù nel Vangelo (Mt6,1-6.16-18) ci esorta infine alla serietà del cammino. Anche Dio cammina e ci viene incontro e noi lo accogliamo con  la preghiera, il digiuno e l’elemosina. Queste non sono pratiche quaresimali singole e private, ma vogliono esprimere  il nostro cuore che si muove verso Dio e verso ogni uomo, da Pasqua in poi ormai mio fratello.

 La Quaresima ci aiuti a fare del nostro mondo interiore ed esteriore la  casa del Padre, dove tutti sono fratelli, e non una  casa di mercato (Gv2,16), dove tutti sono nemici e concorrenti.


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Chi è per noi Gesù?

«Chi dite voi che io sia?». Per rispondere a questa domanda di Gesù che leggiamo nel Vangelo, dobbiamo prima di tutto renderci conto di un vero e proprio “trapianto” di Spirito avvenuto nella nostra vita: «Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione» (Zc 12,10). Dio abbraccia ognuno di noi e con il dono del suo Spirito ci fa riconoscere la Sua presenza. Questo dono è per tutti perché come ci ricorda San Paolo non c’è più una salvezza per gli Ebrei e una per gli altri popoli perché Gesù ha abbattuto il muro di separazione che li divideva (Ef 2,14) ed è morto sulla croce per il mondo intero: «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).

«Chi dite voi che io sia?». Per rispondere a questa domanda dobbiamo anche chiederci chi è l’uomo. Come facciamo a rispondere circa l’identità di Gesù quando ancora siamo perplessi davanti a chi ha il colore della pelle diverso? Quando abbiamo paura delle moltitudini che vengono da lontano? Se non sapremo riconoscere e rispettare il volto dell’uomo più lontano da noi, non possiamo rispondere su chi è Gesù.

«Chi mi vuol seguire deve prendere la sua croce». Prendere la croce oggi vuol dire farsi carico del peso degli esclusi, per amore dell’uomo. Certamente in questo modo si perde la vita: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà». Perdere la vita vuol dire rischiare tutte le nostre sicurezze, mettere in questione le nostre abitudini, e quindi vuol dire in un certo senso morire. Entrare in questa morte però vuol dire salvarsi e salvare il mondo. Vediamo oggi nella nostra Europa come sia difficile allargare gli spazi e accettare le diversità. L’Europa si potrà salvare soltanto accettando il cambiamento in atto.

«Chi dite voi che io sia?». Per rispondere a questa domanda dobbiamo soprattutto pregare.“Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui” (Lc 9,18). Gesù prende coscienza della sua missione nella preghiera; capisce a poco a poco nella preghiera, l’universalità della sua vocazione. Gesù pregando incomincia a compiere la volontà del Padre, un progetto di salvezza per tutta l’umanità e per ciascun uomo.

Anche la Chiesa, ognuno di noi siamo chiamati a “vedere” nella preghiera la volontà di Dio, il suo progetto di amore per me e per tutti, e così diventare giorno dopo giorno collaboratori del Regno di Dio.


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Fiducia nel Padre o nel denaro?

Gesù aveva appena parlato  di riporre la propria fiducia nel Padre, ma subito incontra chi invece ripone  la fiducia nel denaro. Gesù ci avverte con parole molto chiare:”Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia”.”Anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni» ( Lc 12,15). Domandiamoci allora da che cosa facciamo dipendere la nostra vita, le nostre giornate, le nostre scelte. La vita vale per quello che uno possiede (anche legittimamente) o per quello che si condivide? “Stolto! Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato per chi sarà?»( Lc 12,20). Dobbiamo tutti riflettere circa il rapporto tra la nostra vita cristiana e il denaro. Non dobbiamo vivere la vita  come se fosse un valore  assoluto., dobbiamo viverla sapendo che essa è  limitata nel tempo  e solo in Gesù Cristo con la potenza della resurrezione, il limite sarà superato . L’uomo vecchio a poco a poco finisce,dice Paolo. L’uomo vecchio è anche la comunità. Noi oggi  sentiamo molto bene la vecchiaia della civiltà europea ad esempio. Non solo ma anche Il mondo intero in un certo senso  è vecchio, moribondo. Pensiamo a quello che succede intorno a noi;siamo circondati da violenza e morte che sono entrate anche nelle nostre chiese. La Buona Notizia è però che c’è qualcosa di nuovo che è nato e che supera il tempo e lo spazio. In Cristo per Cristo e con Cristo è nato in noi un uomo nuovo fatto per l’immortalità. La fede ci aiuta a recuperare le fondamenta del nostro essere, il principio e fondamento nel quale siamo stati creati e redenti. Beati quelli che non hanno visto e han­no creduto! una beatitudine per tutti, per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni, per chi non vede, per chi ricomincia. Grazie a tutti quelli che cre­dono senza necessità di segni, anche se hanno mille dubbi.


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Ospitalità e Libertà; le strade del vangelo

Il cammino sinodale ispirato da Marta e Maria

Un tema centrale della spiritualità cristiana è senza dubbio l’«ospitalità». E’ un tema sacro per tutte le religioni e per tutte le culture. Nel NT in Eb 13,2 leggiamo: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli». La civiltà post moderna in particolare in occidente ha perso il senso sacro dell’ospitalità perché ha reso economico ogni aspetto della nostra vita, compreso i rapporti tra le persone, basando tutto sulle regole del mercato e del profitto; le regole però non sono frutto di una condivisione, ma sono decise da chi parla di libero mercato, ma in realtà è padrone assoluto del mercato. Aggiungiamo poi una corruzione sistematica ed ecco allora sacche privilegi che usano il mercato per gli interessi di pochi a scapito dei molti. In questo contesto, l’ospite è diventato un semplice turista, su cui soltanto guadagnare.Nel vangelo Gesù entra in un villaggio nella casa di amici e ci da il senso profondo della ospitalità. “Entrò in un villaggio”. Il “villaggio” è il luogo attaccato alla tradizione, al passato. Il villaggio era quello che“l’accampamento”rappresentava nell’Antico Testamento, luogo dove le appartenenze sono divenute schlerotizzate e privilegiate, in cui ogni novità è vista con sospetto, ogni forestiero è già nemico.

Una donna, di nome Marta ospitò Gesù nella sua casa, racconta l’evangelista Luca. “Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola”. Maria si mette nella posizione del discepolo verso il maestro. Come San Paolo che racconta negli Atti di essere stato istruito ai piedi di Gamaliele. Maria quindi riconosce Gesù come Maestro. Maria, però non potrebbe fare questo. E’ una donna e le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini. Leggiamo ad esempio nel Talmud che “le parole della legge vengono distrutte dal fuoco piuttosto che essere insegnate alle donne”. Maria qui sta compiendo  qualcosa di clamoroso. Trasgredisce una delle leggi fondamentali insegnate dalla Tradizione.

“Tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta”. Cosa non può essere tolto ad una persona? Pensiamo che purtroppo a volte può essere tolta persino la vita ad una persona. Perché Gesù dice che Maria ha scelto una cosa migliore che non può esserle tolta? La risposta è che Maria ha scelto la libertà, attraverso la disobbedienza alla legge. Ecco un altro tema fondamentale, la libertà. Il sovrano può concedere la libertà, ma può anche toglierla in qualunque momento. Questo vale per le persone e come ci insegna la storia vale anche per popoli interi. Quando però la libertà è frutto di una conquista personale, frutto del coraggio di trasgredire regole della tradizione e della religione, che umiliano come in questo caso la dignità della donna, allora quando uno conquista questa libertà nessuno gliela può togliere. Gesù ci chiama a questa libertà; non ci chiama a scegliere una vita contemplativa o una più attiva, perchè la vita è una sola. Gesù ci chiama a fare la scelta della libertà, in particolare la libertà di ascoltare la Sua Parola, e di metterla in pratica in una concreta e solidale apertura agli altri, specialmente verso chi bussa alle nostre porte, scappando dalla guerra e dalla fame. Ospitalità e Libertà sono cose sacre, nessuna religione o istituzione può interferire con esse, perché si metterebbero contro Dio e contro l’uomo.


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Domenica della Parola

Vi annunziamo ciò che abbiamo veduto

Oggi la Chiesa celebra la Domenica della Parola, sul tema:” Vi annunziamo ciò che abbiamo veduto (1Gv1,3). La Chiesa ci chiede di riservare particolare onore alla Parola di Dio. C’è troppo poca Parola di Dio tra di noi, nei nostri linguaggi, nelle nostre conversazioni, nella nostra cultura, nei mezzi di comunicazione, addirittura nella nostra preghiera.

Anche per questo, forse soprattutto per questo noi siamo un po’ prigionieri, e anche schiavi, proprio della nostra cultura, delle nostre parole, dei nostri mezzi di comunicazione, del nostro villaggio possiamo dire.

La parola del vangelo è invece una parola che libera da ogni dipendenza; libera le coscienze.

La Parola di Dio è per tutti ricordava il papa nella omelia di oggi. Il Vangelo ci presenta Gesù sempre in movimento ;i suoi piedi sono quelli del messaggero che annuncia la buona notizia dell’amore di Dio (cfr Is 52,7-8).E così Gesù “allarga i confini”: la Parola di Dio, che risana e rialza, non è destinata soltanto ai giusti di Israele, ma a tutti; vuole raggiungere i lontani, vuole guarire gli ammalati, vuole salvare i peccatori, vuole raccogliere le pecore perdute e sollevare quanti hanno il cuore affaticato e oppresso.

la Parola di Dio, che è rivolta a tutti, chiama alla conversione. Gesù, infatti, ripete nella sua predicazione: «Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17). La sua Parola ci scuote, ci scomoda, ci provoca al cambiamento, alla conversione: ci mette in crisi perché «è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio […] e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). E così, come una spada la Parola penetra nella vita, facendoci discernere sentimenti e pensieri del cuore, facendoci cioè vedere qual è la luce del bene.

La Parola di Dio, che si rivolge a tutti e chiama alla conversione, rende annunciatori. Gesù, infatti, passa sulle rive del lago di Galilea e chiama Simone e Andrea, due fratelli che erano pescatori. Li invita con la sua Parola a seguirlo, dicendo loro che li farà «pescatori di uomini» (Mt 4,19): non più solo esperti di barche, di reti e di pesci, ma esperti nel cercare gli altri.

Questo è il dinamismo della Parola: ci attira nella “rete” dell’amore del Padre e ci rende apostoli che avvertono il desiderio irrefrenabile di far salire sulla barca del Regno quanti incontrano.

Celebriamo questa giornata nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Cristo unico Salvatore del mondo ci aiuti a ricostituire l’unità tra i cristiani sulla Sua Parola Cristo luce delle genti perché porta la salvezza ci accompagni  con il suo Spirito e ci guidi verso la gioia piena.


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Ecumenismo significa semplicemente Gesù Cristo

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

Come ogni anno, a gennaio (18-25), le varie chiese che si riferiscono a Gesù Cristo, tentano di dialogare per conoscere meglio il cammino da percorrere per ritrovarsi fratelli nel confessare la fede che nei vari secoli passati si è pensato bene di rompere, sia per motivi dottrinali, sia per fattori storici. Con conseguenze drammatiche che hanno influito sulla divisione di intere  nazioni, specie in Europa.

Tutti dovrebbero leggere, almeno tra i cattolici, il documento del Concilio Vaticano II  scritto proprio sul tema della comunione nella fede tra le diverse famiglie sorte dagli scismi. Dubito molto che tra che le nuove  generazioni, sia pure interessate, tale documento “Unitatis Redintegratio”, sia mai stato preso in considerazione. Sarebbe tempo di farlo ora!

Per conoscersi, sarebbe utile leggere gli scritti dei Padri delle Chiese Orientali, gli Ortodossi: che cosa ci divide da questi Padri, carichi di santità, di sapienza biblica, grandi apostoli dei popoli dell’ 0riente ? E gli scritti di Lutero e dei Riformatori ? Dov’è oggi la difficoltà a leggere le Scritture, a interpretarle assieme, a leggere i doni dei Sacramenti? Cosa significa difendere la  dottrina che è rimasta astratta, aliena dalla ricchezza della fede popolare?

“Credere” non vuol dire forse confessare Gesù Cristo, che Gesù nella risurrezione è il Signore ? Non è forse questo il cuore del nostro Credo? Che cosa mai ci divide? Il riconoscimento dell’autorità del Papa? Non ha forse detto papa Francesco, che l’autorità di Roma sta nella carità? Non era già stato detto da S. Ignazio di Antiochia all’inizio del II secolo? Forse alla radice della disunione rimane una grossa pigrizia spirituale (assenza dello Spirito) che affonda le origini nel potere delle varie  Chiese.

Ecumenismo significa semplicemente Gesù Cristo. L’uomo moderno che continua ad abbandonare le Chiese, vuole che Cristo sia la sorgente della speranza umana, che sia una verità che si traduce nella carità e nell’amore ai deboli e agli ultimi. Esige che la  fede nella vita eterna sia ora qui manifestata dalla speranza, dalla riscoperta della  bellezza della creazione  e che l’incarnazione sia annunciata come il fine ultimo di un Dio, che nel su Verbo, compie il senso di tutto il cosmo conosciuto nella scienza e bisognoso di compimento. L’al di là, che  noi annunciamo, serve per dare oggi la felicità che Gesù ha descritto con tanta potenza nelle Beatitudini (Mt 5).