ConAltriOcchi blog – 以不同的眼光看世界-博客

"C'è un solo modo di vedere le cose finché qualcuno non ci mostra come guardare con altri occhi" – "There is only one way to see things, until someone shows us how to look at them with different eyes" (Picasso) – "人观察事物的方式只有一种,除非有人让我们学会怎样以不同的眼光看世界" (毕加索)


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Gesù Cristo si è fatto povero per voi

Riflessioni sul messaggio di Papa Francesco sulla Giornata Mondiale dei Poveri.

Oggi  nella 33.ma Domenica del Tempo ordinario  celebriamo in  tutta la Chiesa Cattolica insieme agli uomini di buona volontà la sesta Giornata Mondiale dei Poveri, che Papa Francesco ha voluto istituire  e che aveva già annunciato al termine del Giubileo della Misericordia. Come segno di condivisone, il Papa anche in questo anno ha invitato  a pranzo numerosi poveri nell’Aula Paolo VI, l’aula delle udienze che porta il nome del grande pontefice della Populorum Progressio, dopo aver celebrato la Messa in San Pietro. Ieri sono state celebrate numerose Veglie di preghiera in particolare in memoria di San Lorenzo, martire romano che ha riconosciuto i poveri, come vero tesoro nella chiesa.

“Invito la Chiesa intera e gli uomini e le donne di buona volontà a tenere fisso lo sguardo, in questo giorno, su quanti tendono le loro mani gridando aiuto e chiedendo la nostra solidarietà. Sono nostri fratelli e sorelle, creati e amati dall’unico Padre celeste” (Messaggio per la I giornata mondiale dei poveri al n 6).

“Non amiamo a parole, ma con i fatti” era  il titolo del primo messaggio di Papa Francesco per questa giornata. Il Papa parlò dei “mille volti segnati dal dolore, dall’emarginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte della schiavitù, dall’esilio e della miseria, dalla migrazione forzata” ( n 5).

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Quest’anno nella sesta edizione di questa giornata il titolo è:”Gesù Cristo si è fatto povero per voi” (cfr 2 Cor 8,9).

Così scrive il papa:” La povertà che uccide è la miseria, figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza e della distribuzione ingiusta delle risorse. È la povertà disperata, priva di futuro, perché imposta dalla cultura dello scarto che non concede prospettive né vie d’uscita. È la miseria che, mentre costringe nella condizione di indigenza estrema, intacca anche la dimensione spirituale, che, anche se spesso è trascurata, non per questo non esiste o non conta. Quando l’unica legge diventa il calcolo del guadagno a fine giornata, allora non si hanno più freni ad adottare la logica dello sfruttamento delle persone: gli altri sono solo dei mezzi. Non esistono più giusto salario, giusto orario lavorativo, e si creano nuove forme di schiavitù, subite da persone che non hanno alternativa e devono accettare questa velenosa ingiustizia pur di racimolare il minimo per il sostentamento.”(n 8)

Non sorprende la scarsa attenzione data, anche in alcuni settori  della Chiesa, alla proclamazione di questa giornata mondiale. Non sorprende ma amareggia, e tutti siamo chiamati a reagire con forza alla indifferenza verso i poveri.

Chi ha molti denari e molte sicurezze rischia di vivere come gli «spensierati di Sion» di cui parla il profeta Amos, e si costruisce un mondo tutto suo, e anche se alla sua porta ci sono migliaia di Lazzari nemmeno se ne accorge. L’ epulone dei nostri anni a volte se ne accorge e allora fa qualche elemosina per i poveri, dona qualche vestito vecchio che non mette più, pur di non avere il disturbo dei Lazzari alla sua porta.

In tutte la Chiesa cattolica si legge spesso la parabola del Ricco Epulone ma domani Lazzaro starà come oggi. Niente cambia. Purtroppo il messaggio di Gesù è stato spesso imprigionato nel sistema e lo abbiamo un po’ reso innocuo; non incide più nella nostra vita reale. Questo è l’abisso di cui parla  il Vangelo. Inoltre tutti vediamo che l’abisso tra i Lazzari e gli epuloni si è allargato e si sta allargando a dismisura.

Noi epuloni abbiamo da secoli deciso che non si può consentire la promiscuità tra chi è dentro e chi è fuori. Lazzaro deve stare fuori dal sistema, dalle nostre città, la Bibbia direbbe dall’accampamento. Lazzaro poi non solo è escluso ma deve essere anche convinto che sia normale così, che sia giusto. L’esclusione lo tocca dentro, nella coscienza.

La nostra società però dice di ispirarsi ai grandi principi del Cristianesimo, dell’ Illuminismo, della democrazia e allora prova ( fa finta?) ad inserire dentro di se Lazzaro l’escluso, ma non ci riesce, perché dovrebbe contestare se stessa nei propri principi costitutivi. Gli immigrati sono i Lazzari del ventunesimo secolo e noi sappiamo solo allargare il fossato.

I cristiani e tutta l’umanità, non si dimentichino che Dio sta dalla parte dei Lazzari, anzi Dio in questo mondo è Lazzaro. Gesù è andato fra gli immondi per insegnare loro a smettere di dirsi immondi, a guardare le nostre città, il nostro sistema, e scoprire che il vero Lazzaro, il vero immondo è proprio il sistema. Questa è la rivoluzione cristiana. Gesù è venuto a svegliare la coscienza degli esclusi perché smettano di considerarsi legittimamente esclusi, perché sappiano che la dignità e’ un loro diritto inalienabile. Il sistema poi ha provato ad addomesticare Gesù “promuovendolo” a tutore dell’ordine ma Lui si è divincolato, andando contro ad un sistema che esclude, ribellandosi al potere politico/religioso e a quello economico. Per questo è stato crocifisso come un Lazzaro qualunque: “Come un delinquente voi lo avete appeso ad un legno” dice Pietro, nel primo discorso dopo la Pentecoste. Le Beatitudini ci dicono che i Lazzari hanno già vinto in Cristo la loro battaglia di dignità. Ora ci stanno venendo incontro, e sono milioni. Non ci vogliono distruggere, ma dirci la Parola della salvezza che è stata loro affidata. Beati i Poveri perché vostro è il Regno di Dio dirà Gesù. Vostro è il segreto della vita.

Le ricchezze non sono un fine, ma uno strumento nelle mani degli uomini; spesso sono diventate uno strumento iniquo perché l’uomo se ne è servito per dominare gli altri uomini e assoggettare interi popoli al controllo di alcune elite. Siamo arrivati nella storia perfino allo sterminio programmato e calcolato dei poveri, come ricorda ancora il profeta Amos. Grazie a Dio il progresso culturale dei popoli sta favorendo una sempre maggiore presa di coscienza, circa il bisogno di una più equa distribuzione delle ricchezze del pianeta. Alcune organizzazioni internazionali e alcune nazioni più sviluppate stanno lottando per nuovi equilibri sociali, ma la battaglia è ancora molto lunga e difficile. Gesù invita i suoi discepoli ad essere “scaltri” nell’uso delle ricchezze. Chiede ad ognuno di noi un diverso rapporto con le ricchezze sia sul piano individuale che in quello comunitario. Proprio per questo non può più bastare il gesto privato della elemosina; bisogna agire perché la ricchezza possa diventare uno strumento di liberazione e di riconciliazione tra i popoli; questa è la concretezza del vangelo, che per sua natura è un fatto sociale. La storia ci insegna che non pochi si sono allontanati dalla Chiesa e dalla fede, perché hanno ricevuto una cattiva testimonianza nell’uso del denaro e delle ricchezze. Assistiamo poi in questi anni come cristiani e cittadini del mondo a due fatti molto importanti. Papa Francesco sta testimoniando la possibilità concreta di una Chiesa povera per i poveri, ed è uno straordinario dono del Signore, un esempio che ci stimola a sempre nuova conversione. Inoltre al contempo assistiamo al fatto che molti poveri, si stanno -potremmo dire così- riprendendo il vangelo, spesso a loro nascosto, dietro parole di circostanza e umilianti elemosina. I poveri oggi sono coscienti che il vangelo è prima di tutto per loro, e non sono più disposti ad aspettare per i loro diritti e la loro dignità. Rileggiamo e meditiamo attentamente a questo proposito le parole profetiche di don Primo Mazzolari, prete povero tra i poveri al quale papa Francesco renderà onore, pregando sulla sua tomba fra pochi giorni:” io non ho mai contato i poveri, perché i poveri non si possono contare; i poveri si abbracciano, non si contano. Eppure c’è chi tiene la statistica dei poveri, e ne ha paura; paura di una pazienza che si può anche stancare, paura di un silenzio che potrebbe diventare un urlo, paura di un lamento che potrebbe diventare un canto, paura dei loro stracci che potrebbero farsi bandiera, paura dei loro arnesi che potrebbero farsi barricata.” Sta già avvenendo.


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Fede in Dio e nell’uomo

Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? ” il grido del profeta Abacuc appartiene a molti. In tanti aspetti della vita spesso siamo vittime e testimoni di iniquità, ingiustizie e sopraffazioni di ogni genere. E’ vero anche che a volte siamo complici, magari con il nostro silenzio, o il nostro voltarsi dall’altra parte. Il profeta ascolta poi la risposta di  Dio: “ scrivi la visione è una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà ”. Conclude: “il giusto vivrà per la sua fede”. Che cosa è allora la fede? E’ quella fiducia che dona la forza di combattere nell’attesa del Suo ritorno. Noi infatti viviamo l’Eucaristia “finché egli venga“nell’attesa della tua venuta”. Dobbiamo poi tenere sempre presente che la fede non è nata dal ricordo di Gesù, da qualcuno che ce lo ha raccontato solamente.

La fede è nata da una presenza, non da una rievocazione (con buona pace dei tradizionalisti che vivono una Chiesa del ricordo e non della presenza). Cristo deve tornare e noi lo aspettiamo, ma è già presente nel dono dello Spirito. Stette in mezzo a loro raccontano i vangeli a proposito del Risorto. Gesù si fa presenza, dentro una comunità che è capace di sostenere, la paura, il pericolo, ma direi soprattutto per otto giorni porta sulle proprie spalle, anche l’incredulità, la non fede di Tommaso e chissà di quanti altri. Tommaso dubita, non crede, eppure rimane dentro la comunità, e neanche nessuno lo caccia via: rimane in un gruppo che non lo esclude. Che bella la Chiesa che accoglie e non esclude, sostiene e non isola nessuno. Una Chiesa che proprio come Gesù sempre ti aspetta con le porte aperte, anzi ti viene a cercare, rispettosa perfino della nostra poca fede e delle nostre paure.

Stiamo tutti molto attenti a separare troppo in fretta la fede, la speranza e la carità, perché in fondo sono una cosa sola. Nella storia abbiamo conosciuto uomini di fede che hanno distrutto tante speranza, specialmente quelle dei poveri. Abbiamo conosciuto uomini di fede senza carità che hanno ammazzato altri gli uomini. Non è bene anche, distinguere troppo rigidamente tra credenti e non credenti. Ci sono alcuni che dicono di credere in Dio ma non credono nell’uomo; altri dicono di non credere, ma sono a servizio dell’uomo, specialmente il più debole e indifeso. E’ lo Spirito l’unico che può distinguere, nell’attesa della verità tutta intera.


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Il vangelo che si attendono i poveri

Quel sabato nella Sinagoga Gesù prese il il rotolo del profeta Isaia e – come dice il testo greco  trovò quel passo dopo averlo cercato. Il verbo greco infatti è eurisko – da cui viene la ben nota esclamazione eureka! Gesù cioè sceglie un passo che probabilmente non era previsto si leggesse e che invece Lui cerca e trova apposta per leggerlo in quel momento.

Si tratta del capitolo 61 del profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”.

Qual è questo “vangelo” di cui ci parla Isaia a cui fa eco Gesù? Il “vangelo” che si attendono i poveri – i primi a cui ancora una volta questo lieto annuncio è rivolto – è la fine della povertà. I prigionieri attendono la libertà, i ciechi si aspettano di poter vedere, e gli oppressi di essere sollevati dai loro pesi.

Nel mondo siamo testimoni, spesso piuttosto spettatori volenti o inermi, di tante forme di povertà (materiale, morale, spirituale), ingiustizie, prevaricazioni, disabilità, vulnerabilità…. Anche noi, nelle nostre vite, abbiamo le nostre povertà, siamo prigionieri di tante cose e siamo oppressi in qualche parte del nostro cuore. Ma, ci ha preannunciato Isaia e ci ha ricordato il Signore Gesù: “Coraggio, non temere, Egli viene a salvarti”(Is 35,4). E ancora ci dirà : “La verità vi farà liberi”(Gv 8,32). Quella salvezza, quella verità è proprio il Signore Gesù, che è il compimento della Scrittura, cioè il compimento del “lieto annuncio”.

E’ importante allora per tutti noi avere la coscienza, avere la certezza che c’è un punto, un “stella polare” dove guardare; che camminiamo su un sentiero già tracciato e – come ci ricorda Isaia – “spianato” dal Signore, nel deserto, che sono a volte le nostre vite, le nostre società. Dobbiamo tenere lo sguardo fisso su di Lui  e seguirlo, lasciandoci guidare dallo Spirito, certi che così non smarriremo la via. Molte volte noi cerchiamo ma non troviamo (la soluzione di quel tale problema, la risposta ad una certa domanda, il coraggio di fare una scelta…) proprio perchè prima che affidarci allo Spirito e distogliendo lo sguardo da Gesù, contiamo solo sulle nostre forze, pianifichiamo solo in base ai nostri calcoli, guardiamo solo alle nostre priorità. E non capiamo che dobbiamo “rovesciare” il nostro modo di pensare, vedere e fare le cose: perché prima di tutto siamo noi ad essere già stati trovati e soprattutto amati e “salvati”.

Scrive ancora l’evangelista Luca:” Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti, erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.

Noi dobbiamo certamente essere informati, preparati, leggere, pregare e meditare la Parola di Dio, ma subito dopo abbiamo il dovere di chiudere il “libro”, “arrotolarlo” come ha fatto Gesù, per metterci al servizio di quelli che aspettano la liberazione e che hanno gli occhi fissi su di noi e si attendono da noi una parola di conforto, una presa di posizione, un gesto di speranza, forse anche di rottura. Ricordiamoci sempre di cosa ha detto il Signore: “beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica”. Oggi sono milioni i bambini, le donne, i popoli interi che attendono e che ci guardano. E  ragionando  più “in piccolo”, ci sono tanti che si aspettano una risposta da noi nelle nostre vite – i nostri vicini, i colleghi, i familiari, i poveri che sono nelle strade delle nostre città. Da troppo tempo il nostro occidente, le nostre case, a volte anche le nostre chiese assomigliano alla comunità di Esdra descritta nella Bibbia, chiusa nella propria autosufficienza e dimentica dei bisogni dei poveri. In tanti attendono la liberazione e tengono gli occhi fissi su di noi.

Il nostro compito di cristiani è prima di tutto contribuire alla costruzione di una società liberata, noi prima di tutto siamo battezzati nello Spirito che libera gli oppressi e dobbiamo sentire forte l’urgenza di questo compito, di questa missione, la liberazione dei poveri, degli oppressi e degli emarginati.


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Sempre più ricchi e sempre più poveri

don Francesco Pesce

La ong inglese Oxfam ha da poco pubblicato un nuovo rapporto sulla ricchezza nel mondo alla vigilia del World Economic Forum che si sta svolgendo a Davos, alla presenza dei grandi nomi dell’economia e della politica. «Ricompensare il lavoro, non la ricchezza», è il titolo del report che si serve di alcuni dati elaborati dal Credit Suisse redatto anche sulla base delle novità che arrivano sui nuovi ricchi di Cina, Russia e India. L’1% più ricco della popolazione mondiale possiede come il restante 99%, e continua ad arricchirsi. Ogni due giorni si registra l’arrivo di un nuovo miliardario.

Come cristiani abbiamo il dovere, non solo di dare una buona testimonianza, ma di parlare chiaro. Le ricchezze non sono un fine, ma uno strumento nelle mani degli uomini; spesso sono diventate uno strumento iniquo perché l’uomo se ne è servito per dominare gli altri uomini e assoggettare interi popoli al controllo di alcune elite. Siamo arrivati nella storia perfino allo sterminio programmato e calcolato dei poveri, come ricorda il profeta Amos. Grazie a Dio il progresso culturale dei popoli sta favorendo una sempre maggiore presa di coscienza, circa il bisogno di una più equa distribuzione delle ricchezze del pianeta. Alcune organizzazioni internazionali e alcune nazioni più sviluppate stanno lottando per nuovi equilibri sociali, ma la battaglia è ancora molto lunga e difficile. Gesù invita i suoi discepoli ad essere “scaltri” nell’uso delle ricchezze. Chiede ad ognuno di noi un diverso rapporto con le ricchezze sia sul piano individuale che in quello comunitario. Proprio per questo non può più bastare il gesto privato della elemosina; bisogna agire perché la ricchezza possa diventare uno strumento di liberazione e di riconciliazione tra i popoli; questa è la concretezza del vangelo, che per sua natura è un fatto sociale. La storia ci insegna che non pochi si sono allontanati dalla Chiesa e dalla fede, perché hanno ricevuto una cattiva testimonianza nell’uso del denaro e delle ricchezze. Assistiamo poi in questi anni come cristiani e cittadini del mondo a due fatti molto importanti. Papa Francesco sta testimoniando la possibilità concreta di una Chiesa povera per i poveri, ed è uno straordinario dono del Signore, un esempio che ci stimola a sempre nuova conversione. Inoltre al contempo assistiamo al fatto che molti poveri, si stanno -potremmo dire così- riprendendo il vangelo, spesso a loro nascosto, dietro parole di circostanza e umilianti elemosina. I poveri oggi sono coscienti che il vangelo è prima di tutto per loro, e non sono più disposti ad aspettare per i loro diritti e la loro dignità. Rileggiamo e meditiamo attentamente a questo proposito le parole profetiche di don Primo Mazzolari, prete povero tra i poveri:” io non ho mai contato i poveri, perché i poveri non si possono contare; i poveri si abbracciano, non si contano. Eppure c’è chi tiene la statistica dei poveri, e ne ha paura; paura di una pazienza che si può anche stancare, paura di un silenzio che potrebbe diventare un urlo,paura di un lamento che potrebbe diventare un canto, paura dei loro stracci che potrebbero farsi bandiera, paura dei loro arnesi che potrebbero farsi barricata.” Io credo che stia già avvenendo.


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Non amiamo a parole ma con i fatti

Riflessioni sul messaggio di Papa Francesco sulla Giornata Mondiale dei Poveri.

Oggi  nella 33.ma Domenica del Tempo ordinario  celebriamo in  tutta la Chiesa Cattolica insieme agli uomini di buona volontà la prima Giornata Mondiale dei Poveri, che Papa Francesco ha voluto istituire  e che aveva già annunciato al termine del Giubileo della Misericordia. Come segno di condivisone, il Papa ha invitato  a pranzo 1.500 poveri nell’Aula Paolo VI, l’aula delle udienze che porta il nome del grande pontefice della Populorum Progressio, dopo aver celebrato la Messa in San Pietro. Ieri c’è stata una Veglia di preghiera nella Chiesa di San Lorenzo fuori le Mura, per fare memoria del martire romano che ha riconosciuto i poveri, come vero tesoro nella chiesa.

“Invito la Chiesa intera e gli uomini e le donne di buona volontà a tenere fisso lo sguardo, in questo giorno, su quanti tendono le loro mani gridando aiuto e chiedendo la nostra solidarietà. Sono nostri fratelli e sorelle, creati e amati dall’unico Padre celeste” (Messaggio per la I giornata mondiale dei poveri al n 6).

“Non amiamo a parole, ma con i fatti” è il titolo del primo messaggio di Papa Francesco per questa giornata. Il Papa parla dei “mille volti segnati dal dolore, dall’emarginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte della schiavitù, dall’esilio e della miseria, dalla migrazione forzata” ( n 5).

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Non sorprende la fugace attenzione data, anche dentro la Chiesa, alla proclamazione di questa giornata mondiale. Non sorprende ma amareggia, e tutti siamo chiamati a reagire con forza alla indifferenza verso i poveri.

Chi ha molti denari e molte sicurezze rischia di vivere come gli «spensierati di Sion» di cui parla il profeta Amos, e si costruisce un mondo tutto suo, e anche se alla sua porta ci sono migliaia di Lazzari nemmeno se ne accorge. L’ epulone dei nostri anni a volte se ne accorge e allora fa qualche elemosina per i poveri, dona qualche vestito vecchio che non mette più, pur di non avere il disturbo dei Lazzari alla sua porta.

In tutte la Chiesa cattolica si legge spesso la parabola del Ricco Epulone ma domani Lazzaro starà come oggi. Niente cambia. Purtroppo il messaggio di Gesù è stato spesso imprigionato nel sistema e lo abbiamo un po’ reso innocuo; non incide più nella nostra vita reale. Questo è l’abisso di cui parla  il Vangelo. Inoltre tutti vediamo che l’abisso tra i Lazzari e gli epuloni si è allargato e si sta allargando a dismisura.

Noi epuloni abbiamo da secoli deciso che non si può consentire la promiscuità tra chi è dentro e chi è fuori. Lazzaro deve stare fuori dal sistema, dalle nostre città, la Bibbia direbbe dall’accampamento. Lazzaro poi non solo è escluso ma deve essere anche convinto che sia normale così, che sia giusto. L’esclusione lo tocca dentro, nella coscienza.

La nostra società però dice di ispirarsi ai grandi principi del Cristianesimo, dell’ Illuminismo, della democrazia e allora prova ( fa finta?) ad inserire dentro di se Lazzaro l’escluso, ma non ci riesce, perché dovrebbe contestare se stessa nei propri principi costitutivi. Gli immigrati sono i Lazzari del ventunesimo secolo e noi sappiamo solo allargare il fossato.

I cristiani e tutta l’umanità, non si dimentichino che Dio sta dalla parte dei Lazzari, anzi Dio in questo mondo è Lazzaro. Gesù è andato fra gli immondi per insegnare loro a smettere di dirsi immondi, a guardare le nostre città, il nostro sistema, e scoprire che il vero Lazzaro, il vero immondo è proprio il sistema. Questa è la rivoluzione cristiana. Gesù è venuto a svegliare la coscienza degli esclusi perché smettano di considerarsi legittimamente esclusi, perché sappiano che la dignità e’ un loro diritto inalienabile. Il sistema poi ha provato ad addomesticare Gesù “promuovendolo” a tutore dell’ordine ma Lui si è divincolato, andando contro ad un sistema che esclude, ribellandosi al potere politico/religioso e a quello economico. Per questo è stato crocifisso come un Lazzaro qualunque: “Come un delinquente voi lo avete appeso ad un legno” dice Pietro, nel primo discorso dopo la Pentecoste. Le Beatitudini ci dicono che i Lazzari hanno già vinto in Cristo la loro battaglia di dignità. Ora ci stanno venendo incontro, e sono milioni. Non ci vogliono distruggere, ma dirci la Parola della salvezza che è stata loro affidata. Beati i Poveri perché vostro è il Regno di Dio dirà Gesù. Vostro è il segreto della vita.

Le ricchezze non sono un fine, ma uno strumento nelle mani degli uomini; spesso sono diventate uno strumento iniquo perché l’uomo se ne è servito per dominare gli altri uomini e assoggettare interi popoli al controllo di alcune elite. Siamo arrivati nella storia perfino allo sterminio programmato e calcolato dei poveri, come ricorda ancora il profeta Amos. Grazie a Dio il progresso culturale dei popoli sta favorendo una sempre maggiore presa di coscienza, circa il bisogno di una più equa distribuzione delle ricchezze del pianeta. Alcune organizzazioni internazionali e alcune nazioni più sviluppate stanno lottando per nuovi equilibri sociali, ma la battaglia è ancora molto lunga e difficile. Gesù invita i suoi discepoli ad essere “scaltri” nell’uso delle ricchezze. Chiede ad ognuno di noi un diverso rapporto con le ricchezze sia sul piano individuale che in quello comunitario. Proprio per questo non può più bastare il gesto privato della elemosina; bisogna agire perché la ricchezza possa diventare uno strumento di liberazione e di riconciliazione tra i popoli; questa è la concretezza del vangelo, che per sua natura è un fatto sociale. La storia ci insegna che non pochi si sono allontanati dalla Chiesa e dalla fede, perché hanno ricevuto una cattiva testimonianza nell’uso del denaro e delle ricchezze. Assistiamo poi in questi anni come cristiani e cittadini del mondo a due fatti molto importanti. Papa Francesco sta testimoniando la possibilità concreta di una Chiesa povera per i poveri, ed è uno straordinario dono del Signore, un esempio che ci stimola a sempre nuova conversione. Inoltre al contempo assistiamo al fatto che molti poveri, si stanno -potremmo dire così- riprendendo il vangelo, spesso a loro nascosto, dietro parole di circostanza e umilianti elemosina. I poveri oggi sono coscienti che il vangelo è prima di tutto per loro, e non sono più disposti ad aspettare per i loro diritti e la loro dignità. Rileggiamo e meditiamo attentamente a questo proposito le parole profetiche di don Primo Mazzolari, prete povero tra i poveri al quale papa Francesco renderà onore, pregando sulla sua tomba fra pochi giorni:” io non ho mai contato i poveri, perché i poveri non si possono contare; i poveri si abbracciano, non si contano. Eppure c’è chi tiene la statistica dei poveri, e ne ha paura; paura di una pazienza che si può anche stancare, paura di un silenzio che potrebbe diventare un urlo, paura di un lamento che potrebbe diventare un canto, paura dei loro stracci che potrebbero farsi bandiera, paura dei loro arnesi che potrebbero farsi barricata.” Sta già avvenendo.


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Ha saputo amare anche nelle tenebre

In memoria di Madre Teresa di Calcutta a 20 anni dalla scomparsa

Ricorre oggi il ventesimo anniversario della morte di Madre Teresa di Calcutta, straordinaria donna di fede e missionaria proclamata santa. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Javier Pérez de Cuéllar, il giorno della scomparsa della madre ebbe a dire : “Lei è le Nazioni Unite. Lei è la pace nel mondo.” Queste parole esprimono efficacemente l’ampiezza, la grandezza, la profondità del servizio alla vita che questa piccola donna ha saputo esprimere nella fede in Dio e nell’uomo, in ogni uomo. Oggi sulla sua tomba bianca nella casa di Calcutta i pellegrini di ogni tempo e di ogni fede possono leggere un versetto del Vangelo di Giovanni: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Giovanni 15,12).

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Prima che essere donna d’azione, Madre Teresa era una donna di preghiera. Questo forse spiega la sua intrepida forza d’animo lungo una vita vissuta tra le miserie e le sofferenze del mondo. Diceva di se stessa e delle sue suore: “Siamo delle contemplative che vivono in mezzo al mondo. […] La nostra vita deve essere una preghiera continua” (R. Allegri, “Madre Teresa mi ha detto”, Ancora Editrice, Milano, 2010, pag. 59). Silenzio e preghiera sono ancor più necessari oggi per testimoniare Cristo con la vita e la carità, per vivere la nostra missione di uomini e di donne in un mondo sempre più complesso e difficile.

Nell’agosto del 1946 Madre Teresa cominciò a sentire la “ chiamata nella chiamata” come la definì lei stessa. Era la sera del 10 settembre in treno mentre andava nella città di Darjeeling per fare gli esercizi spirituali: “Quella notte aprii gli occhi sulla sofferenza e capii a fondo l’essenza della mia vocazione […] Sentivo che il Signore mi chiedeva di rinunciare alla vita tranquilla all’interno della mia congregazione religiosa per uscire nelle strade a servire i poveri. Era un ordine. Non era un suggerimento, un invito o una proposta […] ” (Cit. in Renzo Allegri, Madre Teresa mi ha detto, Ancora Editrice, Milano, 2010). Fu una chiamata interiore, una voce nel silenzio della preghiera che la spinse ad aprirsi all’accoglienza dei più poveri tra i poveri. Madre Teresa ha saputo coltivare e praticare il dono evangelico dell’accoglienza. Accogliere, prima di tutto nel proprio tempo, nel proprio cuore, andando a cercare chi era solo e abbandonato. Madre Teresa ha fatto la Chiesa in comunione, abbattendo ogni muro di indifferenza e di ipocrisia.

Davanti ai tanti calvari di tanti uomini e donne del nostro tempo, davanti alle croci degli uomini di ogni razza e religione, Madre Teresa ha saputo contemplare il volto di Cristo, come l’unità di misura di tutti quelli che danno la vita per amore. Con la forza dell’amore, questa suora che era in se stessa la carità, ha saputo fare una cosa grandiosa, una cosa divina; ha dato un nome, una dignità ad ogni croce. Cosa significa dare un nome alla croce ?

Gesù nella sua pienezza di Messia non era più un ebreo, era l’uomo: “Ecco l’uomo”. Il nome sulla croce è Uomo. Hanno certamente importanza le nostre distinzioni culturali, etniche, religiose ma quando si è in croce, quando si muore non contano più. Questa uguaglianza nel negativo è importante, perché Gesù l’ha assunta su di sé come un appuntamento: «Quando sarò sollevato sulla croce attirerò tutti a me». Tutti. Madre Teresa si è lasciata attirare ed ha attirato moltissimi alla croce di Gesù figlio dell’uomo, Salvatore di ogni uomo. Ecco perché, esattamente come ha fatto Madre Teresa non dobbiamo chiedere alla politica nessuna difesa della religione, ma dobbiamo chiedere con forza la difesa della dignità dell’uomo, di ogni uomo.

Ci sono un ecumenismo e un dialogo intereligioso della carità, in cui Madre Tereesa credeva molto: “C’è un solo Dio, ed è Dio per tutti; è per questo importante che ognuno appaia uguale dinnanzi a Lui. Ho sempre detto che dobbiamo aiutare un indù a diventare un indù migliore, un musulmano a diventare un musulmano migliore ed un cattolico a diventare un cattolico migliore. Crediamo che il nostro lavoro debba essere d’esempio alla gente. Attorno noi abbiamo 475 anime: di queste, solo 30 famiglie sono cattoliche. Le altre sono indù, musulmane, sikh… Sono tutti di religioni diverse, ma tutti quanti vengono alle nostre preghiere”. (Lucinda Yardey, Mother Teresa: A Simple Path, Ballantine Books, 1995.)

Com’e’ ormai noto, Madre Teresa ha anche sperimentato il buio della fede. In una delle sue lettere pubblicate postume scriveva di non sentire “la presenza di Dio né nel suo cuore né nell’Eucaristia”. E confidava : “Nella mia anima sperimento proprio quella terribile sofferenza dell’assenza di Dio, che Dio non mi voglia, che Dio non sia Dio, che Dio non esista veramente”.

In quegli anni, Madre Teresa si è offerta veramente tutta al mistero, ancora una volta con l’atto supremo di donazione nell’amore, che lei descrive con parole impressionanti: “Ho cominciato ad amare le mie tenebre perché credo che siano una parte, una piccola parte delle tenebre di Gesù e della Sua pena sulla terra“( Franca Zambonini, “Madre Teresa: la mistica degli ultimi”, Paoline, 2003, pagg. 33-34).

Madre Teresa ha saputo amare anche le tenebre, proprio come Gesù che ha vinto la morte con l’amore.

Nel nostro blog abbiamo in passato raccolto delle testimonianze di devozione verso Madre Teresa dall’India e dalla Cina.

 


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Esemplari servitori del vangelo

Papa Francesco pellegrino sulle orme di don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani

Papa Francesco a Bozzolo è stato accolto dal vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, che ha subito annunciato l’avvio del processo di beatificazione di don Primo Mazzolari il prossimo 18 settembre. Si è poi recato nella parrocchia di San Pietro per pregare sulla tomba di don Primo Mazzolari, e tenendo un memorabile discorso, dove tra le altre cose ha parlato del “magistero dei parroci”.

A Barbiana è stato accolto dal cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze e anche qui ha voluto subito recarsi a pregare sulla la tomba di don Lorenzo Milani a 50 anni dalla morte. In chiesa ha poi incontrato gli studenti del priore di Barbiana e tenuto un discorso che sarà difficile dimenticare sul piazzale davanti la canonica di don Lorenzo. La sua passione educativa è stata fedeltà al vangelo e a tutti coloro che gli erano affidati ha detto il papa. Poi ha aggiunto:” Oggi il vescovo di Roma riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il vangelo, i poveri e la chiesa; prendete la fiaccola di don Lorenzo e portatela avanti”.

Don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, sono ” due sacerdoti che ci offrono un messaggio di cui oggi abbiamo tanto bisogno”, ha detto papa Francesco domenica scorsa alla preghiera dell’Angelus.

In questi giorni da più parti nella Chiesa e fuori, si sono succedute varie analisi e commenti su questo pellegrinaggio del papa; alcuni hanno parlato di “riabilitazione”, altri di “omaggio” per due sacerdoti sempre in trincea nel loro ministero. Quale che sia la giusta interpretazione, è bene lasciare spazio ai fatti. Papa Francesco si inginocchia davanti a due grandissimi protagonisti della chiesa e della società italiana del Novecento, riconoscendo in loro una Chiesa che si mette a servizio dei poveri e annuncia la misericordia di Cristo per tutti.

Questo mettersi in ginocchio è un atto dalla forte valenza simbolica. Non sono mancati come tutti sanno molto bene i “nemici” di don Mazzolari e don Milani, come oggi non mancano quelli di papa Francesco. Sono nemici di varia provenienza specialmente ecclesiale e tra questi ci sono anche coloro che al primo soffio di vento, cambiano bandiera, pronti a ricambiarla ogni volta che sia necessario. Pare riascoltare l’esperienza di San Paolo quando raccontando la sua storia parla di:“pericoli da parte di falsi fratelli”( 2Cor 11,26). L’opposizione alla Chiesa dei poveri e degli ultimi è molto attiva sul web e su alcuni blog di tradizionalisti; essi accusano oggi il papa, come ieri don Primo e don Lorenzo, di aver gettato la Chiesa in confusione dottrinale, morale, pastorale. Curiosamente questi blog parlano tra di loro si citano l’uno con l’altro quasi fossero novelli Padri della Chiesa. In realtà in confusione sono oggi questi difensori di una chiesa vecchia, che non c’è più, che si sono presi spazio esclusivo per troppi anni, ignorando sensibilità e voci differenti, ignorando i poveri. Alcuni pseudo cattolici laici e chierici che negli anni di pontificato di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, alle spalle dei due pontefici, hanno ridotto una parte della Chiesa ad una spelonca di ladri, brigando i loro affari con i potenti di turno, svendendo il Vangelo per quattro spiccioli; tramando nelle lobby gay e in quelle finanziarie, appaltando ai movimenti ecclesiali ogni opera di evangelizzazione, umiliando le parrocchie e il popolo di Dio; pseudo cattolici che difendono i principi che non vivono, e giudicano i drammi delle persone che non ascoltano, con cui non condividono.

Bisogna ritornare urgentemente alla chiesa di Mazzolari, Milani e papa Francesco che con lo Spirito del Concilio trasmettono il vangelo per attrazione e non per proselitismo.

E’ con la forza della preghiera di Gesù e di tutta la Chiesa che papa Francesco sta compiendo il Suo viaggio pastorale per confermare i suoi fratelli nella fede. E’ partito come sappiamo dalla periferia, da Lampedusa, indicando al mondo la centralità delle periferie fisiche ed esistenziali.

Oggi a Bozzolo e a Barbiana, Papa Francesco ci testimonia che la cruna d’ago attraverso cui passare per parlare di Dio è l’uomo scartato. Dare la vita per gli scartati, proprio come Gesù, anche Lui uomo brutalmente scartato.  Ogni giorno, sempre più forte il grido degli scartati ci investe e “rovescia” i banchi delle nostre chiese, richiamandoci alle cose essenziali.

Il papa ci ricorda che la “Buona Notizia” di Gesù non è una nuova filosofia, ma è la risposta al desiderio di tutti gli uomini di ogni tempo, di essere amati e liberati da ogni schiavitù.

Chiunque curi le piaghe del mondo, difenda il suo popolo, educhi alla vera libertà, non escluda nessuno a priori, è nel cuore stesso di Dio.

Papa Francesco venuto “dalla fine del mondo” oggi ha volto lo sguardo all’intero mondo e all’intera Chiesa cattolica, indicando questi due sacerdoti come modelli del vangelo.

Il Buon Pastore conosce le sue pecore ci ricorda il vangelo. Papa Francesco ha fatto dell’” odore delle pecore” il profumo di ogni opera di evangelizzazione. E’ l’odore delle pecore dice papa Francesco, che può risvegliare la chiesa, il dolore e la solitudine delle persone, la loro voglia di vita e di riscatto, la frontiera sulla quale costruire l’ospedale da campo che è la Chiesa.

Ringraziamo il Signore per il dono di don Primo e don Lorenzo e chiediamo allo Spirito la forza di continuare a trasmettere il vangelo con la loro audacia e coerenza; chiediamo anche allo stesso Spirito l’umiltà di sapere chiedere perdono come battezzati, come laici, come sacerdoti, come chiesa italiana a questi due grandi testimoni di Cristo.

Da oggi dopo questo pellegrinaggio di papa Francesco, la chiesa italiana e  la chiesa cattolica tutta, o si modella sulle orme di don Mazzolari e don Milani, o sarà una chiesa disobbediente allo Spirito e a Pietro.

 


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Dare voce a chi non ha voce. La Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato

La Chiesa celebra Domenica 15 gennaio la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Quest’anno, Papa Francesco ha scelto come tema: “Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce”. Questa giornata ha più di cento anni e fu istituita nel 1914 da Benedetto XV.

Come ormai tutti sappiamo, la questione dei migranti e’ diventata un’emergenza globale. Secondo i dati riportati dalla Fondazione ISMU, sono oltre 181mila gli arrivi via mare registrati nel 2016 in Italia, in aumento del 18% rispetto all’anno precedente. Di essi, 25mila sono minori, di cui il 14% non accompagnati. Con questa Giornata siamo chiamati  a dare voce ma soprattutto risposte a questi esseri umani, soprattutto donne e bambini, che sono costretti a fuggire e a lasciare tutto, nella speranza di una vita migliore. Ma quali risposte possiamo dare? La nostra semplice risposta è una questione di buon senso: umanità, generosità e competenza.

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In primo luogo, notiamo che molte informazioni che ci vengono date o che riportiamo non sono corrette. Questo è spesso responsabilità di alcuni media, ma anche  nostra, come  cittadini. Abbiamo infatti il dovere di informarci e di non giudicare in base al sentire e all’apparenza. Soprattutto quando si tratta di questioni così fondamentali e delicate, come quelle della vita e della sicurezza di esseri umani in fuga perché a rischio della vita e della loro incolumità.

Dalle informazioni che riceviamo e da come noi parliamo, sembra che migranti e i rifugiati siano una fetta molto ampia della popolazione italiana. Sempre secondo le informazioni della Fondazione Ismu, riportate in un recente articolo del Sole 24 Ore , gli italiani credono che gli immigrati siano il 30% della popolazione, mentre si tratta di un mero 10%. Similmente, si ha una percezione più ampia della presenza musulmana, che suscita in molti una certa apprensione. Tali errate percezioni certo non aiutano ad affrontare la questione migranti, che richiede la cooperazione e la buona volontà di tutti, dalle istituzioni internazionali, ai singoli governi, fino a noi cittadini.

Poi ci siamo noi cristiani. Specialmente noi, non possiamo sottrarci al dovere della carità e non possiamo essere vittime della paura, tanto più se immotivata. Dobbiamo inoltre superare visioni ristrette e antistoriche. I cristiani hanno come vocazione quella di passare dal particolarismo all’universalità. Il Cristianesimo è per sua natura aperto al mondo. Non a caso si è adattato a molteplici culture e sistemi sociali, “fino agli estremi confini della terra”.

Per questo seguiamo l’invito del Papa e quanto detto profeticamente da San Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato. Apriamo i confini politici ed economici degli stati. Apriamo le case sfitte, le parrocchie e gli istituti religiosi. E soprattutto apriamo i nostri cuori verso questi nostri fratelli e sorelle che soffrono. Ci renderemo conto ancora una volta della realtà del Vangelo: se metteremo insieme le nostre forze verrà fuori qualcosa di bello e di umano, come i cinque pani e due pesci che condivisi e distribuiti con equità, con l’aiuto del Signore, hanno sfamato tanta gente.

E siamo fedeli alla nostra storia. Già nel 1914, Benedetto XV, scriveva ai vescovi diocesani italiani la lettera circolare “Il dolore e le preoccupazioni”, dove chiedeva di istituire una Giornata annuale per sensibilizzare e raccogliere offerte in favore degli emigrati italiani. Nel corso degli anni si è poi sviluppata e aggiornata questa iniziativa profetica del Papa, nata nell’ambito della Prima Guerra Mondiale, per arrivare alla struttura odierna. L’azione pastorale della Chiesa riguardo alla questione migratoria ha quindi una lunga storia e una notevole esperienza, ed è sempre stata una parte fondamentale della sua Dottrina Sociale. Noi cristiani dobbiamo metterla in pratica, attuarla nel mondo, secondo i tempi e i momenti.

La storia insegna che la paura è sempre stata una cattiva consigliera. Le nostre paure, poi, sono relative. Dal punto di vista dei migranti, quelle che sono le nostre paure sono invece una speranza. In fondo se la nostra cultura europea e occidentale oggi si sente più fragile, insicura e minacciata significa anche che finalmente altri popoli stanno rivendicando dignità e cibo per i loro figli, dopo secoli di oppressione e sfruttamento. Quello che il beato Paolo VI aveva preannunciato nella Enciclica Populorum Progressio si sta verificando oggi. E realmente oggi capiamo meglio che “lo sviluppo è il nome nuovo della pace”.

Convertiamoci dunque verso uno stile di vita più sobrio, verso gesti di carità concreti, invece di tante forme di devozionismo al limite della fede che non portano beneficio a nessuno, tanto meno al nostro cammino cristiano e alla nostra anima. Un gesto di carità, una preghiera, un diverso stile di vita personale possono portare qualcosa di bello, magari una vita migliore, a qualcuno. Aggiungiamo un gesto di carità, un po’ del nostro tempo, a un Ave Maria che ci viene chiesta come penitenza nella Confessione. “La carità copre una moltitudine di peccati” – dice la Scrittura. Siamo una piccola goccia nell’oceano, diceva Santa  Madre Teresa. Eppure quella “piccola matita nelle mani di Dio” vediamo cosa ha fatto.

Oggi sullo scenario internazionale si affaccia una grande opportunità per affrontare efficacemente il fenomeno migratorio. Il nuovo segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha diretto per tanti anni l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR). La sua esperienza in questo ambito è un fattore molto importante e certamente ha pesato sulla sua designazione. E’ una cosa che lascia ben sperare. Il mondo, nella sua sede istituzionale più importante, sembra essersi finalmente deciso ad affrontare risolutamente e senza più rinvii la crisi umanitaria legata all’emergenza migranti, emergenza che è ormai quotidianità. Guterres è anche un cattolico praticante. Pensiamo che potrà così unire le competenze tecniche e politiche all’umanesimo cristiano.

E non ci dimentichiamo dell’opera misericordiosa e profetica del nostro amato Papa Francesco, che ha deciso di guidare lui stesso in prima persona la sezione dedicata ai migranti del nuovo dicastero sullo Sviluppo Umano Integrale.

Preghiamo e operiamo come possiamo per questi nostri fratelli e sorelle, apriamo a loro il nostro cuore, ciascuno secondo le sue possibilità, sensibilità e competenze.


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Abbiamo bisogno dell’uomo così come è.Riflessioni sulla Lettera Apostolica “Misericordia et Misera”

Si è concluso il Giubileo straordinario della misericordia e Papa Francesco ci ha donato la Lettera Apostolica “Misericordia et Misera“.

Partendo dal capitolo 8 del Vangelo di Giovanni, che racconta dell’incontro tra Gesù e la donna sorpresa in adulterio, Papa Francesco traccia le linee programmatiche per il futuro della Chiesa perché sia sempre maestra e  strumento di misericordia. Papa Francesco pensa ad una Chiesa che non solo viva quotidianamente la misericordia ma anche la celebri nel suo atto più importante che è la liturgia.

“Misericordia et misera sono le due parole che sant’Agostino utilizza per raccontare l’incontro tra Gesù e l’adultera (cfr Gv 8,1-11). Non poteva trovare espressione più bella e coerente di questa per far comprendere il mistero dell’amore di Dio quando viene incontro al peccatore: «Rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia». Quanta pietà e giustizia divina in questo racconto! Il suo insegnamento viene a illuminare la conclusione del Giubileo Straordinario della Misericordia, mentre indica il cammino che siamo chiamati a percorrere nel futuro. […] La misericordia, infatti, non può essere una parentesi nella vita della Chiesa, ma costituisce la sua stessa esistenza, che rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo. Tutto si rivela nella misericordia; tutto si risolve nell’amore misericordioso del Padre”. (Mm 1)

La “Buona Notizia” di Gesù non è una nuova filosofia, ma è la risposta al desiderio di tutti gli uomini di ogni tempo, essere amati e liberati da ogni schiavitù. Tutti gli uomini, non solo sono oggetto di un amore misericordioso, ma anche soggetti liberi di amare.  Chiunque curi le piaghe del mondo, difenda il creato, non escluda nessuno a priori, è nel cuore stesso di Dio. Non dimentichiamo mai di ringraziare del bene, da chiunque sia fatto.

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“Gesù d’altronde lo aveva insegnato con chiarezza quando, invitato a pranzo da un fariseo, gli si era avvicinata una donna conosciuta da tutti come una peccatrice (cfr Lc 7,36-50). Lei aveva cosparso di profumo i piedi di Gesù, li aveva bagnati con le sue lacrime e asciugati con i suoi capelli (cfr v. 37-38). Alla reazione scandalizzata del fariseo, Gesù rispose: «Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco» (v. 47). […] Il perdono è il segno più visibile dell’amore del Padre, che Gesù ha voluto rivelare in tutta la sua vita. Non c’è pagina del Vangelo che possa essere sottratta a questo imperativo dell’amore che giunge fino al perdono. Perfino nel momento ultimo della sua esistenza terrena, mentre viene inchiodato sulla croce, Gesù ha parole di perdono: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). (Mm2)

Misericordia e verità s’incontreranno, ci ricorda il Salmo 85. La misericordia non è un gesto che comunica amore, che trasferisce diciamo dall’alto in basso l’amore di Dio, ma è molto di più; misericordia è uno stare in comunione con la verità dell’altro; stare in comunione con la dignità di figlio di Dio di ogni persona; la verità dell’uomo infatti è prima di tutto la sua immagine e somiglianza con il creatore. Si assiste ogni tanto a qualche maldestro tentativo di separare la verità, dalla misericordia, la prima apparterrebbe alla dottrina, e la seconda alla pastorale; questo è un tragico errore, perché la misericordia non è un metodo pastorale, ma è il vangelo, il cuore stesso di Dio.

“Quanta gioia è stata suscitata nel cuore di queste due donne, l’adultera e la peccatrice! Il perdono le ha fatte sentire finalmente libere e felici come mai prima. Le lacrime della vergogna e del dolore si sono trasformate nel sorriso di chi sa di essere amata. La misericordia suscita gioia, perché il cuore si apre alla speranza di una vita nuova. La gioia del perdono è indicibile, ma traspare in noi ogni volta che ne facciamo esperienza.” (Mm3)

E’ molto importante questo forte richiamo alla gioia.  Così come nella Evangelii Gaudium papa Francesco ricorda che la gioia è una dimensione spirituale, biblica e sociale dalla quale non si può prescindere. La gioia del Natale così ben descritta nei cosiddetti vangeli della infanzia è ormai all’orizzonte. Purtroppo a volte I cristiani sono diventati alleati della tristezza, della notte, della conservazione, della ripetizione dell’antico, hanno avuto paura di ogni modernità, in fondo hanno avuto paura delle “cose nuove” già annunciate dai profeti biblici. Per la cattiva testimonianza di alcuni, il  cristianesimo  è stato percepito  come  un talento da nascondere in una buca. Ogni entusiasmo per i grandi valori della storia, della libertà, della fraternità, della uguaglianza è stato spesso sopito per un eccesso di prudenza e in definitiva per una vita fede povera, più attenta al potere che al servizio. Dobbiamo combattere con tutte le forze questo cristianesimo del talento nella buca, perché, come dice Paolo, noi siamo figli del giorno; noi siamo svegli non per nascondere i talenti ma per rischiare, avendo l’audacia con la forza dello Spirito di cambiare il mondo. I cristiani sono figli della luce, non guardiani di un museo delle cere, o soldati di un fortino arroccato.

[…] assume un significato particolare anche l’ascolto della Parola di Dio. Ogni domenica, la Parola di Dio viene proclamata nella comunità cristiana perché il giorno del Signore sia illuminato dalla luce che promana dal mistero pasquale”. (Mm6) “Nel Sacramento del Perdono Dio mostra la via della conversione a Lui, e invita a sperimentare di nuovo la sua vicinanza. È un perdono che può essere ottenuto iniziando, anzitutto, a vivere la carità.[…]Quanta tristezza quando rimaniamo chiusi in noi stessi e incapaci di perdonare! Prendono il sopravvento il rancore, la rabbia, la vendetta, rendendo la vita infelice e vanificando l’impegno gioioso per la misericordia”. (Mm8)[…] “Ricordiamo con sempre rinnovata passione pastorale, pertanto, le parole dell’Apostolo: «Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione»(2 Cor 5,18). (Mm11)

La Chiesa è il lievito dell’unica storia degli uomini. Noi non ci poniamo come ideologia contro altre ideologie ma come segno e strumento di riconciliazione. Affidando a noi la parola della riconciliazione. A noi è affidata questa parola. A noi non è affidata la parola della guerra, del fondamentalismo che può riguardare anche noi, che fa dire ad alcuni “cattolici”, l’islam è tutto fondamentalista, tutto anti cristiano ; stiamo attenti a non mancare a ciò che ci è stato affidato, la Parola della riconciliazione costi quello che costi.  Una parola di Misericordia che spezza le barriere, abbatte i muri e  riconcilia,  dona la Pace, quella vera. Questo è il vero il grido della sentinella biblica, la riconciliazione.

Su questa Parola saremo giudicati. Dio mi giudicherà a partire da qui: che cosa hai fatto per i tuoi fratelli? come ti sei riconciliato con loro? Hai soffiato sul fuoco di presunte guerre di religione che non esistono e che invece nascondono altri interessi o hai vissuto atti di riconciliazione, di pazienza e anche di perdono? saremo giudicati su questo (Mt 25).La Parola di Dio è una  Parola d’amore che Dio pronuncia su di noi, sul mondo, sulla storia. La Chiesa ha bisogno di testimoni che sperimentano che la Parola di Dio è  efficace,  opera ciò per cui è stata mandata.

Durante l’Anno Santo, specialmente nei “venerdì della misericordia”, ho potuto toccare con mano quanto bene è presente nel mondo. Spesso non è conosciuto perché si realizza quotidianamente in maniera discreta e silenziosa. Anche se non fanno notizia, esistono tuttavia tanti segni concreti di bontà e di tenerezza rivolti ai più piccoli e indifesi, ai più soli e abbandonati. Esistono davvero dei protagonisti della carità che non fanno mancare la solidarietà ai più poveri e infelici. […] È il momento di dare spazio alla fantasia della misericordia per dare vita a tante nuove opere, frutto della grazia. La Chiesa ha bisogno di raccontare oggi quei «molti altri segni» che Gesù ha compiuto e che «non sono stati scritti» (Gv 20,30).” (Mm 17-18)

La misericordia rappresenta oggi per la Chiesa un appuntamento con la storia; nei primi secoli abbiamo difeso la fede ; poi abbiamo portato il vangelo fino ai confini della terra; oggi forse il compito dei cristiani è dire al mondo moderno che certamente, la storia è molte volte una povera storia, fatta di poveri uomini, un oceano infinito di sangue, ma rimane una storia della Salvezza dove il Padre non cessa di tendere la sua mano, e dove il vangelo della misericordia inesorabilmente si compie.

“Alla luce del “Giubileo delle persone socialmente escluse”, mentre in tutte le cattedrali e nei santuari del mondo si chiudevano le Porte della Misericordia, ho intuito che, come ulteriore segno concreto di questo Anno Santo straordinario, si debba celebrare in tutta la Chiesa, nella ricorrenza della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, la Giornata mondiale dei poveri. Sarà la più degna preparazione per vivere la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il quale si è identificato con i piccoli e i poveri e ci giudicherà sulle opere di misericordia” (cfr Mt 25,31-46). (Mm21)

 «Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Dategli voi stessi da mangiare» (Lc 9,12-13)

 Il vangelo ci chiede di tener saldo  il rapporto tra l’eucaristia la carità. I discepoli, di fronte alla fame della moltitudine sono stati tentati di far finta di niente, tentati di allontanare il problema, che erano persone, volti, storie concrete.  L’eucaristia diventa la nostra condanna se congediamo le folle, radunate ormai davanti le nostre case e le nostre chiese. Allontanare i poveri   nelle nostra vita, si può fare in tanti modi: quando facciamo finta di non vedere ciò che poi abbiamo sotto gli occhi, quando per tacitare la nostra coscienza, diciamo tanto è impossibile cambiare le cose, quando ci chiudiamo dentro il nostro benessere, aprendoci soltanto con una offensiva elemosina. L’eucaristia, la misericordia    sono l’opposto  del disinteresse, dell’individualismo, della logica del congedo. Stiamo tutti molto attenti al rischio di ridurre l’eucarestia ad una devozione privata, intimistica, come se tutto potesse risolversi nel rapporto esclusivo tra me e il Signore, un rapporto nel quale gli altri e il mondo non ci sono più.

Oggi sentiamo forte la profezia di papa Francesco, “non lasciatevi rubare la Speranza”. Dobbiamo reagire. Il modo cristiano di reagire, è spezzare il pane e darlo alle folle, spezzare noi stessi e darsi alle folle, sentire compassione per chi ti segue a piedi, o sui barconi, perché ha fiducia nel tuo essere cristiano, nel tuo essere italiano, la patria del Diritto, fiducia nella “bellezza “  del nostro paese.

Vogliamo ravvivare la nostra speranza, spezzare le stanche chiusure su noi stessi, i nostri individualismi, le nostre segregazioni individuali di classe, di popolo, aprendoci ad un futuro possibile e urgente. Oggi dobbiamo osare di più e tenere insieme le ragioni della Speranza cristiana e le ragioni della lotta fianco a fianco con chi ha fame. Di che cosa abbiamo bisogno al termine di questo Giubileo? Noi abbiamo bisogno soltanto di cristiani concreti, di uomini e di donne di buona volontà; abbiamo bisogno soltanto di persone perbene; abbiamo bisogno soltanto di persone competenti e non raccomandate; abbiamo bisogno di persone al servizio, di persone che vogliono bene al prossimo.  Come ieri per la Salvezza non contava il circonciso nè l’incirconciso, così oggi non conta l’uomo di Destra, né l’uomo di Sinistra, non conta il conservatore o il progressista. Conta solo l’uomo, cosi’ come è, la Nuova Creatura redenta e amata dal Signore.


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Morto il Re, viva il Re

Donald Trump sarà il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America. Il nuovo presidente americano giurerà sulla Bibbia; prima una cerimonia privata nella blue room della Casa Bianca poi una cerimonia pubblica il 20 gennaio come tradizione  prima delle ore 12.00,  quando inizierà ufficialmente il mandato presidenziale. Nella costituzione americana è scritta la formula testuale del  giuramento che il Presidente eletto deve ripetere davanti a un giudice, per tradizione il presidente della Corte Suprema: “Giuro (o affermo) solennemente che adempirò fedelmente all’incarico di Presidente degli Stati Uniti, e preserverò, proteggerò e difenderò, al meglio della mia capacità, la Costituzione degli Stati Uniti”.

Giurerà sulla Bibbia. Questo nella tradizione americana non è solo un atto formale, ma è rivestito di profondo significato. Trump è anche un uomo molto ricco . Nella Bibbia Gesù rèlega la ricchezza al ruolo dello strumento. Ci avverte però che spesso essa è diventata  iniqua perché l’uomo se ne è fatto strumento di grandezza e di dominio, anzi di sterminio del povero. Siamo arrivati nel mondo, tutti lo vediamo,allo sterminio programmato e calcolato dei poveri. Abbiamo investito somme iperboliche per fare armi e di conseguenza milioni di uomini muoiono. La nostra responsabilità di fronte alla ricchezza,ci impone  di agire perché la ricchezza deve diventare strumento di liberazione degli uomini.

Questo è l’amore di Dio biblicamente significato. Non l’amore a chiacchere ma nella verità dei fatti e dei comportamenti. I fatti passano attraverso una economia solidale, una politica sociale, un welfare che include e non esclude, la consapevolezza che l’America è un grande paese inserito in un mondo globale, dove c’è urgente bisogno della globalizzazione della solidarietà e non dell’indifferenza.

Preghiamo perché gli Stati Uniti d’America e il loro nuovo presidente siano all’altezza della Parola di Dio sulla quale in un  certo senso tutto il popolo americano presta giuramento, della loro grande Costituzione, della loro storia.