ConAltriOcchi blog – 以不同的眼光看世界-博客

"C'è un solo modo di vedere le cose finché qualcuno non ci mostra come guardare con altri occhi" – "There is only one way to see things, until someone shows us how to look at them with different eyes" (Picasso) – "人观察事物的方式只有一种,除非有人让我们学会怎样以不同的眼光看世界" (毕加索)


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Papa Francesco sulla violenza sulle donne: “Non possiamo guardare dall’altra parte”

Preghiamo per le donne vittime di violenza, perché vengano protette dalla società e perché le loro sofferenze siano prese in considerazione e ascoltate da tutti”.

Photo credit: https://thepopevideo.org/?lang=it

E’ questa l’intenzione di preghiera del mese di Febbraio che Papa Francesco affida a tutta la Chiesa cattolica attraverso la Rete Mondiale di Preghiera del Papa. Il Video del Papa del mese lancia un forte messaggio contro i tanti tipi di violenza nei confronti delle donne: “Una vigliaccheria, un degrado per tutta l’umanità”. Papa Francesco chiede che le vittime vengano protette dalla società e che la loro sofferenza venga ascoltata.

Oggi le donne di tutto il mondo sono vittime di molteplici forme di violenza: violenza fisica, sessuale, psicologica e verbale. Ogni giorno nel mondo vengono uccise 137 donne da un membro della propria famiglia. Più della metà muore per mano di parenti o del partner. Nel 2020, 243 milioni di donne e ragazze hanno subito abusi da parte di un partner. In tutto il mondo, il 35% delle donne ha subito violenze fisiche o sessuali. Le donne adulte rappresentano quasi la metà delle vittime di tratta di esseri umani nel mondo. Nell’Unione Europea, 1 donna su 10 riferisce di aver subito il cyberbullismo dall’età di 15 anni. Le donne vittime di violenza hanno maggiori probabilità di avere problemi di salute: traumi, disturbi d’ansia o depressione, infezioni sessualmente trasmissibili come l’HIV.

La violenza contro le donne è un grido in tutte le sue forme e Papa Francesco lo ha ribadito più volte invitandoci a riflettere: “Se vogliamo un mondo migliore, che sia casa di pace e non cortile di guerra, dobbiamo tutti fare molto di più per la dignità di ogni donna”.

Fonti principali: Rete Mondiale di Preghiera del Papa. ONU DONNE: Fatti e cifre: eliminare la violenza contro le donne (Novembre 2020). Organizzazione Panamericana della Sanità/Organizzazione Mondiale della Sanità Honduras (gennaio 2020). Omelia di Papa Francesco nella LII Giornata Mondiale della Pace (gennaio 2020). Pelletier, Anne-Marie: L’Eglise des femmes avec des homes (2019)


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Maria Maddalena e le donne: fedeli discepole di Gesú

Don Francesco Pesce e Monica Romano

Il 3 giugno scorso la Congregazione per il Culto Divino ha pubblicato un decreto con il quale, «per espresso desiderio di papa Francesco», la celebrazione di Santa Maria Maddalena, che era memoria obbligatoria, viene elevata al grado di festa liturgica. Il Papa ha preso questa decisione durante il Giubileo della Misericordia – ha spiegato il Segretario del dicastero, l’arcivescovo Arthur Roche – “per significare la rilevanza di questa donna che mostrò un grande amore a Cristo e fu da Cristo tanto amata”.

Maria di Magdala (o Maddalena) al culmine della vita di Gesù, al Calvario, era insieme a Maria e a San Giovanni, sotto la Croce (Gv. 19,25). Non fuggì mai per paura come fecero i discepoli, non lo rinnegò mai come fece Pietro, ma fu sempre presente ogni momento, dal giorno della sua conversione, fino sotto la Croce quando Gesù morì. Fu la prima, il mattino di Pasqua, a cui il Signore apparve chiamandola per nome.

Nel Messale romano, nel giorno di oggi 22 luglio che da questo anno è come detto Festa Liturgica di Santa Maria Maddalena, è riportata una lettura del Cantico dei Cantici: «Mi alzerò e perlustrerò la città, i vicoli, le piazze, ricercherò colui che amo con tutta l’anima. L’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi incontrarono i vigili di ronda in città: “Avete visto colui che amo con tutta l’anima?”» (Ct. 3,2). E’ un testo straordinario che si applica “naturalmente alla sequela che Maria Maddalena ha vissuto per tutta la vita. Lei infatti ha cercato il senso della sua vita, ha cercato Gesù con determinazione, non ha scartato nessun terreno, non lo ha cercato solo dentro di lei, ma anche intorno a Lei; non lo ha cercato solo negli spazi sacri, ma anche in quelli profani; non lo ha cercato solo nel cammino di perfezione, ma anche e forse soprattutto nei fallimenti. Vale la pena a questo proposito ricordare che la sua identificazione tradizionale con una prostituta convertita, non ha alcun fondamento biblico.

E il Signore si è fatto trovare Maria di Magdala, si è fatto trovare per sempre nel suo essere il Risorto chiamandola per nome, riconoscendo ciòè la testimonianza di questa donna, e stabilendo con lei il legame dell’amore che è più forte persino della morte.

Donna perché piangi? Chi cerchi?” (Gv. 20,15). “Gesù le disse: Maria!” (Gv. 20,16). Da questo straordinario e paradigmatico incontro avvenuto il mattino di Pasqua possiamo trarre alcuni insegnamenti. La Chiesa deve molto alle donne, testimoni credibili e fedeli di Cristo risorto. A partire naturalmente da Maria, Madre di Gesú. Il Signore ha deciso di rivelarsi pienamente al mondo in un Bambino, nascendo cosí nel grembo di una donna. Quando è risorto per testimoniare al mondo che l’amore è piú forte della morte, è apparso per primo alle donne. Nei due misteri piú importanti della fede e della rivelazione cristiana – l’incarnazione e la resurrezione – il Signore sceglie le donne, si affida a loro. E tra questi due momenti che hanno cambiato per sempre la storia del mondo, nella sua breve vita, Gesú ha vissuto e valorizzato l’amicizia con diverse donne, le quali sono state sue discepole fedeli. Come tante donne oggi, che rappresentano davvero una grande ricchezza della Chiesa: le mamme, le nonne, le religiose, le insegnanti, le tante volontarie e operatrici nella caritá e nell’assistenza ai malati, ai poveri, a chi ha bisogno…. Questo “prendersi cura dell’altro” in tanti ambiti è proprio della donna, ed è molto presente nella vita della Chiesa. Valorizziamo al massimo questa presenza, questo carisma e questo dono, proprio come ha fatto il Signore.

“Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv. 20, 17). Non lasciamo che un maschilismo e clericalismo ormai obsoleti, peraltro senza fondamenti biblici, condizioni la vita e la missione della Chiesa. Diamo sempre piú spazio alle tante donne che nella quotidianitá e senza clamori operano nelle varie realtá ecclesiali – nella pastorale, nella caritá, nelle missioni, e nelle istituzioni educative.


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Ospitare e ascoltare: il cuore del Vangelo che ci rende liberi

don Francesco Pesce

Un tema centrale della spiritualità cristiana è senza dubbio l’«ospitalità». E’ un tema sacro  per tutte le religioni e per tutte le culture. Nel  NT in Eb 13,2 leggiamo: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli». La civiltà post moderna in particolare in occidente ha perso il senso sacro  dell’ospitalità perché ha reso  economico  ogni aspetto della nostra vita, compreso i rapporti tra le persone, basando tutto  sulle regole del mercato e del profitto;le regole però non sono frutto di una condivisione,ma  sono decise  da chi parla di libero mercato,ma in realtà è padrone assoluto  del mercato. Aggiungiamo poi  una  corruzione sistematica ed ecco allora sacche privilegi che usano il mercato per gli interessi di pochi a scapito dei molti.In questo contesto, l’ospite è diventato un semplice turista, su cui soltanto guadagnare.Nel vangelo Gesù entra in un villaggio nella casa di amici e ci da il senso profondo della ospitalità. “Entrò in un villaggio”. Il “villaggio” è il luogo attaccato alla tradizione, al passato. Il villaggio era quello che“l’accampamento”rappresentava nell’Antico Testamento, luogo dove  le  appartenenze sono divenute schlerotizzate e privilegiate, in cui ogni novità è vista con sospetto, ogni forestiero è già nemico.

Una donna, di nome  Marta ospitò Gesù nella sua casa, racconta l’evangelista Luca. “Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola”.Maria si mette nella posizione del discepolo verso il maestro. Come San Paolo che racconta negli Atti di essere stato istruito ai piedi di Gamaliele. Maria quindi riconosce Gesù come Maestro. Maria,però non potrebbe fare questo. E’ una donna e le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini.Leggiamo ad esempio nel Talmud che  “le parole della legge vengono distrutte dal fuoco piuttosto che essere insegnate alle donne”.  Maria qui sta compiendo  qualcosa di clamoroso.Trasgredisce una delle leggi fondamentali insegnate dalla Tradizione. 

“Tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta”. Cosa non può essere tolto ad  una persona? Pensiamo che purtroppo a volte  può essere tolta persino la vita ad una persona. Perché Gesù dice che Maria ha scelto una cosa migliore che non può esserle tolta? La risposta è che Maria ha scelto la libertà, attraverso la disobbedienza alla legge. Ecco un altro tema fondamentale, la libertà. Il sovrano può concedere la libertà, ma può anche toglierla in qualunque momento.Questo vale per le persone e come ci insegna la storia vale anche per popoli interi. Quando però la libertà è frutto di una conquista personale, frutto del  coraggio di trasgredire regole della tradizione e della religione, che umiliano  come in questo caso la dignità della donna, allora quando uno conquista questa libertà nessuno gliela può togliere. Gesù ci chiama a questa libertà; non ci chiama  a scegliere una vita contemplativa o una più attiva, perchè la vita è una sola. Gesù ci chiama a fare la scelta della libertà, in particolare la libertà di ascoltare la Sua Parola, e di metterla in pratica in una concreta e solidale apertura agli altri, specialmente verso chi bussa alle nostre porte, scappando dalla guerra e dalla fame. Ospitalità e Libertà sono cose sacre, nessuna religione o istituzione può interferire con esse, perchè si metterebbero contro Dio e contro l’uomo.


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L’altra metà della Chiesa

Don Francesco Pesce e Monica Romano

Si sono susseguite in queste ultime settimane notizie sul tema del ruolo della donna nella Chiesa. Un argomento non molto trattato a dire la verità (almeno in Italia), a parte qualche uscita “a effetto”, a volte un po’ puerile, ripresa da qualche giornale ma che poi cade nel vuoto. Parlando all’Unione Internazionale delle Superiori Generali (UISG), in riunione in questi giorni a Roma, Papa Francesco ha risposto a una domanda di una religiosa dicendosi disposto a formare una commissione per studiare la questione del diaconato femminile. Tema trattato in un convegno svoltosi proprio nei giorni precedenti a Münster, in Germania, promosso dalla KatholischeFrauengemeinschaftDeutschlands (Comunità cattolica femminile della Germania – Kfd), dalla KatholischeDeutscheFrauenbund (Federazione cattolica femminile tedesca – Kdfb), e da altre organizzazioni laicali. Anche all’ultimo Sinodo dei vescovi sulla famiglia, Mons. Paul-André Durocher – vescovo di Gatineau (Québec), già presidente della Conferenza Episcopale Canadese – aveva chiesto per le donne l’accesso al diaconato che, secondo la tradizione, è diretto non “ad sacerdotium, sed ad ministerium”. Negli anni ‘90, il Card. Carlo Maria Martini aveva accennato alla possibilità del diaconato femminile ed era emerso che rimanevano da studiare ulteriormente la natura e la prassi del diaconato femminile nella Chiesa primitiva. In un articolo della Civiltà Cattolica del 1999, si analizzavano le principali linee del dibattito sulla questione, incentrato sulla distinzione tra un diaconato femminile inteso come servizio (appunto “diaconia”) e il diaconato come primo gradino dell’ordine sacro, com’è quello maschile, dal quale le donne sono escluse nella Chiesa cattolica. Qualche settimana fa, qualche polemica era sorta sulle parole di Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, che sosteneva che anche le donne potessero tenere l’omelia.

Ma cosa pensano le donne, in particolare quelle cattoliche, di queste cose che le riguardano? Del loro ruolo, del loro contributo nella Chiesa? Ci sembra di osservare come queste donne impegnate in prima fila nella Chiesa non parlino molto di questo, mentre le loro opere parlano per loro. E il loro contributo nelle parrocchie, nelle istituzioni educative, nelle opere di carità, negli ospedali e nei centri di assistenza sociale, e nelle attività missionarie è semplicemente straordinario. Le donne hanno già un ruolo nella Chiesa: affiancano i sacerdoti nella gestione di molte attività nelle parrocchie, sono in prima linea nelle missioni, guidano interi ordini religiosi anche “internazionali”, insegnano Bibbia e Teologia….Dovrebbero eventualmente essere proprio queste donne a esporre il proprio punto di vista sul proprio ruolo nella Chiesa. Evitando argomentazioni deboli e ammantate di un femminismo vecchio stampo, che non aiutano a rappresentarle e non fanno neanche bene a una riproposizione di una totale valorizzazione del ruolo della donna nella Chiesa, che – riconosciamo – è assolutamente necessaria, a beneficio di tutto il Popolo di Dio, anche del papa e dei vescovi.

Mensa di Betania (particolare), Marco Rupnik, Centro Aletti

Ma riflettiamo per gradi. La Bibbia inizia raccontando che l’uomo e la donna sono creati insieme, in armonia e con la stessa dignità. Purtroppo, anche alcune interpretazioni fuorvianti sul peccato originale, ancora non del tutto superate, hanno contribuito a formare una immagine “negativa” della donna, contribuendo a relegarla a un ruolo subalterno rispetto all’uomo, con pochi spazi nella società.

 Nei Vangeli Gesù compie una vera e propria rivoluzione: difende una donna adultera dalla lapidazione; si ferma a parlare con una samaritana – i samaritani erano un po’ considerati come una sorta di “eretici”; ha al suo seguito e tra i suoi amici più cari molte donne…Per non parlare poi del ruolo di Maria, la Madre di Dio, e del fatto che il Risorto appaia per primo a due donne, che diventano quindi le prime annunciatrici della Pasqua. Ma è già l’Apostolo Paolo che, pur nella sua visione egualitaria del mondo – “non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28) – a operare un ridimensionamento: “Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio….L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo…. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo”. Anche se poi riconosce: “Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna; come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio”. Certamente la rigida educazione farisaica e il venire a contatto con i popoli “pagani” che certamente agli occhi di Paolo avevano delle abitudini molto “libertine” ne hanno fortemente influenzato la posizione sulla donna, condizionandone poi il ruolo nella Chiesa. E’ interessante però un articolo della biblista Marinella Perroni, che rilegge la presunta misoginia di Paolo e spiega come l’Apostolo delle Genti apprezzò e utilizzò le donne per l’apostolato (http://www.stpauls.it/vita/0901vp/0901vp85.htm).

Nella millenaria storia della Chiesa che si sussegue, fino a oggi, sono state tante le donne che hanno saputo imporsi attraverso la santità, la testimonianza e il coraggio della loro vita.  Spesso con origini, vocazioni e percorsi molto diversi. Pensiamo a Matilde di Canossa, nobile, che aiutò il papa al tempo della lotta per le investiture; Monica, mistica madre di Agostino; Ildegarda di Bingen, monaca benedettina e prolifica scrittrice; Chiara di Assisi, tanto vicina a San Francesco; Teresa D’Avila e Caterina da Siena, prime donne proclamate dottore della Chiesa dal Beato Paolo VI  nel 1970; e tantissime altre, fino ad arrivare all’età moderna e contemporanea, come Teresa di Lisieux, Edith Stein, Simone Weil, Gianna Beretta Molla e Madre Teresa di Calcutta, che sarà canonizzata da Papa Francesco il prossimo settembre.

 Gli ultimi papi hanno mostrato di comprendere l’importanza del ruolo della donna nella Chiesa e hanno fatto passi significativi nel cammino verso una piena valorizzazione ecclesiale del “genio femminile”. Ma in questa, come su altre questioni, la Chiesa impiega del tempo. Il problema risiede oggi in una parte della Chiesa istituzione che si è sclerotizzata in un apparato rigido e tradizionalista, spesso vissuto come luogo di potere, che non si pone proprio il problema di come coinvolgere al meglio le donne per il bene della Chiesa. O peggio ancora, che soffre di “misoginia”, come d’altronde anche una parte delle nostre società.

 Ma è anche vero che tante situazioni forse ci appaiono diversamente da come sono perché non guardiamo “oltre” e non analizziamo la questione con maggiore ampiezza e complessità di vedute.

 In tante chiese in Europa dove è maggiore il calo delle vocazioni e più in generale la crisi della fede, le donne rivestono ancora di più ruoli di responsabilità. Per esempio, aiutano i sacerdoti – che amministrano diverse parrocchie sparse nel territorio appunto per mancanza di preti – ad aprire e “gestire” le chiese, guidare la preghiera, perfino distribuire l’eucarestia. Questo avviene anche nei Paesi extra-europei, per ragioni un po’ diverse –  i grandi numeri e gli immensi, spesso mal collegati territori. Le chierichette che in Italia e in particolare a Roma non si vedevano fino a qualche anno fa, soprattutto quando il Papa celebrava in parrocchia, erano prassi normale da tempo in altri Paesi, soprattutto nel Nord Europa. Vi sono tante donne, anche laiche, impegnate nei vari organismi della Chiesa locale e che coadiuvano i vari ordini religiosi attraverso associazioni di fedeli in varie parti del mondo…

Certo, è comprensibile porsi alcune domande. Perché ad esempio le superiori dei grandi ordini religiosi non possono partecipare al Conclave ed eleggere il Papa, o quantomeno alle riunioni del preconclave? Perché alcune donne qualificate non possono ad esempio far parte della commissione che consiglia il Pontefice sulla riforma della Curia, senza per questo dover diventare cardinali? Proposta, questa delle “donne cardinali”, che Papa Francesco non sembra aver tenuto in considerazione, avendovi notato una sorta di clericalismo: “le donne vanno valorizzate, non clericalizzate”, aveva commentato in proposito.

La nostra risposta a queste questioni e interrogativi è che bisogna guardare oltre, appunto, e tornare alla Chiesa della Pentecoste e del Concilio. La Chiesa degli inizi, descritta negli Atti degli Apostoli, ci mostra che bisogna lasciarsi guidare dallo Spirito Santo. La presenza dello Spirito è vita per ognuno noi. Una parte della Chiesa pensa se stessa in termini ristretti, di categorie, di passato, senza lasciarsi illuminare dallo Spirito, che vivifica. Il presente e il futuro attendono risposte creative, che mettano al servizio della Chiesa e del mondo l’uomo e la donna, immagini diverse e complementari di Dio. Se parliamo secondo lo Spirito dobbiamo parlare in modo tale che la nostra parola sia maschile e femminile insieme. Abbiamo bisogno di una Chiesa nella quale la sensibilità e l’intelligenza della donna siano messe in pienezza al servizio anche in alcuni processi consultivi, decisionali e di governo. Ma non bisogna cadere nel clericalismo, nel carrierismo o – come ha ancora ammonito il Papa recentemente – nel femminismo nella Chiesa. E’ necessario invece attuare il Concilio e affrontare questa questione all’interno di quella più ampia della partecipazione dei laici alla vita della Chiesa. A partire dal problema della formazione teologica e biblica che, almeno in Italia, rimane ancora principalmente indirizzata ai sacerdoti e ai religiosi in quanto a curricula e organizzazione, che non sempre facilitano la partecipazione dei laici. E ripensando gli ambiti di servizio, degli stessi sacerdoti e religiosi nella Chiesa. Devono guidare tutti i dicasteri ecclesiali? E non si potrebbe lasciare ancora più spazio ai docenti laici nelle università pontificie? Non sarebbe appropriato che per esempio alcuni uffici siano affidati ai laici, che siano più laici ad insegnare, per lasciare ai sacerdoti (tra l’altro in calo per la crisi delle vocazioni) la pastorale con la gente e l’amministrazione dei sacramenti? E’ vero anche che chi guida i dicasteri e gli uffici della Chiesa è affiancato da diversi laici, inclusi esperti come consultori, e molti consultori sono laici, comprese le donne. E così, sono in aumento le donne che insegnano materie “religiose”, anche bibliche e teologiche, e quelle a capo di dipartimenti e facoltà nelle università pontificie, e probabilmente non sono un’eccezione in molti Paesi d’Europa, forse anche fuori dall’Europa. Dall’altra parte, constatiamo che vanno anche letti in prospettiva certi atteggiamenti di natura più conservatrice da parte di alcuni ambienti ecclesiali, quando in diversi sistemi sociali e culturali, anche avanzati, la donna fa fatica a imporsi in alcuni ruoli “tradizionalmente maschili”. Inoltre, in alcune chiese particolari, per questioni culturali, la questione di una maggiore partecipazione delle donne nella Chiesa non è affatto sentita come priorità, a partire dalle donne stesse, e la questione del ruolo della donna, dell’eguaglianza di opportunità per uomini e donne, va ben oltre l’ambito ecclesiale.

Non cadiamo nella tentazione di pensare alla Chiesa come un’istituzione monolitica, spesso con parametri occidentali, e avulsa da un suo contesto storico-culturale specifico. Inoltre, non è l’equiparazione dei ruoli quella cui aspirare, ma la massima valorizzazione dei laici e delle donne, come quella di tutti, nella Chiesa. Ben consapevoli che l’“antropologia cristiana”, la visione dell’uomo e della donna da parte di Dio, non utilizza i nostri “comuni” parametri sociologici, psicologici, storici….

Forse quello sui cui ci sembra si potrebbe lavorare è una maggiore partecipazione della comunità ecclesiale “dal basso”. Per far sì che la Chiesa e il papa possano beneficiare del contributo di tutti quei laici, alcuni dei quali molto preparati per formazione teologica e molto impegnati nelle varie realtà ecclesiali, che sono in prima fila nella vita pastorale a vari livelli. Ma questo non vale solo per i laici (e per le donne), vale anche per i sacerdoti e i religiosi. Per questo pensiamo che sia necessario guardare oltre, con una prospettiva più ampia, piuttosto che ragionare in termini che rischiano di presentare il problema come delle rivendicazioni dal sapore mondano, che non si addicono all’esercizio dei ministeri nella Chiesa.

Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo” (At 2,1). Pochi giorni fa la Chiesa ha celebrato la Pentecoste.  Nel cenacolo che fu il luogo della lavanda dei piedi e dell’istituzione dell’Eucaristia erano tutti insieme. Certamente li univa la paura, ma erano tutti insieme. In quello stare insieme a Pentecoste  irrompe lo Spirito che fa nuove tutte le cose. La Chiesa deve sempre ripartire da questo stare insieme lasciandosi guidare dallo Spirito, perché solo in questo modo saprà rendere viva la presenza del Cristo Risorto. Non tradiamo ancora una volta il Risorto e non lasciamo cadere il soffio dello Spirito. Saranno i frutti e non le dichiarazioni d’intenti a rendere testimonianza di quello che tutti – uomini e donne, laici, chierici e religiosi – avremo fatto per la Chiesa.


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La Chiesa e le donne

Don Francesco Pesce

« E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. […] Allora l’uomo disse: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta.” […] Alla donna disse: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà »(Genesi 1,27; 2,23; 3,16)

La Bibbia inizia raccontando  che l’ uomo e la  donna sono creati insieme, in armonia e con  la stessa dignità. Purtroppo le nefaste interpretazioni del mistero del peccato originale, ancora non del tutto superate, hanno contribuito a relegare la donna ad un ruolo subalterno e strumentale rispetto all’uomo. Così l’Antico Testamento ha accompagnato senza modificarla una società patriarcale e maschilista, dove la Legge restringeva considerevolmente le libertà della donna considerata solo legata alla maternità e alla procreazione, come d’altronde in molte altre società.

Nei vangeli Gesù compie nei principi e nei fatti una vera e propria rivoluzione: difende una prostituta dalla lapidazione; si ferma a parlare con una samaritana – i samaritani erano un po considerati come una sorta di “eretici”; si fa toccare da un ammalata, l’emorroissa e la guarisce per la sua fede… Infine, Gesù risorto appare  per primo a due donne, che diventano le prime annunciatrici della Pasqua. Già l’Apostolo Paolo pur nella sua visione egualitaria del mondo: “non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal3,28), opera un ridimensionamento della rivoluzione di Gesù.: “Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli.  Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna;  come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio. Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna faccia preghiera a Dio col capo scoperto?  Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli,  mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La chioma le è stata data a guisa di velo. Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine e neanche le Chiese di Dio” (1 Cor 11,3-16).

Nella storia della Chiesa che via via si è sviluppata alcune donne cariche come le altre di questi e altri pregiudizi, hanno però saputo però imporsi attraverso la santità, la testimonianza e il coraggio della loro vita.  Pensiamo a Matilde di Canossa al tempo della lotta per le investiture; Monica, mistica madre di Agostino; Ildegarda di Bingen, polivalente donna di arte, cultura e fede; Chiara di Assisi, tanto vicina a Francesco; Teresa D’Avila e Caterina da Siena, prime donne dopo duemila anni di cristianesimo proclamate da Paolo VI  nel 1970 dottore della Chiesa; e tantissime altre, fino ad arrivare ai tempi moderni e contemporanei con Teresa di Lisieux, Edith Stein, Simone Weil, Madre Teresa di Calcutta, Gianna Beretta Molla.

Gli ultimi papi hanno preso pienamente coscienza dei ritardi storici  a riguardo della dignità e del ruolo donne nella Chiesa. Il problema risiede oggi nella Chiesa istituzione che si è sclerotizzata in qualche sua parte, in un apparato rigido e tradizionalista, che ha bisogno di urgente, necessaria e non  più rinviabile apertura verso la donna, per metterne a disposizione al meglio gli specifici carismi, il “genio”, parafrasando Giovanni Paolo II. 

Tutto questo si può fare tornando alla Chiesa della Pentecoste e del Concilio. La Chiesa degli inizi, descritta negli Atti degli Apostoli, ci chiede di lasciarci guidare dallo Spirito Santo. La sua presenza è vita per ognuno. Il Concilio Vaticano II  non ha paura di dirci che questa presenza è universale, diffusa quanto è diffusa l’umanità: “Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale” (GS 22).

La Chiesa a volte misogena (come parte della società) ha pensato lo Spirito in termini ristretti, di categorie, di passato, mentre il presente e il futuro  attendono risposte creative; queste risposte devono nobilitare e valorizzare le donne nella Chiesa, a beneficio di tutto il Popolo di Dio, e anche del papa, dei vescovi e dei preti. Se noi parliamo secondo lo Spirito dobbiamo parlare in modo tale che la nostra parola sia maschile e femminile insieme. Abbiamo bisogno di questo riposizionamento perché l’alternativa è il ritorno del passato più oscuro e una Chiesa quasi fuori dalla realtà perché una meta’ ne è quasi esclusa.

 “Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo” (At 2,1)  Nel  cenacolo che fu il luogo della lavanda dei piedi, della Eucaristia erano tutti insieme; certamente li univa la paura, il  lutto per la scomparsa del Maestro, ma erano tutti insieme,uomini e donne. In quello stare insieme a Pentecoste  irrompe lo Spirito che fa nuove tutte le cose. La Chiesa deve sempre ripartire da questo stare insieme, domenica dopo domenica, perchè solo in questo modo la presenza del Cristo Risorto sarà riconosciuta. Non  tradiamo ancora una volta il Risorto e  la missione del Suo Spirito. Saranno proprio i suoi frutti e non le dichiarazioni di intenti a darcene testimonianza.

 


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Sull’amicizia tra un sacerdote e una donna

Una bella amicizia durata oltre trent’ anni, di Papa Wojtyla con una donna – Anna Teresa Tymieniecka, filosofa americana di origini polacche – ci può aiutare a riflettere proprio sul valore dell’amicizia tra un prete e una donna. Wojtyla, come sappiamo, ebbe anche un’intensa amicizia con un’altra donna,  la psichiatra polacca Wanda Poltawska, sin dalla giovinezza, amicizia durata cinquant’anni.
Nella Bibbia e’ noto che ci si riferisca all’amore con il termine agape, che implica il dono gratuito di se stessi. Tuttavia l’amore cristiano include anche l’amicizia (philia) e la passione (eros), comprendendo quindi in se’ una vasta gamma di “accezioni”, quasi a indicare la completezza, forse anche la complessità, dell’agape e tutto il mistero del Dio amore. L’amicizia quindi e’ una forma di condivisione molto intima e molto profonda e non vi sono distinzioni tra i “generi” su come vivere una relazione d’amicizia. 
Nella Bibbia poi si parla molto dell’amicizia e sono anche numerosissimi i racconti di amicizia. Ammonisce per esempio il Libro del Siracide: “Il parlare dolce moltiplica gli amici e la lingua affabile trova accoglienza. Prima di farti un amico, mettilo alla prova, non confidarti subito con lui. L’amico fedele è solido rifugio, chi lo trova, trova un tesoro. C’è chi è amico quando gli è comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura. C’è anche l’amico che si cambia in nemico e scoprirà a tuo disonore i vostri litigi. C’è l’amico compagno a tavola, ma non resiste nel giorno della tua sventura. Per un amico fedele non c’è prezzo, non c’è peso per il suo valore” (Sir 6,5-15). È ancora: “Anche se hai usato la spada contro un amico, non disperare: potete tornare ancora amici. Se hai criticato un amico a tu per tu, non temere perché potete riconciliarvi; invece se l’hai insultato con arroganza, se hai tradito le sue confidenze o l’hai attaccato a tradimento, qualsiasi amico se ne andrà” (Sir. 22,21-22). Tra le più belle storie bibliche di amicizia vi è quella tra Rut e Noemi. Dice la protagonista del Libro biblico dalla quale prende il nome all’amica: “Perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te” (Rt 1,16-18).  Si può addirittura essere amici di Dio, come ci ricorda l’apostolo Giacomo a proposito di Abramo: “Si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio”(Gc 2,23). Gesù stesso proclamerà l’amicizia di Dio con l’uomo: “Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamati amici”. (Gv15,14-15)
Non esiste nessun ostacolo o tantomeno proibizione a una amicizia tra un sacerdote e una donna. Come abbiamo visto, la Bibbia ha un concetto molto alto dell’amicizia e ne esalta il valore. Gesu’ poi aveva molte amiche. Spesso barriere all’amicizia tra un sacerdote e una donna possono essere di natura sociale, esterna, non “vocazionale”. Il sacerdote ha fatto dono dell’espressione del suo eros (non del suo eros in se’ ma del suo esercizio nel matrimonio) per potersi donare a tutti, mentre la donna amica esprime la sua vocazione a seconda del suo stato di vita nella famiglia, nella società, nella scelta religiosa. Vi è spazio in entrambi i casi per una relazione di amicizia, quindi.

Una parte dell’istituzione Chiesa e’ storicamente “misogina” ed è quella che non vede di buon occhio (oltre a non saper vivere e riconoscere come preziosa) l’amicizia con una donna. Notava anche Papa Francesco recentemente: “Poi, io dirò che un uomo che non sa avere un buon rapporto di amicizia con una donna – non parlo dei misogini: questi sono malati – è un uomo a cui manca qualcosa” (sul volo di ritorno verso Roma dal Messico).  Si tratta spesso di figure sacerdotali che vivono al loro interno una affettività non equilibrata e non di rado repressa, spesso estrinsecata da un rapporto ambiguo con il denaro e il potere, nascosta dietro il tradizionalismo e l’ossessione per la “liturgia” stravolta in spettacolo e puro formalismo. Vi sono poi problematiche collegate alla cosiddetta lobby gay dei sacerdoti, che all’interno di una certa parte della Chiesa ha vissuto per anni in maniera corrotta e mondana, contribuendo a una sorta di “emarginazione” se non anche di “demonizzazione” della donna nella Chiesa. Vi sono poi alcuni preti che sono gelosi dell’amicizia tra un sacerdote e una donna. In quanto più rara, tale amicizia si estrinseca spesso in un legame molto speciale e molto forte. Pensiamo agli esempi di grandi santi, come Chiara e Francesco. Proprio perché così speciali, certe amicizie suscitano gelosie e invidie tra i preti, soprattutto tra quelli che mai saranno capaci di relazionarsi con una donna, a causa di una vita spesa sin dall’adolescenza solo in mezzo ai maschi, barriere psicologiche, atteggiamenti difensivi, ecc. Alcune di queste figure di preti elencati fin qui sembrano ricordare il clero cui S.Antonio da Padova si riferiva nei suoi sermoni: “Prelati vestiti come femmine in cerca di marito”.

Vi sono poi residui (a dire il vero non tanto residui) di una mancata attuazione del Concilio circa il ruolo dei laici (quindi anche quello della donna) nella vita della Chiesa – soprattutto ai livelli istituzionali più alti – che portano ancora oggi alcuni fedeli e la gente in generale a guardare con sospetto e a volte anche malizia una relazione tra un sacerdote e una donna, secondo una logica di “divisione” dei sessi che vige ancora in certi ambienti ecclesiali. Il grande ruolo che le donne svolgono nella vita della Chiesa, tuttavia, nelle parrocchie, nelle istituzioni educative e di carità, a vari livelli le porta ormai da tempo a lavorare fianco a fianco ai sacerdoti e ai religiosi, instaurando proficui rapporti di collaborazione e spesso anche di amicizia, contribuendo a sradicare certe visioni e certi atteggiamenti chiusi e sospettosi.
La sana amicizia tra un sacerdote e la donna ha sofferto e soffre ancora oggi di alcuni condizionamenti esterni, non nuovi  e non ancora totalmente superati. Ma gli esempi dei santi del passato, del Signore nei Vangeli, e oggi di San Giovanni Paolo II e tanti santi sacerdoti che lavorano con le donne nelle strutture ecclesiali e per il bene della società invitano i sacerdoti e forse dovrebbero incoraggiarli a ricercare una bella e sana amicizia con le donne – le prime testimoni della Resurrezione, le nostre madri, coloro che con la preghiera, l’insegnamento e la carità mandano avanti le famiglie e soprattutto quella grande Famiglia che e’ la Chiesa, in seno alle quali nascono la maggior parte delle vocazioni sacerdotali.