Don Francesco Pesce e Monica Romano
Si sono susseguite in queste ultime settimane notizie sul tema del ruolo della donna nella Chiesa. Un argomento non molto trattato a dire la verità (almeno in Italia), a parte qualche uscita “a effetto”, a volte un po’ puerile, ripresa da qualche giornale ma che poi cade nel vuoto. Parlando all’Unione Internazionale delle Superiori Generali (UISG), in riunione in questi giorni a Roma, Papa Francesco ha risposto a una domanda di una religiosa dicendosi disposto a formare una commissione per studiare la questione del diaconato femminile. Tema trattato in un convegno svoltosi proprio nei giorni precedenti a Münster, in Germania, promosso dalla KatholischeFrauengemeinschaftDeutschlands (Comunità cattolica femminile della Germania – Kfd), dalla KatholischeDeutscheFrauenbund (Federazione cattolica femminile tedesca – Kdfb), e da altre organizzazioni laicali. Anche all’ultimo Sinodo dei vescovi sulla famiglia, Mons. Paul-André Durocher – vescovo di Gatineau (Québec), già presidente della Conferenza Episcopale Canadese – aveva chiesto per le donne l’accesso al diaconato che, secondo la tradizione, è diretto non “ad sacerdotium, sed ad ministerium”. Negli anni ‘90, il Card. Carlo Maria Martini aveva accennato alla possibilità del diaconato femminile ed era emerso che rimanevano da studiare ulteriormente la natura e la prassi del diaconato femminile nella Chiesa primitiva. In un articolo della Civiltà Cattolica del 1999, si analizzavano le principali linee del dibattito sulla questione, incentrato sulla distinzione tra un diaconato femminile inteso come servizio (appunto “diaconia”) e il diaconato come primo gradino dell’ordine sacro, com’è quello maschile, dal quale le donne sono escluse nella Chiesa cattolica. Qualche settimana fa, qualche polemica era sorta sulle parole di Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, che sosteneva che anche le donne potessero tenere l’omelia.
Ma cosa pensano le donne, in particolare quelle cattoliche, di queste cose che le riguardano? Del loro ruolo, del loro contributo nella Chiesa? Ci sembra di osservare come queste donne impegnate in prima fila nella Chiesa non parlino molto di questo, mentre le loro opere parlano per loro. E il loro contributo nelle parrocchie, nelle istituzioni educative, nelle opere di carità, negli ospedali e nei centri di assistenza sociale, e nelle attività missionarie è semplicemente straordinario. Le donne hanno già un ruolo nella Chiesa: affiancano i sacerdoti nella gestione di molte attività nelle parrocchie, sono in prima linea nelle missioni, guidano interi ordini religiosi anche “internazionali”, insegnano Bibbia e Teologia….Dovrebbero eventualmente essere proprio queste donne a esporre il proprio punto di vista sul proprio ruolo nella Chiesa. Evitando argomentazioni deboli e ammantate di un femminismo vecchio stampo, che non aiutano a rappresentarle e non fanno neanche bene a una riproposizione di una totale valorizzazione del ruolo della donna nella Chiesa, che – riconosciamo – è assolutamente necessaria, a beneficio di tutto il Popolo di Dio, anche del papa e dei vescovi.

Mensa di Betania (particolare), Marco Rupnik, Centro Aletti
Ma riflettiamo per gradi. La Bibbia inizia raccontando che l’uomo e la donna sono creati insieme, in armonia e con la stessa dignità. Purtroppo, anche alcune interpretazioni fuorvianti sul peccato originale, ancora non del tutto superate, hanno contribuito a formare una immagine “negativa” della donna, contribuendo a relegarla a un ruolo subalterno rispetto all’uomo, con pochi spazi nella società.
Nei Vangeli Gesù compie una vera e propria rivoluzione: difende una donna adultera dalla lapidazione; si ferma a parlare con una samaritana – i samaritani erano un po’ considerati come una sorta di “eretici”; ha al suo seguito e tra i suoi amici più cari molte donne…Per non parlare poi del ruolo di Maria, la Madre di Dio, e del fatto che il Risorto appaia per primo a due donne, che diventano quindi le prime annunciatrici della Pasqua. Ma è già l’Apostolo Paolo che, pur nella sua visione egualitaria del mondo – “non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28) – a operare un ridimensionamento: “Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio….L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo…. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo”. Anche se poi riconosce: “Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna; come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio”. Certamente la rigida educazione farisaica e il venire a contatto con i popoli “pagani” che certamente agli occhi di Paolo avevano delle abitudini molto “libertine” ne hanno fortemente influenzato la posizione sulla donna, condizionandone poi il ruolo nella Chiesa. E’ interessante però un articolo della biblista Marinella Perroni, che rilegge la presunta misoginia di Paolo e spiega come l’Apostolo delle Genti apprezzò e utilizzò le donne per l’apostolato (http://www.stpauls.it/vita/0901vp/0901vp85.htm).
Nella millenaria storia della Chiesa che si sussegue, fino a oggi, sono state tante le donne che hanno saputo imporsi attraverso la santità, la testimonianza e il coraggio della loro vita. Spesso con origini, vocazioni e percorsi molto diversi. Pensiamo a Matilde di Canossa, nobile, che aiutò il papa al tempo della lotta per le investiture; Monica, mistica madre di Agostino; Ildegarda di Bingen, monaca benedettina e prolifica scrittrice; Chiara di Assisi, tanto vicina a San Francesco; Teresa D’Avila e Caterina da Siena, prime donne proclamate dottore della Chiesa dal Beato Paolo VI nel 1970; e tantissime altre, fino ad arrivare all’età moderna e contemporanea, come Teresa di Lisieux, Edith Stein, Simone Weil, Gianna Beretta Molla e Madre Teresa di Calcutta, che sarà canonizzata da Papa Francesco il prossimo settembre.
Gli ultimi papi hanno mostrato di comprendere l’importanza del ruolo della donna nella Chiesa e hanno fatto passi significativi nel cammino verso una piena valorizzazione ecclesiale del “genio femminile”. Ma in questa, come su altre questioni, la Chiesa impiega del tempo. Il problema risiede oggi in una parte della Chiesa istituzione che si è sclerotizzata in un apparato rigido e tradizionalista, spesso vissuto come luogo di potere, che non si pone proprio il problema di come coinvolgere al meglio le donne per il bene della Chiesa. O peggio ancora, che soffre di “misoginia”, come d’altronde anche una parte delle nostre società.
Ma è anche vero che tante situazioni forse ci appaiono diversamente da come sono perché non guardiamo “oltre” e non analizziamo la questione con maggiore ampiezza e complessità di vedute.
In tante chiese in Europa dove è maggiore il calo delle vocazioni e più in generale la crisi della fede, le donne rivestono ancora di più ruoli di responsabilità. Per esempio, aiutano i sacerdoti – che amministrano diverse parrocchie sparse nel territorio appunto per mancanza di preti – ad aprire e “gestire” le chiese, guidare la preghiera, perfino distribuire l’eucarestia. Questo avviene anche nei Paesi extra-europei, per ragioni un po’ diverse – i grandi numeri e gli immensi, spesso mal collegati territori. Le chierichette che in Italia e in particolare a Roma non si vedevano fino a qualche anno fa, soprattutto quando il Papa celebrava in parrocchia, erano prassi normale da tempo in altri Paesi, soprattutto nel Nord Europa. Vi sono tante donne, anche laiche, impegnate nei vari organismi della Chiesa locale e che coadiuvano i vari ordini religiosi attraverso associazioni di fedeli in varie parti del mondo…
Certo, è comprensibile porsi alcune domande. Perché ad esempio le superiori dei grandi ordini religiosi non possono partecipare al Conclave ed eleggere il Papa, o quantomeno alle riunioni del preconclave? Perché alcune donne qualificate non possono ad esempio far parte della commissione che consiglia il Pontefice sulla riforma della Curia, senza per questo dover diventare cardinali? Proposta, questa delle “donne cardinali”, che Papa Francesco non sembra aver tenuto in considerazione, avendovi notato una sorta di clericalismo: “le donne vanno valorizzate, non clericalizzate”, aveva commentato in proposito.
La nostra risposta a queste questioni e interrogativi è che bisogna guardare oltre, appunto, e tornare alla Chiesa della Pentecoste e del Concilio. La Chiesa degli inizi, descritta negli Atti degli Apostoli, ci mostra che bisogna lasciarsi guidare dallo Spirito Santo. La presenza dello Spirito è vita per ognuno noi. Una parte della Chiesa pensa se stessa in termini ristretti, di categorie, di passato, senza lasciarsi illuminare dallo Spirito, che vivifica. Il presente e il futuro attendono risposte creative, che mettano al servizio della Chiesa e del mondo l’uomo e la donna, immagini diverse e complementari di Dio. Se parliamo secondo lo Spirito dobbiamo parlare in modo tale che la nostra parola sia maschile e femminile insieme. Abbiamo bisogno di una Chiesa nella quale la sensibilità e l’intelligenza della donna siano messe in pienezza al servizio anche in alcuni processi consultivi, decisionali e di governo. Ma non bisogna cadere nel clericalismo, nel carrierismo o – come ha ancora ammonito il Papa recentemente – nel femminismo nella Chiesa. E’ necessario invece attuare il Concilio e affrontare questa questione all’interno di quella più ampia della partecipazione dei laici alla vita della Chiesa. A partire dal problema della formazione teologica e biblica che, almeno in Italia, rimane ancora principalmente indirizzata ai sacerdoti e ai religiosi in quanto a curricula e organizzazione, che non sempre facilitano la partecipazione dei laici. E ripensando gli ambiti di servizio, degli stessi sacerdoti e religiosi nella Chiesa. Devono guidare tutti i dicasteri ecclesiali? E non si potrebbe lasciare ancora più spazio ai docenti laici nelle università pontificie? Non sarebbe appropriato che per esempio alcuni uffici siano affidati ai laici, che siano più laici ad insegnare, per lasciare ai sacerdoti (tra l’altro in calo per la crisi delle vocazioni) la pastorale con la gente e l’amministrazione dei sacramenti? E’ vero anche che chi guida i dicasteri e gli uffici della Chiesa è affiancato da diversi laici, inclusi esperti come consultori, e molti consultori sono laici, comprese le donne. E così, sono in aumento le donne che insegnano materie “religiose”, anche bibliche e teologiche, e quelle a capo di dipartimenti e facoltà nelle università pontificie, e probabilmente non sono un’eccezione in molti Paesi d’Europa, forse anche fuori dall’Europa. Dall’altra parte, constatiamo che vanno anche letti in prospettiva certi atteggiamenti di natura più conservatrice da parte di alcuni ambienti ecclesiali, quando in diversi sistemi sociali e culturali, anche avanzati, la donna fa fatica a imporsi in alcuni ruoli “tradizionalmente maschili”. Inoltre, in alcune chiese particolari, per questioni culturali, la questione di una maggiore partecipazione delle donne nella Chiesa non è affatto sentita come priorità, a partire dalle donne stesse, e la questione del ruolo della donna, dell’eguaglianza di opportunità per uomini e donne, va ben oltre l’ambito ecclesiale.
Non cadiamo nella tentazione di pensare alla Chiesa come un’istituzione monolitica, spesso con parametri occidentali, e avulsa da un suo contesto storico-culturale specifico. Inoltre, non è l’equiparazione dei ruoli quella cui aspirare, ma la massima valorizzazione dei laici e delle donne, come quella di tutti, nella Chiesa. Ben consapevoli che l’“antropologia cristiana”, la visione dell’uomo e della donna da parte di Dio, non utilizza i nostri “comuni” parametri sociologici, psicologici, storici….
Forse quello sui cui ci sembra si potrebbe lavorare è una maggiore partecipazione della comunità ecclesiale “dal basso”. Per far sì che la Chiesa e il papa possano beneficiare del contributo di tutti quei laici, alcuni dei quali molto preparati per formazione teologica e molto impegnati nelle varie realtà ecclesiali, che sono in prima fila nella vita pastorale a vari livelli. Ma questo non vale solo per i laici (e per le donne), vale anche per i sacerdoti e i religiosi. Per questo pensiamo che sia necessario guardare oltre, con una prospettiva più ampia, piuttosto che ragionare in termini che rischiano di presentare il problema come delle rivendicazioni dal sapore mondano, che non si addicono all’esercizio dei ministeri nella Chiesa.
“Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo” (At 2,1). Pochi giorni fa la Chiesa ha celebrato la Pentecoste. Nel cenacolo che fu il luogo della lavanda dei piedi e dell’istituzione dell’Eucaristia erano tutti insieme. Certamente li univa la paura, ma erano tutti insieme. In quello stare insieme a Pentecoste irrompe lo Spirito che fa nuove tutte le cose. La Chiesa deve sempre ripartire da questo stare insieme lasciandosi guidare dallo Spirito, perché solo in questo modo saprà rendere viva la presenza del Cristo Risorto. Non tradiamo ancora una volta il Risorto e non lasciamo cadere il soffio dello Spirito. Saranno i frutti e non le dichiarazioni d’intenti a rendere testimonianza di quello che tutti – uomini e donne, laici, chierici e religiosi – avremo fatto per la Chiesa.
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