ConAltriOcchi blog – 以不同的眼光看世界-博客

"C'è un solo modo di vedere le cose finché qualcuno non ci mostra come guardare con altri occhi" – "There is only one way to see things, until someone shows us how to look at them with different eyes" (Picasso) – "人观察事物的方式只有一种,除非有人让我们学会怎样以不同的眼光看世界" (毕加索)


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Le opere di giustizia trasmettono la fede

Il profeta Isaia descrive il ritorno dall’esilio da Babilonia, dopo che nel 538 a. C., Ciro re di Babilonia, permise agli Ebrei di ritornare in patria e ricostruire Gerusalemme e il Tempio. Fina da subito, i reduci più forti e più scaltri si impossessavano di terreni e ricchezze a scapito dei più deboli. La competizione economica tra i pochi ricchi ha generato una stuolo di nuovi poveri che pagavano così le conseguenze della ricostruzione e, come si direbbe oggi, della crescita economica. Sembra in parte la situazione di oggi nel mondo.

La globalizzazione non può essere usata per nascondere colpe e reati  individuali, compiute da pochi ricchi a danno del bene comune.I poveri danno la misura di una civiltà cristiana e di una civiltà democratica e del Diritto.

I profeti da sempre denunciano la contraddizione tra professione di fede e ingiustizia: «fino a che non sarà abolita l’oppressione in mezzo a te, o popolo di Israele, non ci sarà la luce su di te. Tu sarai tenebra in mezzo al mondo». Il Vangelo ricorda che:”se non splende la vostra luce dinanzi agli uomini, la gloria di Dio è spenta agli occhi degli uomini”. E’ impossibile trasmettere la fede, far conoscere il Dio di Gesù Cristo, se rimangono un vuoto ritualismoe le ingiustizie.

A volte con i nostri comportamenti siamo tenebra e non luce.Così è accaduto nella storia che l’umanità ha cercato la giustizia, prescindendo dai cristiani, ha cercato la libertà senza chiederci niente.Come possiamo essere ancora luce dentro la storia e sale che le dà sapore?

Dobbiamo, ancora oggi, vigilare sulle tentazioni denunciate dai profeti e dal Vangelo, in particolare una chiusura spiritualistica nella vita liturgica, disincarnata dal contesto storico e anche dal messaggio della Parola di Dio, riassunta nelle Beatitudini.

La liturgia, la preghiera che commuove il cuore di Dio è quella che viene dalle opere di giustizia.Se noi non spezziamo il pane all’affamato, la preghiera diventa un soliloquio sterile e una terribile illusione.

Preghiamo il Figlio dell’uomo perché ci aiuti ad aprirci ad una solidarietà che arrivi fino al dolore fisico dell’uomo,di ogni uomo per cui salvarsi vuol dire anche avere un pezzo di pane a mezzogiorno o essere liberato dalla guerra che ti sta uccidendo.

L’Eucarestia che celebriamo ha senso se non è distaccata dal gesto della lavanda dei piedi,la presenza eucaristica, coincide con una presenza di carità; portiamo nel mondo quella carità di Cristo che è il lievito di questo pane.


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Il vangelo che si attendono i poveri

Quel sabato nella Sinagoga Gesù prese il il rotolo del profeta Isaia e – come dice il testo greco  trovò quel passo dopo averlo cercato. Il verbo greco infatti è eurisko – da cui viene la ben nota esclamazione eureka! Gesù cioè sceglie un passo che probabilmente non era previsto si leggesse e che invece Lui cerca e trova apposta per leggerlo in quel momento.

Si tratta del capitolo 61 del profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”.

Qual è questo “vangelo” di cui ci parla Isaia a cui fa eco Gesù? Il “vangelo” che si attendono i poveri – i primi a cui ancora una volta questo lieto annuncio è rivolto – è la fine della povertà. I prigionieri attendono la libertà, i ciechi si aspettano di poter vedere, e gli oppressi di essere sollevati dai loro pesi.

Nel mondo siamo testimoni, spesso piuttosto spettatori volenti o inermi, di tante forme di povertà (materiale, morale, spirituale), ingiustizie, prevaricazioni, disabilità, vulnerabilità…. Anche noi, nelle nostre vite, abbiamo le nostre povertà, siamo prigionieri di tante cose e siamo oppressi in qualche parte del nostro cuore. Ma, ci ha preannunciato Isaia e ci ha ricordato il Signore Gesù: “Coraggio, non temere, Egli viene a salvarti”(Is 35,4). E ancora ci dirà : “La verità vi farà liberi”(Gv 8,32). Quella salvezza, quella verità è proprio il Signore Gesù, che è il compimento della Scrittura, cioè il compimento del “lieto annuncio”.

E’ importante allora per tutti noi avere la coscienza, avere la certezza che c’è un punto, un “stella polare” dove guardare; che camminiamo su un sentiero già tracciato e – come ci ricorda Isaia – “spianato” dal Signore, nel deserto, che sono a volte le nostre vite, le nostre società. Dobbiamo tenere lo sguardo fisso su di Lui  e seguirlo, lasciandoci guidare dallo Spirito, certi che così non smarriremo la via. Molte volte noi cerchiamo ma non troviamo (la soluzione di quel tale problema, la risposta ad una certa domanda, il coraggio di fare una scelta…) proprio perchè prima che affidarci allo Spirito e distogliendo lo sguardo da Gesù, contiamo solo sulle nostre forze, pianifichiamo solo in base ai nostri calcoli, guardiamo solo alle nostre priorità. E non capiamo che dobbiamo “rovesciare” il nostro modo di pensare, vedere e fare le cose: perché prima di tutto siamo noi ad essere già stati trovati e soprattutto amati e “salvati”.

Scrive ancora l’evangelista Luca:” Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti, erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.

Noi dobbiamo certamente essere informati, preparati, leggere, pregare e meditare la Parola di Dio, ma subito dopo abbiamo il dovere di chiudere il “libro”, “arrotolarlo” come ha fatto Gesù, per metterci al servizio di quelli che aspettano la liberazione e che hanno gli occhi fissi su di noi e si attendono da noi una parola di conforto, una presa di posizione, un gesto di speranza, forse anche di rottura. Ricordiamoci sempre di cosa ha detto il Signore: “beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica”. Oggi sono milioni i bambini, le donne, i popoli interi che attendono e che ci guardano. E  ragionando  più “in piccolo”, ci sono tanti che si aspettano una risposta da noi nelle nostre vite – i nostri vicini, i colleghi, i familiari, i poveri che sono nelle strade delle nostre città. Da troppo tempo il nostro occidente, le nostre case, a volte anche le nostre chiese assomigliano alla comunità di Esdra descritta nella Bibbia, chiusa nella propria autosufficienza e dimentica dei bisogni dei poveri. In tanti attendono la liberazione e tengono gli occhi fissi su di noi.

Il nostro compito di cristiani è prima di tutto contribuire alla costruzione di una società liberata, noi prima di tutto siamo battezzati nello Spirito che libera gli oppressi e dobbiamo sentire forte l’urgenza di questo compito, di questa missione, la liberazione dei poveri, degli oppressi e degli emarginati.


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La stalla e la stella

I Magi videro la stella e la percepirono come un segno; avrebbero potuto adorarla come suggeriva la loro cultura e la loro formazione; invece capirono con l’aiuto della Grazia che era un segno e andarono a Gerusalemme per chiedere dove fosse nato il bambino. Gli fu risposto tramite la Parola di Dio:” a Betlemme di Giudea perché così è scritto”

La stella provoca una grandissima gioia ma rimane un segno; i magi vanno oltre il segno e trovano il bambino; vanno oltre il segno tramite la Parola di Dio; i segni non sono utili per il loro splendore, ma se interpretati alla luce della Parola di Dio.

Vanno a Betlemme a vedere. Vedere che cosa? C’è una grande differenza tra lo splendore della stella e il piccolo bambino, in una semplice e avvilente capanna. Ecco dove entra la fede; credere in Dio davanti alle cose piccole, un bambino in una capanna, il seme gettato, Il lievito nella pasta, un granellino di senape.

L’Altro aspetto fondamentale della Festa della Epifania è la manifestazione di Cristo a tutte le genti.  Il capitolo 60 del profeta Isaia è veramente una luce che illumina i nostri passi verso la contemplazione del bambino nelle nostre vite.

Gerusalemme risplende di una luce non sua, ma di una luce che è venuta su di lei; Isaia da un nome a questa luce, il Signore. Su Gerusalemme risplende non solo un luce, non solo la Gloria ma il Signore stesso.

“I Popoli cammineranno alla tua luce e i re allo splendore che emana da te” Questa luce che è il Signore è l’unica luce che brilla nel mondo, che attira, che segna il cammino, di tutti i popoli e di tutti i capi, i re.

Isaia si rende subito conto che neanche Gerusalemme è consapevole di questo; il mondo non capisce che il Signore regna.  Allora come fa spesso Isaia lo fa  riflettere  con queste stupende parole: Gira intorno gli occhi e guarda, tutti costoro si sono radunati e vengono a te; figli vengono da lontano e figlie ti saranno portate in seno.”

Il nostro mondo, oggi lo vediamo bene, è invaso dalle genti; sono figli e figlie, non stranieri; sono figli e figlie non immigrati; sono figli e figlie che Gerusalemme, il nostro mondo non sapeva di avere.

“A quella vista tu risplenderai, sarà commosso e si rallegrerà il tuo cuore; perché si riverserà su di te la moltitudine delle genti del mare, e le schiere dei popoli verranno a te.”

 Il profeta ci sta dicendo che la presenza del Signore si manifesta sempre di più nella conpresenza di tutti i popoli; San Paolo si inventa il termine concorporei che è molto efficace; tutti i popoli sono un solo corpo.

Si parla in Isaia di genti del mare; cioè neanche il mare può più arrestare  questo flusso di popoli. Il mare come sappiamo ha fatto numerose vittime nel pellegrinaggio dei migranti, ma neanche il mare, che nella bibbia è sinonimo di male, di avversità, può fermare la volontà di Dio di unire il mondo in  una sola famiglia.

Dicono ancora Isaia e i racconti sui Magi nei vangeli, che questi popoli non vengono a mani vuote ma portano doni, che non sono le singoli cose naturalmente, ma le lodi del Signore, portano una spiritualità una cultura una tradizione una umanità, altro che rubarci il lavoro.

Si parla spesso a proposito delle migrazioni, di Esodo biblico; e se invece fosse una Epifania ?


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Tempo di Natale: Giuseppe uomo giusto

Afferma il vangelo circa Giuseppe:«poiché era uomo giusto» (Mt 1,19) .

Prima di tutto Giuseppe era un uomo; con la sua fede, e con i suoi dubbi, con il suo amore e con il suo timore. Giuseppe non è giusto perché rispetta la legge ( che gli avrebbe consentito di ripudiare Maria) ma  è «giusto» perché supera la legge e si inoltra nei sentieri dell’amore. Giuseppe è “giusto” perché ama Maria e crede nel progetto di  Dio. Giuseppe realizza in sé ciò che dice il Salmo: «Beato l’uomo che teme il Signore, la sua giustizia rimane per sempre. Spunta nelle tenebre come luce per i giusti, buono, misericordioso e  giusto. Il giusto sarà sempre ricordato (cf Sal 112/111, 1.3-4.6).

Risultati immagini per Natale A santa maria ai Monti Roma

Noi abbiamo bisogno di questa giustizia, non la giustizia della legge, ma la giustizia come virtù, una delle quattro «virtù cardinali» insieme alla prudenza, la fortezza e la temperanza. Noi abbiamo anche bisogno di uomini e donne come Giuseppe ; persone di fede, di speranza e di carità. Queste tre parole non si possono dire separatamente, perché sono una sola parola. Se io separo la fede dalla speranza o la fede dalla carità,compio una divisione indebita. Abbiamo avuto nella storia,anche la nostra storia contemporanea, uomini di fede senza speranza che hanno combattuto ogni innovazione, ogni attesa dei poveri, in nome della loro fede. Abbiamo avuto  uomini di grande fede senza carità che hanno ammazzato gli uomini per la loro fede. Non separiamo ciò che Dio ha unito! Come ha fatto Giuseppe uomo giusto.


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Rimettere il lavoro al centro dei processi formativi

La 48a Settimana Sociale dei cattolici a Cagliari 

Don Francesco Pesce

Rimettere il lavoro al centro dei processi formativi, è la fondamentale proposta che la Chiesa italiana ha fatto al governo durante la 48° Settimana Sociale a Cagliari. Le altre sollecitazioni, Pir (Piani individuali di risparmio), appalti, Iva, formazione si muovono su questa linea. Il Primo ministro italiano nel suo intervento ha espresso sintonia con questa proposta e ha dichiarato:“Senza lavoro i valori fondamentali che sono alla base della nostra società fanno fatica a resistere […]per questo è fondamentale rimettere al centro il lavoro e vi ringrazio di averlo fatto”. Un clima di dialogo sereno e costruttivo, si è respirato nelle giornate cagliaritane. Già il tema scelto:” il lavoro che vogliamo: libero, creativo partecipativo e solidale” esprime il desiderio di comunità, e di bene comune al quale tutte le componenti del paese sono chiamate a dare il loro contributo. Gli aggettivi qualificativi riportati nel titolo sono scritti nell’Evangelii Gaudium, documento programmatico di papa Francesco che a Cagliari è stato messo al centro ed ha ispirato moltissimi interventi.

Più di mille delegati sono arrivati a Cagliari dalle diocesi italiane e subito hanno ascoltato il videomessaggio di papa Francesco: “Non tutti i lavori sono degni. Ci sono lavori che umiliano la dignità delle persone […] offendono la dignità del lavoratore anche il lavoro in nero, quello gestito dal caporalato, […] questo uccide”.

Il lavoro è una vocazione ed è allo stesso tempo uno strumento, nelle mani degli uomini; spesso è diventato uno strumento iniquo perché l’uomo se ne è servito per dominare gli altri uomini e sottoporre interi popoli al controllo di alcune èlite.

Grazie a Dio il progresso culturale dei popoli sta favorendo una sempre maggiore presa di coscienza, circa il bisogno di una più equa distribuzione delle ricchezze del pianeta. Alcune organizzazioni internazionali e alcune nazioni più sviluppate stanno lottando per nuovi equilibri sociali, ma la battaglia è ancora molto lunga e difficile. E’ stato anche detto a Cagliari di porre attenzione anche ai termini linguistici; si parla molto di lavoro e si dimenticano i lavoratori, che non sono un ingranaggio di un sistema, ma persone, volti, storie, padri e madri. Proprio per questo bisogna agire perché il lavoro possa tornare ad essere uno strumento di liberazione e di riconciliazione tra i popoli; questa è la concretezza del vangelo, che per sua natura è un fatto sociale.

Sappiamo bene che non sempre la Chiesa italiana è riuscita a servire fedelmente il mondo del lavoro, basti pensare che nella storia centenaria delle Settimane Sociali, solo tre volte si è affrontato questo tema; ricordiamo tutti le profetiche parole del papa Paolo VI nella omelia della Santa Messa della notte di Natale del cruciale anno 1968 nel centro siderurgico di Taranto : “a voi, Lavoratori, che cosa diremo? […] Vi parliamo col cuore. Vi diremo una cosa semplicissima, ma piena di significato. Ed è questa: Noi facciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi. […] noi tutti avvertiamo questo fatto evidente: il lavoro e la religione, nel nostro mondo moderno, sono due cose separate, staccate, tante volte anche opposte.[…] Questa separazione, questa reciproca incomprensione non ha ragione di essere”.

Credo che possiamo applicare anche al nostro approccio con il mondo del lavoro ciò che il papa scrive in Amoris Laetitia :«Gesù aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con lesistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente (AL 308).

 


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Un giorno che non si puó dimenticare

E’ una data impressa nella memoria di ciascun italiano quella del 9 Maggio 1978, quando il corpo di Aldo Moro fu ritrovato a Roma , nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, a poca distanza dalla sede del Partito Comunista Italiano e da Piazza del Gesù, sede della Democrazia Cristiana.

Il 9 maggio del 1978 un’altra tragica morte ha segnato il nostro Paese.  E’ stato ucciso Peppino Impastato, giornalista, che ebbe il coraggio di sfidare il boss Gaetano Badalamenti, con le sue trasmissioni di Radio Aut.

Ricordare oggi quel giorno non è solo dovere di memoria e riconoscenza, ma atto di vita cristiana. Dice una bella preghiera di Colletta: “O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna.” Esprimiamo la fede in Dio che è Padre e non si dimentica dei suoi figli, e per sempre ci ha donato il Figlio e lo Spirito.

Preghiamo per la vera libertà quando, oggi come ieri tanti nostri fratelli sono minacciati nella libertà e per quella hanno pagato un prezzo altissimo. La libertà è minacciata da nemici esterni, dalle mafie di ogni tipo, ma anche interni, come le nostre contraddizioni e i nostri egoismi. Preghiamo perché Gesù ispiri e rinnovi, la nostra vita, il nostro paese con il sogno di Dio, che era prima della durezza del cuore degli uomini.

L’uomo con il sostegno dello Spirito può farcela, può ritornare al Principio. L’uomo sa cosa sarebbe amare, sa che cosa sarebbe una società pacifica, e lo sa perché è tutto già scritto nel suo cuore e perché é creato a immagine e somiglianza di Dio.

Gli uomini della durezza del cuore continuano, oggi come ieri, a crocifiggere Gesù e tanti altri uomini, ma Dio li libera tutti. Noi oggi 9 maggio facciamo ancora una volta il nostro atto di fede, nel Dio di Gesù Cristo vincitore della durezza dei cuori.

Pilato e Caifa sono sempre grandi amici! La storia sembra in mano loro. Ma noi sappiamo, non è così.


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Il povero Lazzaro tende la sua mano

Riflessione sul messaggio per la quaresima di Papa Francesco 

E’ stato pubblicato ieri il Messaggio del Santo Padre Francesco per la  Quaresima, un tempo di particolare preghiera, che ci porterà dopo 40 giorni al Triduo Pasquale, cuore dell’anno liturgico. Nel Mercoledì delle Ceneri inizio della Quaresima, la Chiesa compie un gesto semplice che ricorda la fragilità della natura umana, l’essere creature. Il fatto di essere creati, però, nella visione cristiana non si riduce a una nota negativa, o minore dell’essere umano, della sua natura e delle sue potenzialità. Essere creature presuppone l’esistenza di un Dio creatore, che ci ha amato “sin dal grembo materno” e si prende cura di noi. Un Dio creatore si, ma prima ancora Padre. Recita infatti il Credo, il simbolo della fede cristiana: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra”.  La parola onnipotente  e’ accostata al “ruolo” di Dio come Padre. Dio e’ un padre che può fare tutto per i suoi figli, in virtù dell’amore che lo lega a lui.  In questa creatura umana desiderata, amata e custodita da Dio, abita poi lo Spirito, “che e’ Signore e da’ la vita”. Lo Spirito – l’amore che lega il Padre e il Figlio – sarà con noi come consolatore, rimanendo con noi tutti i giorni, “fino alla fine del mondo”. Un dono perenne. Nel messaggio di questo anno, papa Francesco ci invita proprio a custodire i doni, due in particolare.

 La Parola è un dono. L’altro è un dono, è il titolo del testo di Francesco che riflette sulla parabola biblica del ricco e del povero Lazzaro (cfrLc 16,19- 31).  “Lazzaro ci insegna che l’altro è un dono. La giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita.”(Messaggio Quaresima 2017)

Vivere l’Eucaristia è partecipare al presente di misericordia che si fa Pane e Vino, cioè alimenti di vita in vista di una pienezza di vita per tutti gli uomini di buona volontà. La Quaresima può essere un tempo favorevole per chiedere al Signore di  donarci  la volontà di rinnovare le nostre relazioni, per pronunciare  non le parole che vincono,ma quelle che toccano i cuori, e che guariscono i tanti Lazzari accovacciati alle nostre porte.

In questo modo emerge il vero problema del ricco: la radice dei suoi mali è il non prestare ascolto alla Parola di Dio; questo lo ha portato a non amare più Dio e quindi a disprezzare il prossimo. La Parola di Dio è una forza viva, capace di suscitare la conversione nel cuore degli uomini e di orientare nuovamente la persona a Dio. Chiudere il cuore al dono di Dio che parla ha come conseguenza il chiudere il cuore al dono del fratello.” Avere ben chiaro quello che dice la Parola di Dio circa il rapporto fra i ricchi e i Lazzari è fondamentale per evitare di vivere come gli «spensierati di Sion» di cui parla il profeta Amos, e crearsi   un sistema di giustificazioni tali che ci possono essere diecimila Lazzari davanti alla porta di casa, e “il ricco” nemmeno sa che ci sono. Il nostro  epulone anni duemila, costruisce una casa con la cancellata, fa elargizioni per i poveri, prevede un fondo per il Terzo Mondo, pur di non avere il fastidio dei Lazzari alla porta.

In tutte le chiese cattoliche del mondo si leggerà questo testo papale sulla Quaresima  ma domani Lazzaro sarà come oggi. Non cambia nulla. E questo perché la Parola e le parole evangeliche di papa Francesco  rischiano di essere imprigionate in un sistema  che le vuole rendere del tutto innocue, senza nessuna efficacia sul piano reale. Questo è l’abisso che qualcuno vuole creare. Anzi, tutti constatiamo che l’abisso tra i Lazzari e gli epuloni si allarga sempre di più. Gli epuloni hanno da secoli deciso che non si può consentire la promiscuità tra chi è dentro  e chi è fuori. Lazzaro deve stare fuori dal sistema,dalle nostre città, la bibbia  usa il termine Accampamento.  Lazzaro poi  non solo è escluso ma deve essere anche convinto che sia normale così, che sia giusto. L’esclusione lo tocca dentro, nella coscienza.

La nostra società però vuole ispirarsi ai grandi principi del cristianesimo e dell’illuminismo, ma si trova a compiere una impossibile quadratura del cerchio. Fa finta di voler inserire in sé stessa Lazzaro l’escluso, ma non ci riesce, perché dovrebbe contestare se stessa nei propri principi costitutivi. Il sistema  esclude coloro che lo minacciano nella sua integrità. Gli immigrati   sono i Lazzari del ventunesimo  secolo.

Dio però  predilige i Lazzari, anzi Dio in questo mondo è Lazzaro. Gesù è andato fra gli immondi per insegnare loro a smettere di dirsi immondi, a guardare l’accampamento e scoprire che l’accampamento è immondo. Questa è la rivoluzione, il capovolgimento. Le beatitudini sono fatte di Lazzari. Gesù è venuto a svegliare la coscienza degli esclusi perché smettano di considerarsi legittimamente esclusi, perché sappiano che il futuro è in mano loro.

“La parabola è impietosa nell’evidenziare le contraddizioni in cui si trova il ricco. […]In lui si intravede drammaticamente la corruzione del peccato, che si realizza in tre momenti successivi: l’amore per il denaro, la vanità e la superbia”(Messaggio Quaresima 2017).Molti hanno tentato di arruolare Gesù come guardiano dell’accampamento, e hanno fatto di tutto per inserirlo nei propri quadri, per farne un profeta accomodante, ma Gesù non ha accettato. Egli non è mai andato nel Pretorio e nel Sinedrio come ospite gradito, ha rappresentato la minaccia per le due strutture, quella del potere politico/religioso e quella del potere economico. Perciò è stato crocifisso come un immondo. «Come un delinquente voi lo avete appeso ad un legno» dice Pietro, nel primo discorso dopo la Pentecoste.  Il futuro del mondo è dei lazzari; domineranno la terra come dicono le beatitudini; i poveri stanno venendo verso di noi, non per distruggerci, ma  per  dirci parole di salvezza

Viviamo allora con speranza questo tempo, nella riflessione, nella meditazione e nella preghiera, ricordandoci di essere creature fragili ma soprattutto amate e custodite da Dio Padre. Questo ci potrà aiutare a vivere questo percorso non in una penitenza fine a se stessa, timorosa e sterile, ma come una riconciliazione con Dio Padre e una conversione  verso i Lazzari che incontriamo nel nostro cammino.

 Ritornare al Signore con tutto il cuore ci dirà il profeta Gioele. Questo  significa intraprendere il cammino di una conversione non superficiale e transitoria, bensì un itinerario spirituale che riguarda il luogo più intimo della nostra persona. Il cuore, infatti, è la sede dei nostri sentimenti, il centro in cui maturano le nostre scelte, i nostri atteggiamenti. Quel ‘ritornate a me con tutto il cuore non coinvolge solamente i singoli, ma si estende all’intera comunità, è una convocazione rivolta a tutti: «Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo»”.


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Riempire con una Parola di giustizia l’acqua del Battesimo

La Festa del Battesimo di Gesù che conclude il tempo di Natale ci aiuta a riflettere sul senso profondo del nostro battesimo. Noi oggi grazie allo Spirito Santo e a papa Francesco siamo in una bella crisi, una crisi che ci fa tanto bene. Stiamo passando da una appartenenza alla Chiesa di tipo sacrale, nella quale i sacramenti sono come i gradi dei militari, cioè segnano il livello di appartenenza (dal battesimo in poi), ad una visione messianica della Chiesa, costituita su Gesù servo dell’uomo. Proprio per questa crisi provvidenziale, si dovrebbero ripensare anche la forma, il linguaggio e i tempi di accesso ai sacramenti. Ad esempio si dovrebbe dare più spazio nella liturgia dei sacramenti, alla Parola di Dio. Se io getto un po’ di acqua in testa ad un bambino, mentre lo battezzo, compio un gesto semplice; ma se io dico nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo io ti battezzo, ecco la Parola di Dio che ti fa rinascere; bisogna proprio ridare la Parola all’acqua, la Parola all’olio, la Parola al pane. Il rischio altrimenti è quello di essere dei sacramentalizzati, schedati in un polveroso registro da sagrestia.

Essere battezzati vuol dire essere mandati; vuol dire chiesa in uscita. Essere battezzati vuol dire professare la fede in Gesù e dire pubblicamente io voglio vivere come Lui, facendo del bene e liberando l’uomo d ogni schiavitù. Fondamentali anche a questo proposito le parole di Pietro:” In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia a qualunque nazione  appartenga ”(At 10,34).

Prima di tutto dobbiamo renderci conto  che chiunque ama la giustizia è nel cuore di  Dio,  è già uno di noi in cammino verso la pienezza che è l’atto di fede. Le distinzioni tra vicini e lontani, credenti e non credenti, vengono dopo, sono importanti ma vengono tutte dopo, non solo dopo, ma devono rimanere interne a questa comune solidarietà umana; noi dobbiamo essere uomini fra gli uomini come Gesù che si è messo in fila tra gli uomini e non certo in prima fila. Così Il Signore dirà anche ad ognuno noi:” Tu sei il mio figlio predilettonon se avremo fatto riti sacri e processioni, ma se li avremo fatti mentre servivamo gli uomini.

Gesù vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere come una colomba. Il cielo si squarciò raccontano i vangeli. Un segno di speranza per il mondo, il cielo a­perto per sempre, e non chiuso minacciosamente in nessuna legge o dottrina. Chiediamo perdono al Signore per quando abbiamo chiuso il cielo in faccia a qualcuno imponendo pesi che noi non tocchiamo neanche con un dito come disse Gesù.

Da questo cielo aperto viene come colom­ba lo Spirito, cioè la vita stes­sa di Dio. Si posa su di te, ti vuole bene, ti tende la mano e non ti lascia più. Nessun ostacolo, nessuna difficoltà, nessuna forza umana e sovraumana può impedire a Dio di volerci bene per sempre.


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Un peccato che ci fa vergognare

Una lettera di Papa Francesco ai Vescovi di tutto il mondo pubblicata  il 28 dicembre nel  giorno in cui la Chiesa fa memoria  dei Santi Innocenti  è un’altra tappa fondamentale di questo straordinario pontificato. La lettera esorta i vescovi di tutto il mondo a mettere al centro della loro azione pastorale, l’attenzione ai bambini; porre la massima attenzione affinchè i bambini nel mondo siano, rispettati, difesi, e considerati come uno dei tesori più preziosi da difendere.

La liturgia dei Santi Innocenti, ricorda i bambini fatti uccidere da Erode, preso dal turbamento  della nascita del  Messia che avrebbe potuto insidiare  il suo regno. Erode in un certo senso “aveva ragione”; i bambini sono realmente un’insidia per i regni di questo mondo. La loro innocenza, la loro purezza, la bellezza della loro fragilità sono un continuo mettere in questione i disvalori del mondo degli adulti. Il papa ci chiede di costruire l mondo a partire dai valori dei bambini. Oggi tra la nostra gente, purtroppo – e lo scrivo con profondo dolore –, si continua ad ascoltare il lamento e il pianto di tante madri, di tante famiglie, per la morte dei loro figli, dei loro figli innocenti.”

Noi adulti siamo come l’albero descritto dal vangelo, su cui ha posto l’occhio il padrone che deve essere tagliato perché non porta frutti, ed invece, per un mistero di misericordia gli viene concesso ancora un pò di tempo.Noi siamo all’ultima possibilità. Dobbiamo fare uno scatto di dignità, riprende le misure del vivere, anche quelle della fede. Il grido degli oppressi deve essere il nostro grido; entrando fino in fondo nella situazione dei bambini, disperati, abusati, lasciati morire per la strada, possiamo capire qualche cosa del Dio bambino. Ricorda papa Francesco nella sua lettera ai vescovi :” Il Natale, nostro malgrado, viene accompagnato anche dal pianto. Gli evangelisti non si permisero di mascherare la realtà per renderla più credibile o appetibile. Non si permisero di realizzare un discorso “bello” ma irreale. Per loro il Natale non un era rifugio immaginario in cui nascondersi di fronte alle sfide e alle ingiustizie del loro tempo. Al contrario, ci annunciano la nascita del Figlio di Dio avvolta anch’ess in una tragedia di dolore. Citando il profeta Geremia, l’evangelista Matteo lo presenta con grande crudezza: «Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli» (2,18). È il gemito di dolore delle madri che piangono la morte dei loro figli innocenti di fronte alla tirannia e alla sfrenata brama di potere di Erode.”.

“Ma se non vi convertirete, perirete tutti”; cosi’ scrive il vangelo di Luca al capitolo 13. È tutto un mondo degli adulti  che si deve convertire. Non serve fare la conta dei buoni e dei cattivi, bisogna dire a voce alta  che è un certo mondo degli adulti  che non va, se la società  non si costruisce su altre fondamenta, e non sulla disonestà eretta a sistema, la sopraffazione del più forte, la prepotenza del più ricco, è una società destinata a morire; già sta morendo. Due giorni fa ad esempio, in Italia la Rai ha pensato di sostituire un programma dove si leggeva l’oroscopo per tutto l’anno 2017, per inserire un approfondimento giornalistico sull’attentato di Istambul. C’è stata una vera rivolta nei social media.; è questo tipo di società che non va; deve essere combattuta con determinazione. Mai come oggi capiamo che tutto nel mondo è una cosa sola : se ci sono nel 2016 come ricorda il papa, 150 milioni di bambini che hanno compiuto un lavoro minorile, molti di loro vivendo in condizioni di schiavitù, se ci sono  milioni di poveri senza dignità né istruzione, è  tutto il mondo che soffre e si disumanizza. Senza bambini rispettati e amati, non ci sarà futuro.

Papa Francesco non ha dimenticato l’orrore della pedofilia, compresa quella del clero:” Ascoltiamo il pianto e il lamento di questi bambini; ascoltiamo anche il pianto e il lamento della nostra madre Chiesa, che piange non solo davanti al dolore procurato nei suoi figli più piccoli, ma anche perché conosce il peccato di alcuni dei suoi membri: la sofferenza, la storia e il dolore dei minori che furono abusati sessualmente da sacerdoti. Peccato che ci fa vergognare. Persone che avevano la responsabilità della cura di questi bambini hanno distrutto la loro dignità.” Anche il Dio bambino è vittima di questo orrore.Sono chiare le parole del papa:Ci uniamo al dolore delle vittime e, al tempo stesso, piangiamo il peccato. Il peccato per quanto è successo, il peccato di omissione di assistenza, il peccato di nascondere e negare, il peccato di abuso di potere.”

”Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna”? ”(Lc 10,26 ) Gesù non risponde alla domanda posta dal maestro della legge ma racconta una storia. E’ la storia del buon samaritano, può essere la storia di ognuno di noi. Notiamo prima di tutto che la domanda è fondamentale; si tratta della nostra vita. E’ in gioco la nostra umanità, il senso ultimo del nostro esistere, la strada da percorrere per realizzare la nostra vocazione.

“Passò oltre dall’altra parte”(Lc 10,31). Grazie a Dio tanti invece si sono fermati ; la storia della Chiesa e del mondo è piena di Buoni samaritani che hanno soccorso l’uomo “mezzo morto” se lo sono caricati sulle spalle e lo hanno rialzato a nuova dignità.

Oggi  tutti lo sperimentiamo, siamo chiamati a fermarci davanti ai bambini con una carità quotidiana; nessuno può dire di non sapere o di non essere bene informato sulle ferite dei bambini. La strada infatti è una sola, non ci sono scorciatoie o corsie preferenziali e i bambini mezzi morti sono davanti a noi, intralciano i nostri passi, sono accovacciati alle nostre porte, sono un monito perenne alla coscienza di ciascuno. Che devo fare per ereditare la vita eterna? Che devo fare io ? oggi come posso mettermi a servizio dei bambini , di ogni bambino ? come mettere in gioco il talento delle mie competenze, della mia storia, della mia fede?

Bisogna curvarsi  verso i bambini  non  solamente con le tavole della legge in mano, sia essa civile che religiosa ma  con gesti di umanità pura, con una carità non finta, non diplomatica, non dettata dalla convenienza del momento o dalla appartenenza al proprio gruppo che prevede anche piccoli momenti di carità ,ma poi fa i suoi affari.

Con  qualsiasi segno politico sociale o  religioso, chi si abbassa  verso i bambini, per soccorrerli , questo uomo che si curva è già un buon samaritano, è un buon cittadino è un buon credente è già un modello di civiltà. E’ già nel cuore stesso di Dio.


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La non violenza come stile personale e comunitario per costruire la pace

Il messaggio di papa Francesco per la giornata della pace 2017, ha il  titolo:” La non violenza: stile di una politica per la pace”.Sono passati quasi 50 anni da quando Paolo VI con intuizione profetica istituì per il primo gennaio di ogni anno una giornata dedicata al grande tema della pace.

Quest’anno il papa ha fatto della “non violenza” vissuta concretamente “come strategia di costruzione della pace” il perno sul quale ruota tutto il messaggio. Vengono subito alla mente i grandi costruttori non violenti della pace, come Gandhi, Martin Luther King, Madre Teresa di Calcutta, Nelson Mandela e anche il grande impegno in questo campo così delicato, del partito Radicale italiano.

La prima violenza è quella dell’occhio; si lavora per la pace e la si costruisce, imparando giorno dopo a giorno a guardare il mondo con gli occhi dello Spirito, sapendo scrutare i segni dei tempi. Il fatalismo, il giudizio di condanna senza appello, sono solo modi per nascondere il disimpegno, per ripararsi fuori dal mondo reale. Il papa ci sfida invece a:” costruire la società, la comunità, con lo stile degli operatori di pace”.

Lo vediamo bene anche oggi: le ripercussioni della guerra cadono soprattutto sui poveri. Vediamo però anche la forza del messaggio evangelico, non sconfitta dalla storia e sempre capace di riecheggiare potentemente«beati i poveri, beati i miti…».I poveri si riappropriano della speranza, e allora la guerra rimane nuda e manifesta tutta la sua assurdità e inutilità, Noi siamo in questi tempi, tante guerre ma anche tante speranze non vinte e non annientate dai signori della guerra.

Noi inoltre siamo dentro alla inesorabile decadenza di una parte del mondo che ha fatto la storia e adesso usa le armi perché la storia non cambi. La storia però è già cambiata e oral’ombra della morte, non causata della guerra, ma per autodistruzione, copre molti cieli occidentali. Il futuro passa altrove e passa attraverso quei luoghi del mondo dove vivono gli esclusi, le vedove, gli orfani, i poveri; cioè le categorie evangeliche di quelli che non hanno mai contato nulla, agli occhi dei signori della guerra e dei loro complici silenziosi e opulenti. Nessuno di noi può permettersi di rimanere fuori da questa vera e propria rivoluzione dei poveri che cercano la pace.La rivoluzione, per essere efficace, deve sempre cominciare dalla sfera privata, e la distinzione tra privato e pubblico è in questo senso un inganno pensato a tavolino da una parte della cultura di cui siamo eredi. Scrive papa Francesco:” che siano la carità e la non violenza a guidarci nei rapporti interpersonali come in quelli sociali e internazionali”.

Noi dobbiamo cominciare a vivere il cambiamento modificando gli spazi privati delle nostre responsabilità. Solo l’uomo delle Beatitudini può costruire la pace e può inserirsi naturalmente nei grandi processi di pace della storia. L’uomo del potere, del privilegio, della lobby, risulterà sempre un corpo estraneo alla pace e diventerà quasi senza rendersi conto, alleato della guerra.

Quando voglio dare dei nomi alla non violenza, dico giustizia, rispetto delle diversità, pace, bene comune. Dico le Beatitudini, parole che danno nomi molteplici a questa verità unica di cui Gesù è stato il primo testimone. Gesù è testimone di non violenza, questa non violenza dai tanti nomi, che sono le beatitudini.

Quando uno ha una autorità, una azienda, un posto di comando, oppure quando un paese possiede delle risorse, non bisogna difenderle con la spada. Gesù dice a Pilato: se il mio regno fosse come il tuo, i miei avrebbero combattuto. Combattere con la spada è uccidere, è la violenza che crea solo sconfitti e nessun vincitore. Infatti la nostra storia è un fiume di sangue versato in nome del principio che senza una spada un regno non si regge. Per questo siamo sempre in guerra. «Metti via la spada» ha detto Gesù a Pietro, altrimenti la ragione sarà sempre del più forte, del più violento, del più crudele, del meglio armato.

Certo a volte c’è anche da aver paura quando i potenti fanno la pace. Non possiamo mai dimenticare e sottovalutare che Gesù fu crocifisso quando Pilato ed Erode, divennero amici, fecero la pace sopra il suo corpo martoriato. Non dobbiamo chiedere alla politica nessuna difesa della religione; quante volte si sente dire ma quel tale politico, quel partito, difendono i valori cattolici. Non dobbiamo chiedere alla politica nessuna difesa della religione perché si rischia di fare della casa del Signore un mercato e una spelonca di ladri; anzi non è un rischio, è quasi una certezza.

Dobbiamo chiedere invece con forza alla politica, ai regni di questo mondo cioè, la difesa della dignità e della libertà dell’uomo, di ogni uomo, in particolare oggi dei migranti e di tutte le minoranze.

Chiediamo allora ai leaders mondiali, di fare la pace, quella vera,che non si fa sulle spalle dei poveri. Preghiamo per una pace non sulle spalle della povera gente. Per esempio una pace che preveda il continuo innalzamento degli armamenti, e quindi affami mezzo mondo, non è pace. Preghiamo allora Gesù Cristo Re della Pace. Una regalità che con l’enorme sforzo di papa Francesco si sta liberando da tutti i mantelli e le corone di costantiniana memoria, e in questo modo come seme fecondo costruisce un mondo non violento dove:”non abbiamo bisogno di bombe e di armi,di distruggere per portare pace,ma solo di stare insieme, di amarci gli uni gli altri”( Madre Teresa di Calcutta discorso alla consegna del premio Nobel  per la Pace 1979).