Si è aperto stamattina il Sinodo sulla sinodalità con una Messa solenne in San Pietro presieduta da Papa Francesco, idealmente affidandolo al Santo di Assisi, nel giorno della sua festa liturgica. “Lasciamo che lo Spirito Santo sia il protagonista del Sinodo” – ha detto il Pontefice nell’omelia, invitandoci a essere “una Chiesa ospitale, non con le porte chiuse”, seguendo “lo sguardo accogliente di Gesù”.
Papa Francesco ha voluto fortemente questo sinodo, che continuerà in una seconda parte nel 2024. Potremmo dire che si tratta di un “sinodo nel sinodo”, perché riflette proprio sulla natura stessa della Chiesa, sul suo essere – potremmo dire costitutivamente – sinodale – cioè chiamata ad annunciare e a testimoniare il Vangelo, “camminando insieme” (questo il significato del termine sinodo). Camminare insieme al Popolo di Dio, ma anche al mondo, e a tutti gli uomini di buona volontà.
Il Papa stesso, rispondendo attraverso il Dicastero per la Dottrina della Fede a cinque “Dubia” sollevati da alcuni cardinali nei giorni scorsi, ha affermato che la sinodalità “come stile e dinamismo, è una dimensione essenziale della vita della Chiesa”. La Chiesa è “mistero di comunione missionaria”, che “implica necessariamente una partecipazione reale: non solo la gerarchia, ma tutto il Popolo di Dio in modi diversi e a diversi livelli può far sentire la sua propria voce e sentirsi parte del cammino della Chiesa”.
Crescere come Chiesa sinodale è la strada maestra che il Papa ha indicato. L’esperienza stessa ci suggerisce di non dare mai per scontato che la Chiesa sappia sempre camminare insieme come Popolo di Dio radunato dal Signore; ancora oggi troppi sono gli esclusi, e non pochi quelli che non hanno voce. Anche in questo caso, potremmo dire, si tratta di un “cammino nel cammino”, spesso in salita, ma d’altra parte Gesù stesso ci ha dato testimonianza di questo, camminando con fatica e determinazione sulla strada verso Gerusalemme. Camminare alla sequela di Gesù, camminare insieme, spesso significa anche camminare con la croce.
L’ Instrumentum laboris è il documento di riferimento per seguire i lavori del Sinodo. Diviso in due grandi aree, è il risultato di tutto il materiale raccolto nei cammini diocesani e continentali ed esprime quindi l’universalità della Chiesa. Una Chiesa – come spiega il documento – che intende affrontare in questa assise tematiche molto concrete come il dramma della guerra, i cambiamenti climatici, il ruolo di una economia che spesso uccide, il dramma degli abusi sessuali, il ruolo donne nella Chiesa – solo per citarne alcuni.
Anche per questo nell’Instrumentum Laboris sono presenti quindici schede di lavoro che vogliono aiutare a riflettere su una concezione meno statica del concetto stesso di sinodalità, secondo la visione che il Papa ha più volte condiviso: nella Chiesa siamo chiamati più che ad occupare spazi, a generare processi. Con questo, di nuovo, il Papa ci dice: i protagonisti non siamo noi, non siamo “servi” indispensabili, ma siamo strumenti di qualcosa di più grande.
La prima parte dell’Instrumentum Laboris mette in luce il cammino fatto dalla Chiesa nei due anni preparatori. La seconda parte – che si chiama Comunione, missione, partecipazione – mette in luce le tre questioni fondamentali, oggetto del sinodo: accogliere tutti, nessuno escluso; riconoscere e valorizzare il contributo di ogni battezzato in una Chiesa sempre più missionaria; e riflettere sul rapporto tra partecipazione e autorità in una Chiesa sinodale. A nessuno sfugge l’importanza e la delicatezza di tali questioni.
È importante anche notare come nel documento preparatorio si faccia molta attenzione all’uso di un linguaggio inclusivo, perché non solo quello che diciamo, ma anche come lo diciamo ha una grande importanza e può fare la differenza. La Chiesa è un Noi, che non deriva dalla sommatoria di tanti io, ma dall’armonia che crea lo Spirito, un poliedro – come ricorda spesso il Santo Padre – dalle molte facce in un unico corpo.
Tornando al tema del linguaggio, in questo sinodo – come più volte ha sottolineato Papa Francesco – sarà fondamentale ascoltare e imparare – nella Chiesa, a tutti i livelli – a farlo. Una Chiesa sinodale è una “Chiesa dell’ascolto”, che “desidera essere umile, e sa di dover chiedere perdono e di avere molto da imparare”.
Dall’ascolto nasce e rinasce una “Chiesa dell’incontro e del dialogo” con la realtà, nello spirito che già il Concilio Vaticano II aveva sottolineato, in particolare nella Gaudium et Spes e che San Paolo VI – il papa che ha creato il Sinodo – ha voluto codificare nella troppo spesso dimenticata enciclica Ecclesiam Suam, che Papa Francesco ha invece oggi citato.
Camminiamo anche noi, nella preghiera, nell’ascolto e nella riflessione, in questo importante evento ecclesiale che è il Sinodo, confidando nell’ispirazione dello Spirito Santo e affidandolo a San Francesco di Assisi, che ha saputo indicarci la via proprio a partire dalla sua fragilità personale e da quella della Chiesa. Una fragilità non subita ma offerta al Signor, che guida la sua Chiesa in ogni momento della sua storia.