ConAltriOcchi blog – 以不同的眼光看世界-博客

"C'è un solo modo di vedere le cose finché qualcuno non ci mostra come guardare con altri occhi" – "There is only one way to see things, until someone shows us how to look at them with different eyes" (Picasso) – "人观察事物的方式只有一种,除非有人让我们学会怎样以不同的眼光看世界" (毕加索)


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24 Ore per il Signore

Oggi pomeriggio nella Basilica  di San Pietro il Santo Padre ha dato il via alla iniziativa “24 ore per il Signore” organizzata dal Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione.Il papa si è confessato e ha amministrato il sacramento della riconciliazione ad alcuni fedeli,presiedendo  una liturgia penitenziale.

“L’amore di Dio è sempre più grande di quanto possiamo immaginare e si estende perfino oltre qualsiasi peccato la nostra coscienza possa rimproverarci”.Francesco esorta a non dimenticare che Dio non si allontana mai dall’uomo e lo cerca sempre con la Sua Misericordia .Come scriveva l’Apostolo Paolo: «Qualunque cosa esso possa rimproverarci, Dio è più grande del nostro cuore».

Nella mattinata il papa  aveva ricevuto i partecipanti al corso sul Foro Interno organizzato dalla Penitenzeria apostolica. Aveva ricordato che :” Il confessore è uomo dell’ascolto, non padrone delle coscienze”


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Perché proprio io ? Testimonianza di un Missionario della Misericordia nel Mali

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la testimonianza di un nostro caro amico, nominato da Papa Francesco Missionario della Misericordia ,- Don Toussaint Ouologuem, sacerdote del Mali. Siamo molto grati a Toussaint per questa sua bella testimonianza  e perché conoscendolo giá sappiamo che sará capace di annunciare a chi incontra l’amore e la misericordia infiniti del Padre.

Don Toussaint Ouologuem

Se avessero chiesto a me di scegliere un sacerdote nella mia diocesi per essere missionario della Misericordia, non mi sarei mai scelto. Non perché ho poca fiducia in me o pocas tima di me stesso ; ma perché è di Misericordia che si tratta, di Misericordia Divina.

Sommando assieme i miei peccati, le mie debolezze, le mie infermità spirituali, intellettuali e morali ; aggiungendo a questi la mia rigidità nelgiudizio, quella mia ricerca di giustizia ad ognicosto, quella mia difficoltà a dare una seconda chance alla gente, sopratutto a quelli che mi hanno, in qualche modo, offeso. E in fine per la mia giovane età e la mia poca esperienza nel sacerdozio (2anni e mezzo) ; mettendo insieme tutto quanto, io non mi sarei di certo scelto per essere missionario della Misericordia. Peccatore, troppo rigido, troppo giovane e con poca esperienza, mi sarei definito inadeguato per questa importantissima missione.

Ma eccomi qua; scelto dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, attraverso il collegio Urbano, approvato dal mio vescovo e costituito dal Papa Francesco come missionario della Misericordia. E io mi chiedo: perché proprio me?

A prescindere dalla scelta del collegio Urbano, a prescindere dall’approvazione del mio vescovo, il suo Nulla Osta, a prescindere dalle lettere e dalle mail scritte e scambiate con il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, a prescindere da ogni altra manovra umana, non posso non intravedere la Mano di Dio nel fatto di essere stato scelto. È la mia fede che me lo chiede, la mia spiritualità che me lo dice e la mia vocazione sacerdotale che me lo grida forte. Allora mi chiedo : perché proprio io ?

Questa è la domanda che non ho smesso di farmi e di chiedere a Dio da quando sono stato contattato per la prima volta, perché qualcuno, da qualche parte, ha proposto il mio nome. Con una gioia enorme, con un fascino, da un lato, un timore tremendo dall’altro, ho accettato ben volontieri questa missione.Ma da allora mi chiedo perchè proprio a me ?

Sono ormai sicuro che questa domanda, me la porrò, al di là di questo anno, fino alla fine dei miei giorni, cercando di capire meglio tutto il significato nascosto e voluto da Dio, un significato sia per me, che per gli altri.

Qualche giorno dopo la mia consacrazione come missionario della Misericordia, dopo una Adorazione Eucaristica in una delle Chiese di Torbe, una pia mano mi diede un libro, un libro intitolato : « Non possiamo tacere ciò che abbiamo visto ». Cominciai subito a leggerlo e là, una frase mi colpi, una frase che mi dava una delle risposte alla mia costante domanda. La frase diceva in fatti : « quando Dio tocca una vita, le consegna un dovere : essere pienament e felice in Lui per manifestarlo agli altri ».

Tra conferenze sulla Misericordia, e missioni sulla radio e in TV, tra omelie e celebrazioni penitenziali e certi incontri personali, cerco in tutto di fare la mia missione, quella di essere un sacerdote animatore della Misericordia divina e diffondere la mia felicità. Ma non è mai abbastanza. Ecco perché non mancò l’occasione di chiedere alla gente di pregare per me, così come Papa Francesco lo fà in molte situazioni, chiedendo alla gente di pregare per lui.

Molte storie di vocazione nella Sacra Scrittura ci fanno capire che Dio, il più delle volte, non sceglie qualcuno perché quella persona è già capace di compiere la sua missione, ma lo sceglie, proprio per renderlo capace, adeguato, per la missione. Il moi compito è quindi di stare vigilante per poter cogliere ogni Grazia che Dio mi darà per questa mia missione. Possa Di oaiutarmi in questo !

Questo è un anno di Grazia che ci è donato. E un anno in cui abbiamo il compito di meditare (personalmente) la Misericordia di Dio, di usufruire della sua Misericordia (col sacramento dellapenitenza) e di viverla (le 14 opere della Misericordia).

Verso la fine della sua Bolla, Misericordiae Voltus, Papa Francesco dice : Lasciamoci sorprendere da Dio durante questo giubileo ! Io aggiungo che bisogna anche lasciarci sorprendere da noi stessi : sorprendiamoci di quello che faremo di bello, di grande e di straordinario meditando, usufrendo e vivendo, condividendo la Misericordia di Dio. Dio ci benedica tutti !


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Una crisi benedetta

Pubblichiamo la postfazione del libro del Vaticanista di Rai 1 Aldo Maria Valli recentemente pubblicato, “C’era una volta la confessione”, edizioni Ancora, in cui è inclusa la postfazione di don Francesco, che riflette sul Sacramento della Confessione ai tempi di Papa Francesco. La postfazione è stata anche pubblicata sul numero del 10 marzo dell’Osservatore Romano, a p. 7.

Don Francesco Pesce

Appartengo a una generazione che è stata educata più ad aver paura di Dio che ad amare Dio; in seminario, poi, si è aggiunto un senso del dovere di fronte al quale è stato difficile rimanere libero e gioioso. Questa paura e questo distorto senso del dovere li vedo ancora oggi in tante persone che si accostano al sacramento della confessione. Paura di Dio, paura di se stessi, paura degli altri e del loro giudizio. La confessione come un obbligo, non come un incontro desiderato con il Padre che sempre perdona. Devo dire che sono anche rimasto sorpreso quando papa Francesco ha parlato, in vista del giubileo, dei «missionari della misericordia». Mi sono chiesto: ma il sacerdote non è un missionario della misericordia per definizione? Il prete non è forse l’uomo del perdono, direi, per natura sua? Poi mi sono ricordato di aver visto con i miei occhi, all’interno di qualche confessionale, il Codice di diritto canonico, lì pronto per l’uso, come in un tribunale, e mi sono anche tornati alla memoria i racconti di alcuni penitenti feriti dalla durezza di alcuni sacerdoti. E così ho capito l’idea di Francesco. Ecco, per la mia esperienza di confessore posso dire che, con l’avvento di papa Francesco, la paura è stata spazzata via e il senso del dovere è stato soppiantato dal desiderio di poter incontrare il Padre misericordioso. Non solo le confessioni sono aumentate in maniera esponenziale, ma ne è cresciuta con evidenza la qualità. Non poche persone vengono nel confessionale con il Vangelo in mano, avendo accolto il suggerimento del papa di leggerne almeno un brano tutti i giorni. E poi in base a quello che hanno letto si confessano. Tutto questo mi dà una grandissima gioia. È un vero miracolo compiuto da questo uomo, Francesco, mandato da Dio. Vedo che, grazie a Dio, non è aumentato il senso del peccato (per me c’è già troppa gente schiacciata e umiliata dal proprio peccato), ma è aumentato il senso della misericordia del Padre. Vedo, mi permetto di dire con chiarezza, che se uno si sente accolto, rispettato, incoraggiato, allora può capire meglio anche il proprio peccato e chiedere perdono. Anzi, di più: riesce a capire che il peccato, in un certo senso, è già stato perdonato, che tu sei nel confessionale per accogliere un perdono che già c’è, perché Dio, come ci dice con sublime sintesi Giovanni evangelista, è amore. Anche per questo ritengo che parlare di crisi del sacramento della confessione sia una contraddizione in termini; in crisi semmai è un certo modo di esercitare il ministero sacerdotale, vissuto più nelle sacrestie che nelle strade, un sacerdozio più con l’odore dell’incenso, e dei denari, che delle pecore. È quindi una crisi benedetta. Per la mia esperienza direi che maschi e femmine si accostano al confessionale con percentuali simili. Piuttosto vorrei segnalare due particolarità che mi colpiscono, anche se non mi sorprendono. La prima: sono i più vicini, i frequentanti da sempre, che fanno le confessioni più scontate e libresche e quasi quasi pretenderebbero una bella punizione invece del perdono. Questi sono anche coloro ai quali papa Francesco proprio non piace perché, dicono, è «comunista, pauperista, scontato», più le altre sciocchezze messe in giro dai crociati del ventunesimo secolo nonché dagli atei molto atei e poco devoti.

Vorrei fare un esempio: io sono sacerdote da sedici anni e faccio una fatica tremenda a spiegare ai catechisti (che sono sante persone) che insegnare ai bambini a dire: «Mio Dio mi pento e mi dolgo dei miei peccati perché peccando ho meritato i tuoi castighi» non è proprio il massimo: va quanto meno spiegato, e magari sostituito con altri atti di dolore biblici. E che dire di quelli che si devono confessare per forza in quel dato giorno altrimenti si interrompe la loro devozione e devono ricominciare da capo: devozione oppure ossessione?

La seconda particolarità che mi colpisce riguarda le confessioni di quelli che appartengono a certi movimenti ecclesiali, in particolare a uno molto diffuso. Sono tutte uguali, come prestampate, e del tutto prive del senso del ringraziamento per il bene che c’è. Al che io dico sempre: «Ma scusi tanto, qualcosa di bello le sarà pur successo dall’ultima confessione, o è tutto peccato?».

Concludo dicendo che è sconfortante vedere nelle chiese i cartelli con gli orari delle confessioni. Capisco l’esigenza della pianificazione e dell’organizzazione, ma la chiesa non è uno sportello delle Poste. Ho capito per mia esperienza (io faccio il parroco nel centro di Roma) che il sacerdote deve essere a disposizione in particolare all’ora di pranzo e la sera dopo la messa vespertina, perché in questo modo si va incontro alla gente che lavora. Certo, lo può fare se la chiesa resta aperta, anzi spalancata. Come il cuore di Dio, che si chiama «Padre nostro che sei nei cieli» e non «Giudice o Padrone nostro che sei nei confessionali.

 

 

 


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Un invito a lasciarsi riconciliare con Dio

Oggi  a Roma le spoglie di San Pio da Pietrelcina e San Leopoldo Mandic – entrambi cappuccini, instancabili confessori e testimoni della misericordia del Padre – sono esposte alla venerazione di romani e pellegrini. Non è un caso che Papa Francesco abbia proprio voluto questi santi nel Giubileo della Misericordia. Egli vuole portare all’attenzione di pastori e fedeli l’importanza della riconciliazione nella vita di fede, sia per i sacerdoti – incoraggiati tante volte dal Papa a usare misericordia – sia per i fedeli, cioè coloro che vi si accostano. È questo nonostante i soliti “profeti di sventura” abbiano sottolineato come questa enfasi sul perdono rischi di “declassare” il Sacramento della Confessione. Invece il Papa invita tutti a perdonare, a “lasciarsi riconciliare con Dio , rimettendo al centro lo strumento della Confessione e portandone due luminosi esempi amati dai fedeli di tutto il mondo.

San Leopoldo Mandic (1866-1942), montenegrino vissuto a Padova, fu proclamato santo da Giovanni Paolo II nel 1983. Sempre Wojtyla fece santo Padre Pio (1887-1968) nel 2002. Confessavano per parecchie ore al giorno senza interruzione.

Grande folla al passaggio delle spoglie di San Pio verso Roma; da San Giovanni Rotondo a San Marco in Lamis nel Foggiano, una folla festante e in preghiera rallentava il convoglio; lo stesso e’ accaduto a San Severo e nei paesi attraversati in Molise Abruzzo e Lazio. I bambini si affacciavano alle finestre delle scuole, i negozianti uscivano davanti alla vetrina e si facevano il segno della croce. Gioia, preghiera, devozione verso un santo amato e popolare, in Italia ma anche nel mondo.

Pregando davanti alle reliquie di San Pio  e di San Leopoldo, si possono percepire dolore e amore. Ma che segno è il dolore? Un segno addirittura di benevolenza di Dio, come dice qualcuno?  Un privilegio, come una certa ascetica aveva insegnato – chi soffre è una sorta di eletto da Dio. Forse una “prova” di Dio ? Un’orribile teologia questa.

Questo eterno problema del dolore rimane lì, come uno scandalo, da sempre. Accettare di non comprendere, attendere il tempo in cui capiremo, in cui “vedremo faccia a faccia”, e soprattutto portare la croce con amore, come ha fatto Gesu’… Non è una scorciatoia. È’ l’accettazione del nostro essere uomini, limitati.. Possiamo  solo dire “forse”,”aspetto”, “spero”, “ho fiducia”, “credo”….Fiducia che non siamo in balia del male e del dolore, perché il Dio di Gesù Cristo si è rivelato come amore, ha condiviso il nostro dolore e anche se non l’ha spiegato o “giustificato”, lo ha assunto indicandoci una via da seguire nella quale non ci ha abbandonato ma resta sempre accanto a noi. È’ molto bella la preghiera di Pietro: ”Signore da chi andremo? Solo tu hai parole di vita eterna”.

Oltre il dolore, i fedeli accorsi a venerare i due santi confessori hanno manifestato tanto amore. Gesti semplici e belli di devozione, donne anziane con la loro corona del Rosario, più’ forti del freddo e della notte; qualcuno ha voluto confessarsi dando toccanti testimonianze di fede. Veramente l’amore è più forte del dolore.

Spesso anche noi come la Samaritana al pozzo descritta nel Vangelo di Giovanni non conosciamo il dono di Dio, ma abbiamo sete, desiderio di questo dono – la felicità che viene dall’amore. Ma esso non è un salario da guadagnare – come pensano alcune persone religiose che attingono con fatica al pozzo della legge – è Dio stesso che si dona, è l’amore del Padre che tanto ama il mondo da mandare il suo figlio perché in Lui ognuno sia  figlio.

San Pio e San Leopoldo ci indicano la via verso Gesù. Questi santi hanno amato Dio e gli uomini allo stesso modo; hanno vissuto il mistero dell’incarnazione e testimoniando la fede con una concreta carità. Nessuno di noi dica: “Io non sono degno, non sono capace”, perché’ come ci ricorda San Paolo: “Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono” (1Cor 1,27-29).