ConAltriOcchi blog – 以不同的眼光看世界-博客

"C'è un solo modo di vedere le cose finché qualcuno non ci mostra come guardare con altri occhi" – "There is only one way to see things, until someone shows us how to look at them with different eyes" (Picasso) – "人观察事物的方式只有一种,除非有人让我们学会怎样以不同的眼光看世界" (毕加索)


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La ricchezza strumento nelle nostre mani

don Francesco Pesce

Le ricchezze non sono un fine, ma uno strumento nelle mani degli uomini; spesso sono diventate uno strumento iniquo perché l’uomo se ne è servito per dominare gli altri uomini e assoggettare interi popoli al controllo di alcune elite. Siamo arrivati nella storia perfino allo sterminio programmato e calcolato dei poveri, come ricorda il profeta Amos. Grazie a Dio il progresso culturale dei popoli sta favorendo una sempre maggiore presa di coscienza, circa il bisogno di una più equa distribuzione delle ricchezze del pianeta. Alcune organizzazioni internazionali e alcune nazioni più sviluppate stanno lottando per nuovi equilibri sociali, ma la battaglia è ancora molto lunga e difficile. Gesù invita i suoi discepoli ad essere “scaltri” nell’uso delle ricchezze. Chiede ad ognuno di noi un diverso rapporto con le ricchezze sia sul piano individuale che in quello comunitario. Proprio per questo non può più bastare il gesto privato della elemosina; bisogna agire perché la ricchezza possa diventare uno strumento di liberazione e di riconciliazione tra i popoli; questa è la concretezza del vangelo, che per sua natura è un fatto sociale. La storia ci insegna che non pochi si sono allontanati dalla Chiesa e dalla fede, perché hanno ricevuto una cattiva testimonianza nell’uso del denaro e delle ricchezze. Assistiamo poi in questi anni come cristiani e cittadini del mondo a due fatti molto importanti. Papa Francesco sta testimoniando la possibilità concreta di una Chiesa povera per i poveri, ed è uno straordinario dono del Signore, un esempio che ci stimola a sempre nuova conversione. Inoltre al contempo assistiamo al fatto che molti poveri, si stanno -potremmo dire così- riprendendo il vangelo, spesso a loro nascosto, dietro parole di circostanza e umilianti elemosina. I poveri oggi sono coscienti che il vangelo è prima di tutto per loro, e non sono più disposti ad aspettare per i loro diritti e la loro dignità. Rileggiamo e meditiamo attentamente a questo proposito le parole profetiche di don Primo Mazzolari, prete povero tra i poveri:” io non ho mai contato i poveri, perché i poveri non si possono contare; i poveri si abbracciano, non si contano. Eppure c’è chi tiene la statistica dei poveri, e ne ha paura; paura di una pazienza che si può anche stancare, paura di un silenzio che potrebbe diventare un urlo ,paura di un lamento che potrebbe diventare un canto, paura dei loro stracci che potrebbero farsi bandiera, paura dei loro arnesi che potrebbero farsi barricata.” Io credo che stia già avvenendo.


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Saremo giudicati sull’amore

don Francesco Pesce

Il Vangelo ci chiama a superare le facili contrapposizioni tra giusti e ingiusti, peccato e virtù. Anche questo figlio maggiore onesto è peccatore. Cosa ha fatto? Niente! Non ha capito l’amore. Non ha capito l’amore e con il suo occhio guardava tutto e tutti con sospetto; ricordiamo bene quando gli scribi e i farisei mormoravano contro Gesù perché “guardavano” che mangiava con i peccatori. La prima violenza è proprio quella dell’occhio; dobbiamo sempre tutti imparare ogni giorno a guardare il mondo con gli occhi misericordiosi del Padre.

Un pastore che affronta i pericoli della natura, una donna di casa che con ostinazione cerca la sua moneta di valore, un padre che sa solo correre incontro e abbracciare.  Sono tre immagini bellissime di un Dio che ci cerca continuamente e non trova pace fino a quando non ci ha ritrovati. Il Pastore  si mette  sulle spalle la pecora che ha ritrovato,e la aiuta così nel suo cammino di ritorno, gli rende più leggeri i passi, non la umilia con una punizione per il fatto di essersi perduta.

Dio non guarda i nostri meriti o le nostre colpe, ma prima di tutto i nostri bisogni. La donna che cerca il suo tesoro sotto la polvere, ci aiuta a credere di più nell’aiuto di Dio e in noi stessi; sotto la polvere di tanti nostri giorni, nascosto in qualche angolo dentro di noi, c’è un tesoro prezioso che dobbiamo cercare con la lampada dello Spirito. Nessuna sporcizia, nessuna difficoltà, nessun male della vita sarà mai più forte della nostra immagine e somiglianza con Dio.

Non lasciatevi rubare la Speranza è la profezia di Papa Francesco. Un padre misericordioso che corre e abbraccia il figlio; lo vuole più felice che fedele, lo vuole debole ma vicino, piuttosto che forte e lontano. Il Vangelo ci insegna a ripudiare  mentalità aggressive, perché gli uomini  non solo disarmino i loro arsenali di guerra, ma anche i loro cuori. “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore” – come scriveva il sacerdote e poeta del sedicesimo secolo, San Giovanni della Croce.


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Una realtà fragile ma già eterna

Una riflessione spirituale dopo il tragico terremoto in Italia centrale

don Francesco Pesce

Un interminabile elenco di nomi. Il vescovo di Rieti ha iniziato la Messa funebre per le vittime del terremoto di Amatrice e di Accumoli, leggendo uno per uno i nomi dei caduti. Nomi, storie, volti, famiglie spezzate. Mi è venuta in mente la scena biblica in Galilea sul lago di Tiberiade descritta al capitolo 21 del Vangelo di Giovanni. In quel passo alla fine del racconto evangelico, dopo la crocifissione di Gesù’, nessuno parla e nessuno sa cosa fare o cosa dire. La situazione è pesante, Gesù era ormai morto e le speranze andavano esaurendosi. Pietro prende l’iniziativa per togliere se stesso e gli altri dall’imbarazzo e dice “io vado a pescare” (Gv 21,3) e così la vita di prima sembra ricominciare. “ma in quella notte non presero nulla” (Gv 21,3).

Quante notti nella Bibbia, nella vita, nei nostri giorni; quanta fragilità nelle nostre vite nelle nostre famiglie; è una fragilità naturale di una natura corrotta dal mistero del male e del peccato. Gesù ci chiede ancora di gettare la rete, di continuare a vivere e sperare. La rete della nostra vita è destinata a riempiersi, perché è gettata sulla Parola del Risorto, anche se gli apostoli non lo avevano riconosciuto, anche se a volte davanti alle tragedie, non ce la facciamo perché la vita non è un principio da difendere ma una grande avventura da svolgersi con l’aiuto della Grazia. Noi crediamo che arriva sempre un alba nuova dove si può gridare “è il Signore”(Gv21,7) – il grido di amore di Giovanni, o come nel Cantico dei Cantici “l’amato mio” (Ct2,8). Un grido di Pasqua, di amore che vince le tenebre della morte.

Mi ha colpito guardando alla televisione lo svolgimento dei funerali, che quasi tutti hanno fatto la Comunione, cosa non consueta ormai anche nelle grandi celebrazioni. C’era quasi un desiderio urgente e stringente di Pane del cielo, quello vero, quello di cui tutti abbiamo bisogno. “Signore, dacci sempre questo pane. Gesù rispose loro: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete” (Gv6,34-35). Noi celebriamo infatti l’Eucaristia “nell’Attesa che  Egli venga”, perché   crediamo che un amore che muore, un amore che viene ucciso, ritrova il dono del Dio della vita.

Oggi abbiamo celebrato insieme a tutta l’Italia il corpo, anzi la carne. La parola carne, nella Bibbia,  indica  tutto ciò che è corruttibile, fragile, mortale. Tutta la fede cristiana è un  rapporto tra carnalità e spiritualità.  L’espressione “carne e sangue” è  un’espressione tipicamente ebraica per dire “fragile vita”. Nella “carne e sangue” Dio si fa debole, limitato e quindi accessibile perché assume la nostra  fragilità nella quale dona la Sua vita immortale. Oggi ad Amatrice e Accumoli ancora una volta abbiamo celebrato una realtà fragile, ma già eterna. Abbiamo celebrato  il “pane e il vino”, alimenti semplici della mensa dei poveri, segni della solenne  povertà degli uomini e di Dio. “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” è ancora il grido che sale dai paesi devastati dal terremoto, da queste terre che hanno impresse le impronte di  San Francesco e san Benedetto. E’ un grido che già è stato ascoltato da Colui che con l’amore ha vinto la morte. “Dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano. Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato.”(Ez 37,9-10)

 

 


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Passò oltre dall’altra parte. Tre parole che ci rendono inutili e dannosi

“Passò oltre dall’altra parte”(Lc 10,31). Come notava don Primo Mazzolari nel suo famoso commento a questa parabola, in tre parole, ecco descritta l’inutilità della religione della scienza,della filosofia; una religione, una scienza,una filosofia,una cultura, un progetto politico, un piano pastorale, una semplice giornata, che passano oltre l’uomo e le sue ferite , sono semplicemente inutili, anzi dannose. Gesù non risponde alla domanda posta dal maestro della legge :”Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna”? ”(Lc 10,26 ) ma racconta una storia. E’ la storia di ognuno di noi. Notiamo prima di tutto che la domanda è fondamentale; si tratta della nostra vita. E’ in gioco la nostra umanità, il senso ultimo del nostro esistere, la strada da percorrere per realizzare la nostra vocazione. La strada è proprio una protagonista di questo racconto. Da Gerusalemme a Gerico ci sono circa trenta km di strada in salita attraverso il deserto di Giuda. Queste notazioni geografiche sono una buona metafora della vita che spesso è in salita, e a volte sembrano  mancare anche le oasi di ristoro. La strada in fondo è il vangelo stesso così come ci ricordano gli Atti degli apostoli; anche il seminatore non si è dimenticato di far cadere il suo seme perfino sulla strada, fiducioso della potenza di Dio; la strada è il luogo privilegiato della vita di Gesù,è lo spazio quotidiano  della sua misericordia.

“Passò oltre dall’altra parte”(Lc 10,31). Grazie a Dio tanti invece si sono fermati ; la storia della Chiesa e del mondo è piena di Buoni samaritani che hanno soccorso l’uomo “mezzo morto” se lo sono caricati sulle spalle e lo hanno rialzato a nuova dignità.

Oggi  tutti lo sperimentiamo, siamo chiamati a fermarci davanti l’uomo con una carità quotidiana; nessuno può dire di non sapere o di non essere bene informato sulle ferite della  umanità. La strada infatti è una sola, non ci sono scorciatoie o corsie preferenziali e gli uomini mezzi morti sono davanti a noi,intralciano i nostri passi, sono accovacciati alle nostre porte, sono un monito perenne alla coscienza di ciascuno. Che devo fare per ereditare la vita eterna? Che devo fare io ? oggi come posso mettermi a servizio dell’uomo, di ogni uomo ? come mettere in gioco il talento delle mie competenze, della mia storia, della mia fede?

Bisogna curvarsi  verso gli altri non  con le tavole della legge in mano, sia essa civile che religiosa ma  con gesti di umanità pura, con una carità non finta, non diplomatica, non dettata dalla convenienza del momento o dalla appartenenza al proprio gruppo che prevede anche piccoli momenti di carità ,ma poi fa i suoi affari. Con  qualsiasi segno politico sociale o  religioso, chi si abbassa  verso l’uomo ferito, verso il diverso da lui, per soccorrerlo, questo uomo che si curva è già un buon samaritano, è un buon cittadino è un buon credente è già un modello di civiltà. E’ già nel cuore stesso di Dio.


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Perché proprio io ? Testimonianza di un Missionario della Misericordia nel Mali

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la testimonianza di un nostro caro amico, nominato da Papa Francesco Missionario della Misericordia ,- Don Toussaint Ouologuem, sacerdote del Mali. Siamo molto grati a Toussaint per questa sua bella testimonianza  e perché conoscendolo giá sappiamo che sará capace di annunciare a chi incontra l’amore e la misericordia infiniti del Padre.

Don Toussaint Ouologuem

Se avessero chiesto a me di scegliere un sacerdote nella mia diocesi per essere missionario della Misericordia, non mi sarei mai scelto. Non perché ho poca fiducia in me o pocas tima di me stesso ; ma perché è di Misericordia che si tratta, di Misericordia Divina.

Sommando assieme i miei peccati, le mie debolezze, le mie infermità spirituali, intellettuali e morali ; aggiungendo a questi la mia rigidità nelgiudizio, quella mia ricerca di giustizia ad ognicosto, quella mia difficoltà a dare una seconda chance alla gente, sopratutto a quelli che mi hanno, in qualche modo, offeso. E in fine per la mia giovane età e la mia poca esperienza nel sacerdozio (2anni e mezzo) ; mettendo insieme tutto quanto, io non mi sarei di certo scelto per essere missionario della Misericordia. Peccatore, troppo rigido, troppo giovane e con poca esperienza, mi sarei definito inadeguato per questa importantissima missione.

Ma eccomi qua; scelto dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, attraverso il collegio Urbano, approvato dal mio vescovo e costituito dal Papa Francesco come missionario della Misericordia. E io mi chiedo: perché proprio me?

A prescindere dalla scelta del collegio Urbano, a prescindere dall’approvazione del mio vescovo, il suo Nulla Osta, a prescindere dalle lettere e dalle mail scritte e scambiate con il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, a prescindere da ogni altra manovra umana, non posso non intravedere la Mano di Dio nel fatto di essere stato scelto. È la mia fede che me lo chiede, la mia spiritualità che me lo dice e la mia vocazione sacerdotale che me lo grida forte. Allora mi chiedo : perché proprio io ?

Questa è la domanda che non ho smesso di farmi e di chiedere a Dio da quando sono stato contattato per la prima volta, perché qualcuno, da qualche parte, ha proposto il mio nome. Con una gioia enorme, con un fascino, da un lato, un timore tremendo dall’altro, ho accettato ben volontieri questa missione.Ma da allora mi chiedo perchè proprio a me ?

Sono ormai sicuro che questa domanda, me la porrò, al di là di questo anno, fino alla fine dei miei giorni, cercando di capire meglio tutto il significato nascosto e voluto da Dio, un significato sia per me, che per gli altri.

Qualche giorno dopo la mia consacrazione come missionario della Misericordia, dopo una Adorazione Eucaristica in una delle Chiese di Torbe, una pia mano mi diede un libro, un libro intitolato : « Non possiamo tacere ciò che abbiamo visto ». Cominciai subito a leggerlo e là, una frase mi colpi, una frase che mi dava una delle risposte alla mia costante domanda. La frase diceva in fatti : « quando Dio tocca una vita, le consegna un dovere : essere pienament e felice in Lui per manifestarlo agli altri ».

Tra conferenze sulla Misericordia, e missioni sulla radio e in TV, tra omelie e celebrazioni penitenziali e certi incontri personali, cerco in tutto di fare la mia missione, quella di essere un sacerdote animatore della Misericordia divina e diffondere la mia felicità. Ma non è mai abbastanza. Ecco perché non mancò l’occasione di chiedere alla gente di pregare per me, così come Papa Francesco lo fà in molte situazioni, chiedendo alla gente di pregare per lui.

Molte storie di vocazione nella Sacra Scrittura ci fanno capire che Dio, il più delle volte, non sceglie qualcuno perché quella persona è già capace di compiere la sua missione, ma lo sceglie, proprio per renderlo capace, adeguato, per la missione. Il moi compito è quindi di stare vigilante per poter cogliere ogni Grazia che Dio mi darà per questa mia missione. Possa Di oaiutarmi in questo !

Questo è un anno di Grazia che ci è donato. E un anno in cui abbiamo il compito di meditare (personalmente) la Misericordia di Dio, di usufruire della sua Misericordia (col sacramento dellapenitenza) e di viverla (le 14 opere della Misericordia).

Verso la fine della sua Bolla, Misericordiae Voltus, Papa Francesco dice : Lasciamoci sorprendere da Dio durante questo giubileo ! Io aggiungo che bisogna anche lasciarci sorprendere da noi stessi : sorprendiamoci di quello che faremo di bello, di grande e di straordinario meditando, usufrendo e vivendo, condividendo la Misericordia di Dio. Dio ci benedica tutti !


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L’Amore cristiano frutto della Grazia e non del legalismo

Riflessioni sulla Esortazione Amoris Laetitia di papa Francesco

Amoris Laetitia è un grande dono alla Chiesa che Papa Francesco ha dato nella Solennità di San Giuseppe il 19 Marzo scorso. Al cuore del documento c’è il desiderio del papa di :”arrecare coraggio, stimolo e aiuto alle famiglie nel loro impegno e nelle loro difficoltà”(AL 4).Non possiamo dimenticare inoltre, che siamo nel pieno dell’Anno Santo della Misericordia, e tutti siamo chiamati in modo particolare ad essere segno e strumento della Grazia. Nella vita cristiana ciò che sta al centro, non è la debolezza dell’uomo, o la sua incapacità a compiere perfettamente la sua missione, e nemmeno il passato con il suo carico di bene e di male compiuto, ciò che conta è la confessione di fede, il professare come fa Pietro di fronte a Gesù: tu sei il Cristo il figlio del Dio vivente. Appena lo facciamo, cioè diciamo con convinzione a Gesù tu sei il Cristo, il Salvatore, scopriamo, come Pietro, la grandezza del progetto che Dio ha con ciascuno di noi.

Chi è abituato a rapportarsi alle situazioni, agli avvenimenti, alle persone,in base a un codice, in base a una legge, non può comprendere il volto di un Dio che è amore. Il criterio di interpretazione della Scrittura,della Parola di Dio, deve essere il bene dell’uomo. Chi invece ne fa una dottrina, una legge, nella quale l’osservanza di precetti, è più importante del bene dell’uomo, ebbene queste persone rischiano di avere come un velo davanti agli occhi che impedisce loro di scoprire il disegno d’amore di Dio sull’umanità. Così come nella Evangelii gaudium (EG), già dal titolo si parla di letizia, di serenità di gioia. Per il papa la gioia è una dimensione spirituale ed è un elemento fondamentale:« La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita in­tera di coloro che si incontrano con Gesù» (EG 1). Sappiamo bene che la gioia è un aspetto biblico molto importante del Natale, ed è una nota costante dei cosiddetti vangeli dell’infanzia:”Vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo”(Lc2,10). Inoltre la gioia è anche lo scopo della Chiesa in comunione come ci ricorda l’evangelista Giovanni:”questo vi ho detto,perché la mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia piena”(Gv15,11). In questa dimensione di gioia biblicamente fondata e irrobustita da uno sguardo di fede sul mondo, il papa riprendendo il lavoro di ben due Sino­di,uno straordinario e uno ordinario, analizza la realtà vera, senza paura di chiamare le cose con il loro vero nome, parlando della vita concreta delle persone e delle famiglie. In questo realismo tutto evangelico, papa Francesco attinge anche alla storia che ci circonda, citando personaggi che la storia l’hanno fatta con la loro testimonianza come Martin Luther King, Erich Fromm e Dietrich Bonhoeffer. Nella storia dei popoli, delle famiglie e dei singoli, è necessario e urgente un servizio pastorale che vuole sostenere la crescita dell’amore:«Tutto questo si realizza in un cammino di permanente crescita. Questa forma così particolare di amore che è il matrimonio, è chiamata ad una costante maturazione, perché ad essa bisogna sempre applicare quello che san Tommaso d’Aquino diceva della carità: “La carità, in ragione della sua natura, non ha un limite di aumento, essendo essa una partecipazione dell’infinita carità, che è lo Spirito Santo.» (AL 134). Dobbiamo dice ancora il papa: «smettere di pretendere dalle relazioni interpersonali una perfezione, una purez­za di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo» (AL 325).

Sempre a proposito della storicità e del concetto di maturazione il Papa afferma che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero» (AL 3). « in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali. Le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale ha bisogno di essere incultu­rato, se vuole essere osservato e applicato”» (AL 3). Un fondamento di inculturazione quindi come chiave di lettura importante di questa esortazione papale.

I nove capitoli di cui è composta l’esortazione apostolica, iniziano con il primo capitolo, “alla luce della Parola” che offre subito il quadro di riferimento nella Parola di Dio. La Parola di Dio è :”popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari» (AL 8)9, e quindi non si tratta di svolgere un lavoro astratto e teorico, ma realizzare un «compito artigianale» (AL 16).Vedremo quindi nel secondo capitolo una accurata descrizione della “realtà e le sfide delle famiglie”; Il papa invita subito con decisione a tenere:«i piedi per terra» (AL 6) riflettendo sul dramma delle famiglie migranti, sul problema delle ideologie di genere, la cura delle persone disabili, la violenza contro le donne, e altre tematiche reali e urgenti.

Nel terzo capitolo il papa vuole aiutare le problematiche descritte prima, con il soccorso dell’inse­gnamento della Chiesa riguardo il matrimonio e la famiglia, ma con una premessa fondamentale e irrinunciabile: “che si metta tutta la dottrina del matrimonio e della fa­miglia sotto la luce del kerygma. Davanti alle famiglie e in mezzo ad esse deve sempre nuovamente risuonare il primo annuncio, ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario”» (AL 58). La motivazione di questa premessa è che:“tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma” (AL 58). Questo ancoraggio dell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e la famiglia,nel Kerigma libera da ogni pericolo di fondamentalismo e dalla durezza di cuore di quelli che invece fondano la loro riflessione solamente sul diritto e sui precetti degli uomini.

Il quarto capitolo descrivendo l’inno alla carità di 1 Cor 13,4-7, parla dell’amore nel matrimonio con accenti lirici, accompagnati da una vera e propria lectio divina,rimanendo però sempre ancorati ad un sano realismo:”Non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica “un pro­cesso dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva inte­grazione dei doni di Dio”» (AL 122). Il quinto capitolo riflette sulla fecondità ampliando lo sguardo anche alla realtà complessa famiglia dove ci sono anche i parenti e gli amici.

Il sesto e il settimo capitolo riflettono sui modi pastorali per la costruzione di famiglie secondo il cuore di Cristo,e sulla educazione dei figli, sempre attenti però alle situazioni concrete e locali:”Saranno le diverse comunità a dover elaborare proposte più pratiche ed efficaci, che tengano conto sia degli insegnamenti della Chiesa sia dei bisogni e delle sfide locali” (AL 199).

 Papa Francesco ha la consapevolezza che l’ottavo capitolo che tratta delle varie fragilità è un capitolo chiave, e per questo ricorda subito all’inizio che: «spesso il lavoro della Chiesa assomiglia a quello di un ospedale da campo» (AL 291). Il Papa assumendo la bellezza e la ricchezza del matrimonio cristiano dice con chiarezza che: «altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo» (AL 292).Proprio per questo la Chiesa:”non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio” (AL 292). Accompagnare, Discernere, Integrare sono le tre parole che caratterizzano non solo questo capitolo, ma l’intero documento, anzi il pontificato stesso di Francesco,nella logica della Misericordia pastorale che altro non è se non il cuore stesso di Dio.

 L’ultimo capitolo, il nono descrive la spiritualità nella famiglia, «fatta di migliaia di gesti reali e concreti» (AL 315). “Coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spi­rito, ma che è un percorso che il Signore utilizza per portarli ai ver­tici dell’unione mistica» (AL 316). « I momenti di gioia, il riposo o la festa, e anche la sessualità, si sperimentano come una partecipazione alla vita piena della sua Risurrezione” (AL 317) La Pasqua e il culmine e la fonte di ogni spiritualità famigliare.

 La Preghiera alla San­ta Famiglia,conclude questo testo papale, che più che proporre un ideale di famiglia che non c’è, invita a cercare e trovare la presenza del Padre misericordioso nella realtà ricca e sorprendente, sempre attenti ai segni dei tempi; uno sguardo positivo e gioioso sul tempo, che è per i cristiani un tempo favorevole per essere felici, un Kairos, un dono di Dio, un tempo superiore allo spazio, dove si compie il progetto di Dio sull’uomo. Papa Francesco pensa le cose di Dio e prega a partire dalla realtà che gli sta di fronte. Questa esperienza,affinata nel suo ministero di Pastore di una grande e moderna città come Buenos Aires, è quella stessa di Gesù,di vedere come i piccoli, i bambini, i poveri e i peccatori accoglievano con gioia la buona notizia del regno di Dio, mentre i sapienti e i dotti del gli scribi e i farisei di tutti i tempi, fatto fatica a gioire per la Buona Notizia,forse perché non la sanno riconoscere.

 Scrive il papa:”abbiamo presentato un ideale teologi­co del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprat­tutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario” (AL 36). Ancora Francesco:”per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza moti­vare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significa­to la loro vita insieme» (AL 37). A questo punto papa Francesco riporta in primo piano e valorizza la centralità della coscienza individuale:«stentiamo anche a dare spazio alla co­scienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (AL 37) .

L’Esortazione apostolica del papa in continuità con il Concilio Vaticano secondo e con quello che è già espresso in Evangelii Gaudium, traccia anche un sentiero molto chiaro circa il rapporto con il mondo:”molte volte abbiamo agito con atteggiamento difensivo e sprechiamo le energie pastorali moltipli­cando gli attacchi al mondo decadente, con poca capacità propositi­va per indicare strade di felicità. Molti non percepiscono che il mes­saggio della Chiesa sul matrimonio e la famiglia sia stato un chiaro riflesso della predicazione e degli atteggiamenti di Gesù, il quale nel contempo proponeva un ideale esigente e non perdeva mai la vicinanza compassionevole alle persone fragili come la samaritana o la donna adultera» .(AL 38) Papa Francesco con Amoris Laetitia va incontro al bene dell’uomo, e come un Padre autorevole e amoroso alleggerisce i pesi del popolo e si pone davanti ad esso come modello non di legalismo, ma di umiltà e di mitezza. L’autorità nella Chiesa è davvero preziosa quando si prende cura, non quando aumenta la pesantezza del giogo da portare.

Papa Francesco attinge anche con sapienza alla preghiera di Maria e alla umiltà della serva del Signore: “Nel tesoro del cuore di Maria ci sono anche tutti gli avvenimenti di ciascuna delle nostre famiglie che Ella conserva premurosamente”(AL 30)

Pensiamo che una chiave di lettura di questo documento possa essere proprio, l’umiltà, quella di Maria e quella del papa.

Che cos’è l’umiltà?”. Sappiamo che il termine viene dal latino “humus”, cioè quel terreno ricco di sostanze in decomposizione che è particolarmente adatto ad accogliere e a far germogliare il seme. I nostri fallimenti famigliari, i nostri sbagli, perfino i nostri peccati – se riconosciuti: possono diventare quel terreno particolarmente fertile per ricevere il dono di Dio, per sperimentare la misericordia di Dio, per incontrare la sua misericordia, cioè il suo “cuore per i miseri”.

Nel vangelo chiedono a Gesù: “quale segno fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi?”(Gv 6,30) La risposta di Gesù: “Io sono il Pane della vita”. Un solo segno: io nutro. Nutrire è fare una cosa da Dio. Condannare è al contrario affamare le persone nella loro speranza e dignità.