Un buon terzo del libro degli Atti degli apostoli ci racconta le vicende della Chiesa di Gerusalemme: una comunità unita, che condivide i beni materiali e la vita spirituale, sotto la guida degli apostoli. Poi arriva il martirio di Stefano e la prima grande persecuzione; e questa bella unità incomincia a disgregarsi. È certamente un trauma, ma anche l’inizio di una fase nuova, di apertura al mondo, come narrano gli Atti al capitolo 11,19-26.
Dopo il martirio di Stefano, Filippo va in Samaria, Saulo sulla via per Damasco riceve il mandato dal Signore, Pietro va tra Lidda, Giaffa e Cesarea.
Ad un certo punto alcuni arrivano ad Antiochia. All’epoca si trovava in Siria, oggi nel sud della Turchia; era una città molto grande, un incrocio importante nelle rotte commerciali e politiche dell’epoca. Qualcuno di coloro che erano stati scacciati da Gerusalemme al tempo della persecuzione decide di annunciare anche lì il Vangelo;
Cosa accade ad Antiochia? mentre alcuni continuano a rivolgersi solo agli ebrei, altri prendono la decisione di annunciare la Parola anche ai greci, cioè ai pagani. È una scelta importante, che apre gli orizzonti della missione; eppure non è stata presa dalla Chiesa ufficiale che stava a Gerusalemme, ma da un gruppo di persone di cui non conosciamo neppure il nome! Non in contrasto né in polemica con la Chiesa madre di Gerusalemme; semplicemente in modo indipendente.
All’origine della comunità di Antiochia, che diventerà il punto di partenza di tutti i viaggi missionari di Paolo, non c’è uno dei grandi nomi della Chiesa nascente. Del resto, non è forse stato così anche per Roma? Quando Pietro e Paolo vi si recano, ci sono già non poche comunità cristiane, fondate non sappiamo da chi. “La nascita della Chiesa di Antiochia, la prima comunità cristiana “mista”, composta cioè di ebrei convertiti e di pagani, non è stata programmata e non va attribuita a protagonisti ufficiali”; non si tratta però di un’iniziativa estemporanea, campata per aria; “la mano del Signore era con loro”: non c’era l’ufficialità da parte di Gerusalemme, ma c’era la presenza del Signore.

La Chiesa madre di Gerusalemme sente parlare dell’accaduto e manda Barnaba ad Antiochia a vedere cosa succede:
Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla considerevole fu aggiunta al Signore (At 11,22-24).
Qui dobbiamo fermarci e imparare. Anzi, contemplare lo stile pastorale di Barnaba. È l’esempio più bello di missionario, di pastore, di guida, di educatore, di maestro. Viene infatti mandato ad una Chiesa che è nata da sé, come abbiamo visto; e per prima cosa non dice: fermi tutti, che sono arrivato io! Ora vi insegno come si fa ad annunciare il Vangelo!
No, Barnaba non è questo tipo di persona. Barnaba non cambia nulla di quello che trova, anzi esorta a perseverare. Perché? “Quando giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare fedeli al Signore”. Barnaba arriva in questa comunità diciamo sui generis e per prima cosa riconosce che la grazia di Dio è già all’opera; “la mano del Signore era con loro”, e Barnaba lo nota! Egli vede il bene che c’è già e ne è felice.
Com’è bello incontrare qualcuno che riesce a riconoscere e a gioire per il bene degli altri e soprattutto riconosce che la Grazia è già all’opera! A volte c’è uno di stile di annuncio cristiano insopportabile, dall’alto in basso che pensa di portare lo Spirito che invece sempre ci precede; il nostro compito non è quello di portare lo Spirito ma di aiutare a riconoscerne la presenza.
Ma il racconto degli Atti non si ferma qui; non si accontenta di dirci come Barnaba si comporta; ci spiega anche perché ha reagito così, giunto ad Antiochia. Dice, traducendo alla lettera: “perché era un uomo buono e pieno di Spirito Santo e di fede”. È capace di valorizzare gli altri perché è un uomo buono (non lo fa per opportunismo e neppure per finta); ed è buono perché pieno di Spirito Santo e di fede.
Lo dirà anche Paolo, nella lettera ai Galati: se uno è veramente pieno dello Spirito di Cristo, porta frutti di “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”; (Gal 5,22).
Barnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo: lo trovò e lo condusse ad Antiochia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta gente. Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani (At 11,25-26).
v.26b. Mentre tra di loro si chiamano fratelli, credenti , discepoli (ben 29 volte), santi, santificati salvati (2,47) e “quelli che sono della via”; dagli altri (pagani) vengono denominati «cristiani».
Ciò significa che:
a) il titolo Cristo era ormai praticamente diventato un nome proprio;
b) il legame dei cristiani con Gesù appariva, persino ai pagani, indispensabile; uno era cristiano perché era di Cristo possiamo dire. Questa identificazione purtroppo è una cosa non affatto scontata.
come nasce allora una comunità cristiana? tre sono i fattori determinanti : l’azione di Dio, la collaborazione di una comunità cristiana già costituita e la libera accoglienza delle persone.
Ci sentiamo Chiesa, cristiani in questo modo? Per Grazia o forse per ricompensa di qualche merito ?
dono da accogliere o diritto da far valere?
frutto del seno del Padre o prodotto delle nostre alchimie pastorali?
Vocazione, chiamata che ci responsabilizza o privilegio che ci contrappone agli altri?
Considerando poi le cose da parte di chi lo trasmette, emergono alcuni fatti che danno da pensare.
Il soffrire per la fede anziché spegnere le energie, rinvigorisce il dono del Signore
Il dovere di annunciare Gesù non richiede alcun mandato ufficiale esplicito: è insito nel fatto stesso di trovarmi, per la fede e il battesimo, discepolo di Gesù (i primi evangelizzatori di Antiochia sono semplici battezzati: v. 20).
Tutti, anche i cosiddetti lontani, sono per definizione destinatari dell’annuncio cristiano (v. 20) e dunque a tutti bisogna rivolgersi.
Evangelizzare è dire Gesù (v. 20).
È la fraternità che attrae, contagia alla fede, non l’organizzazione.
E’ la capacità di incoraggiare il bene come fa Barnaba, più che il controllo, che ottiene i risultati (v. 24).
Saper coinvolgere le persone giuste al posto e al momento giusto e lavorare insieme sono spesso, di fatto, la strada dello Spirito.