ConAltriOcchi blog – 以不同的眼光看世界-博客

"C'è un solo modo di vedere le cose finché qualcuno non ci mostra come guardare con altri occhi" – "There is only one way to see things, until someone shows us how to look at them with different eyes" (Picasso) – "人观察事物的方式只有一种,除非有人让我们学会怎样以不同的眼光看世界" (毕加索)


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Irrompe lo Spirito: dalla paura alla gioia di annunciare il Vangelo

Il Cenacolo che aveva visto gli Apostoli testimoni della Cena del Signore, il luogo dove tante volte si erano trovati insieme per ascoltare la Sua Parola, diventa ora un rifugio, un nascondiglio “per paura dei Giudei” – come ricorda l’Evangelista Giovanni. E ci dicono anche gli Atti: “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”(At 2,1).

Bisogna ricordare che gli Apostoli a Gerusalemme avevano pochi amici, si erano messi contro il potere religioso e quello politico, erano considerati dai più fanatici seguaci di una delle tante sette messianiche del tempo. Rischiavano la vita per il solo predicare che Gesù era il Figlio di Dio veramente morto e veramente risorto. E infatti gli Atti ci raccontano che ben presto arriva il primo martire: Stefano, che viene lapidato a morte.

Oggi quali sono le nostre paure, che ci fanno rinchiudere nei nostri gruppi? Se escludiamo la Chiesa dei martiri che come ben sappiamo esiste e resiste ancora oggi in tante parti del mondo, notiamo che anche nella Chiesa e tra i cristiani è forte la tentazione di rinchiudersi in un’esperienza di fede elitaria, spesso anche settaria, che esclude il mondo, visto come cattivo, nemico e di cui quindi si ha paura e che si tende a giudicare anziché amare. Può succedere che a volte  la nostra fede, la nostra comunità cristiana, il nostro gruppo ecclesiale, invece che essere spazio di fraternità e di annuncio del Vangelo, si trasformi in un fortino inespugnabile, dove quelli di dentro giudicano quelli di fuori e li escludono anche. “Chiesa in uscita” secondo l’insegnamento di Papa Francesco significa anche non aver paura e non giudicare, ma al contrario essere forti nella fede e allargare gli spazi dell’accoglienza.

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E’ in questo clima di paura e di chiusura che irrompe lo Spirito. “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano” (At 2,1).  In quel cenacolo diventato chiuso e impaurito, lo Spirito interviene, agisce e lo trasforma, cambia il cuore di quegli uomini sfiduciati e ricrea una nuova fraternità allargata fino ai confini della terra. Ecco perché ognuno sentiva parlare nella propria lingua nativa, ci ricordano sempre gli Atti.

Ancora oggi lo Spirito ci chiama a guardare in avanti, ad aprire gli spazi del nostro cuore, a porci in ascolto della Parola. Il Vangelo non è uno scritto da ricopiare, la Chiesa non è un museo da custodire. La comunità cristiana delle origini ha avuto il coraggio dello Spirito di accogliere nel suo seno i non-circoncisi, ha osato mettere per iscritto la Buona Notizia, ed è stata pellegrina fino ai confini del mondo conosciutoOggi sta’ a noi trasmettere allo stesso modo “il Vangelo che abbiamo ricevuto”, senza paura, vergogna, e ovunque andiamo in questo mondo globalizzato. “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26).

Non è una cosa semplice testimoniare la Chiesa della Pentecoste, perché è la Chiesa della gioia (come ci ricordava San  Paolo VI) ma anche del martirio. Nessuno si illuda di non dover pagare un prezzo, anche personale. Al contrario, vivere il Vangelo delle sacre abitudini, rinchiusi nelle sagrestie, nascosti dietro i fumi di incenso è indubbiamente più facile. Lo Spirito ci chiama invece a rischiare i sentieri della vita, a percorrere la Via (ódos), proprio come il Vangelo viene chiamato negli Atti degli Apostoli. La lingua più difficile da parlare sarà quella di chi incontriamo, di chi  ci sta di fronte, di chi sarà contro di noi, magari credendo far bene. Lo Spirito ci insegna a parlare anche quella.


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Da soli si va più veloce, ma insieme si arriva più lontano

Postiamo sul nostro blog un testo pubblicato sull’ Osservatore Romano del 31 marzo 2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza dell’articolo sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

Il Vangelo della Domenica di Pasqua

Don Francesco Pesce

La pietra era stata tolta dal sepolcro racconta il vangelo. Questa pietra è composta da tutte le pietre che i lapidatori di ogni tempo hanno scagliato con estrema precisione; poi è fatta anche di milioni di pietre scartate, da noi costruttori di grattacieli e di cimiteri. Ci sono anche le pietre che abbiamo lasciato cadere dalle nostre mani più per convenienza che per scelta. Cristo incomincia a morire molto presto.

La Pietra scartata dai costruttori è la stessa che oggi viene rotolata via. Il Padre non è intervenuto tutte le volte che l’hanno calpestata; non ha risposto nemmeno al grido sulla croce. Non era possibile, non era necessario; Cristo e tanti poveri cristi con Lui non sarebbero stati veri uomini. Adesso, nella Sua ora, il Padre ribalta la pietra perché: «È Lui che morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita» (Prefazio di Pasqua i ).

Anche la corsa dei testimoni di quella mattina è stata un segno della Grazia. Non sapevano, non capivano ma lo desideravano più di ogni altra cosa; la fede è desiderio del frutto più proibito di tutti, la gratuità del dono della vita. Proibito dai nostri regolamenti che vorrebbero perfino che la risurrezione fosse qualcosa da meritare. Proibito dagli uomini non veri, che nascondono la morte, il dolore dietro le mura degli ospedali e le grate delle carceri, e ti dicono con superbia quando parli di risurrezione: «Su questo ti sentiremo un’altra volta» (At 17, 32); la cultura che si pone al di sopra e non a servizio del vangelo, della vita, pensa di sapere tutto e invece non sa neanche gioire. La pietra ribaltata, fa crollare le mura, le grate, e chiude anche tutti i libri. A Pasqua solo si contempla e si ama. Da quel giorno poi siamo chiamati a stare tutti insieme alla Sua presenza, senza pietre tra le mani, senza giudizi sulla bocca; senza bastone ne bisaccia, l’evangelista Luca dice addirittura senza pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno. Così semplicemente con la fede, volendosi un po’ più bene, un grande popolo in cammino.

Racconta il vangelo che: «Non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti». Mentre camminiamo nell’Attesa di poterlo vedere penso che dobbiamo fare come l’apostolo Filippo che desidera favorire l’incontro con il Risorto: «Capisci quello che stai leggendo» (At 8, 30) dirà al funzionario di Candace. Facilitare l’incontro con il Signore è già missione; essere ognuno di noi una presenza discreta che vuole tendere una mano, e aiutare il cammino, suscitando un dialogo. Proprio come Filippo che: «Prendendo la Parola annunciò a lui Gesù». Che sintesi efficace.

La Buona Notizia da annunciare, e che l’uomo del nostro tempo desidera anche senza averne piena coscienza, nel deserto di tanti giorni, è Gesù, non occorre aggiungere altro. Ecco allora il nostro compito; far vedere, dire, testimoniare come Gesù ha cambiato la nostra vita, come in concreto ha agito in me, e ha ribaltato anche la mia pietra. Nessuno abbia paura di non essere degno di annunciare o di ricevere, questa Buona Notizia di Gesù; e quando il Signore pare non rispondere, lo Spirito susciterà anche per noi incontri sorprendenti, perché è la Parola stessa che corre insieme a Pietro, Giovanni, e i testimoni di ogni tempo.

Perché da soli si va più veloce, ma insieme si arriva più lontano. Anche se è ancora buio.


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C’è tanta luce nel dolore

Postiamo sul nostro blog un testo pubblicato sull’ Osservatore Romano del 24 febbraio 2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza dell’articolo sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

Il Vangelo della II domenica di Quaresima

Don Francesco Pesce

È bello dice Pietro; restiamo qui! Se ci fermiamo sul monte allora la fede diventa un riparo, un comodo spazio, un rifugio separato dalla realtà dove spesso c’è chi sperimenta tanto buio.

Noi non dobbiamo fare nessuna capanna sul monte, perché poi ci mettiamo subito le mura, le torri, i soldati di guardia; e poi mettiamo una porta blindata e facciamo entrare solo chi vogliamo noi, chi può esserci utile; e intanto giù a valle, sotto le nostre mura c’è chi muore di fame, di solitudine e di guerra.

Noi dobbiamo scorgere la luce nelle tenebre dei Getsemani di ogni tempo quando anche noi come i tre apostoli, non siamo in grado di vegliare con Gesù e con tanti poveri Cristi che soffrono e pregano. Perché non facciamo le capanne nei tanti orti degli ulivi della storia? Che Dio ci perdoni! Lui ci ha già perdonato perché conosce la nostra fragilità, le nostre paure, non le giudica ma le accompagna e le prende su di sé.

Gesù non vuole la luce abbagliante, la Chiesa trionfante, il vescovo o il prete sempre in prima fila all’ennesima presentazione di qualche libro. Lui preferisce portare luce nel mistero del dolore, nel buio della solitudine, perché Gesù ha sofferto, è rimasto solo. Io sono contento quando la Chiesa non è in prima fila, ma soffre o rimane sola, perché in questo modo partecipa fino in fondo al mistero dell’amore sofferto e offerto. Mentre scrivo queste righe ripenso alla grande fortuna, che è dono di Dio, che abbiamo noi parroci, di andare a trovare i malati, le persone sole, di entrare nelle case del dolore; quanta luce! Quanta luce! Veramente tante trasfigurazioni ho potuto vedere.

Noi non dobbiamo scalare nessuna montagna, non dobbiamo raggiungere nessun traguardo, perché tutto è Grazia. Bisogna invece discendere fino all’ultimo dolore, fino agli inferi, nel buio del dolore del mondo intero. Poi come Tommaso siamo chiamati, perché è una vocazione, a toccare le piaghe del dolore, a farle nostre, per scoprire che il Signore le ha redente, salvate, ha deciso di abitare, di fare la Sua capanna proprio lì.

Solo nel silenzio del buio, quando le nuvole della vita oscurano le chiassose e false luci artificiali che ci hanno illuso, noi possiamo ascoltare la voce del Padre che non ha mai smesso di parlare. Ascoltate Lui perché io gli voglio bene dice il Padre; ascoltate Gesù perché anche Lui mi vuole bene; ascoltiamo Lui perché il Dio Uno che è Amore, per natura Sua non può stare da solo ma si comunica nel mistero della trinità.

Cosa dice Gesù? Parla di risorgere dai morti. Non capirono; non capiamo. Non importa se non capiamo. Nessuno abbia paura di non capire.

La risurrezione di Gesù non ha nessun maestro o padrone ma solo testimoni.

La risurrezione di Gesù non è una notizia da conoscere, ma un dono da accogliere, per vivere già oggi da risorti, per vedere la luce nel buio, per rinascere in ogni giorno che muore. Nell’Attesa di poterLo incontrare.


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Un annuncio sempre nuovo e sorprendente

Postiamo sul nostro blog un testo pubblicato sull’ Osservatore Romano del 19 gennaio 2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza dell’articolo sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. 

Il Vangelo della III domenica del tempo ordinario

Don Francesco Pesce

Gesù, inizia la sua missione con l’annuncio del Regno: «Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1, 15).

È conclusa la missione di Giovanni Battista, cioè il tempo dell’attesa e della preparazione ed è stato portato a compimento con Gesù Cristo. Ora è il tempo di “convertitevi” alla Buona Notizia. L’unica, perenne, buona notizia è quella dell’Amore.

Ecco, perché, il primo annuncio è sempre nuovo e sorprendete; ogni istante della nostra vita è davvero il momento favorevole per convertirsi all’amore. Andare verso l’altro, uscire da sé stessi, uscire dal proprio egoismo per farsi dono, e dedicare la propria vita, agli altri.

Ognuno di noi può essere buona notizia, può essere vangelo per qualcun altro. Il Vangelo non è una notizia che si trasmette attraverso le parole, ma è una notizia buona che passa attraverso l’uomo, attraverso le relazioni quotidiane. Ringraziamo il Signore per tutte le persone che sono state per noi buona notizia, testimoni di vangelo, preziosi compagni di strada per un tratto di cammino. Ognuno custodisce nel cuore, nomi e volti di questi inviati del Signore.

Nel Vangelo di Marco, subito dopo l’invito alla conversione, Gesù passa lungo il mare di Galilea e vede dei pescatori, Simone e Andrea e poi altri due, Giacomo e Giovanni.

Mi ha sempre colpito che i primi chiamati sono coppie di fratelli; il Signore cerca e chiama, dove le relazioni umane sono vere e vitali. Gesù non cerca leader solitari, oppure persone che vivono rapporti di convenienza, meschini gregari che si attaccano al carro vincente in quel momento, pronti a saltare su un altro carro appena cambia il vento.

Si avvicina e dice loro una sola parola: «Seguitemi» (Mc 1, 16-20). Questo ci aiuta a riflettere sulla nostra vocazione. Facciamoci una domanda sempre importante. La nostra scelta di fede è una cosa che abbiamo fatto da soli, di nostra iniziativa o è la risposta a una chiamata?

Il vangelo ci aiuta a capire circa l’origine della nostra fede. Quando c’è una chiamata, ci deve essere sempre un distacco da qualche cosa. Nel caso di Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, Gesù li chiamò e loro lasciarono le reti, la barca, persino il padre, lasciarono i garzoni e lo seguirono. Anche noi dobbiamo sapere che cosa abbiamo lasciato nel momento in cui siamo diventati credenti, cosa è cambiato nella nostra vita; abitudini, relazioni, idee, progetti, perché se non abbiamo lasciato nulla, se non viviamo nessun cambiamento dalla condizione di prima, allora la nostra vocazione sarebbe ambigua. Un certo distacco da ciò che si lascia ci aiuta a gustare meglio il dono che si è ricevuto. A noi spetta di mettersi dietro di Lui, senza sapere in un certo senso dove andare; solo Lui lo sa, perché è Lui che ci ha chiamati. Camminiamo come i discepoli verso la Pasqua, verso Gerusalemme, la città che uccide i profeti, pronti cioè a pagare un prezzo personale senza facili illusioni. Collaboriamo per essere costruttori di pace e fraternità sulla pietra angolare Gesù Cristo. Facciamo del crocifisso il fondamento della nostra vita, non un distintivo da mettersi sul petto e neanche un aggressivo strumento da scagliare contro il mondo che avrebbe smarrito Dio, perché invece il regno di Dio è in mezzo a noi.