Postiamo sul nostro blog un testo pubblicato sull’ Osservatore Romano del 20 marzo 2019. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza dell’articolo sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
Il Vangelo di domenica 24 marzo, III di Quaresima
Don Francesco Pesce
Due episodi di cronaca molto conosciuti al tempo (una rivolta di zeloti sedata nel sangue e la caduta improvvisa di una torre, la cui base è visibile ancora oggi, in un quartiere di Gerusalemme chiamato Siloe) vengono utilizzati da Gesù per smentire il nesso di causa ed effetto che si riteneva esistere tra il peccato degli uomini e il castigo di Dio.
Il Dio di Gesù Cristo non minaccia e non punisce, ma invita a conversione. Conversione ha tanti significati e forse oggi assume l’urgenza della riconciliazione. Lo ascolto molto spesso nel confessionale; convertirsi vuole dire anche riconciliarsi con la propria storia, e poi con il proprio presente, per poter scorgere i segni dei tempi, e sperimentare la misericordia del Padre. Dobbiamo riconciliarci anche con la provvisorietà del tempo. La morte è il segno più chiaro della fragilità della nostra vita, davanti alla quale curviamo il capo ed eleviamo lo Spirito. Riconciliarsi anche con la morte significa vivere una vita che punta all’essenziale, vivere il Kairos, restare vigilanti, nell’attesa delle sorprese del Suo Amore, nell’attesa del Signore che viene.
La parabola del fico che non produceva frutti a conclusione del Vangelo di questa domenica vuole proprio significare questa dimensione dell’attesa. Gesù viene per trovare i frutti di giustizia come narra tutta la profezia biblica e, non trovandoli, dà ancora a noi la possibilità di continuare il cammino nel deserto, la strada di Osea, per incontrare il Dio dell’amore (Os 2).
Mentre Giovanni Battista aveva detto: «Ogni albero che non porta buon frutto sarà tagliato e buttato nel fuoco» (Matteo 7, 19), Dio si “converte” ascoltando la struggente preghiera del vignaiolo: «Padrone lascialo ancora questo anno finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutto per l’avvenire, se no lo taglierai!» (Luca 13, 8-9). Questa supplica ci rimanda al racconto biblico in cui Dio si lascia convincere dalla richiesta di Abramo per la salvezza delle città peccatrici di Sòdoma e Gomorra (Genesi 18, 17-33). Come cristiani, questa dovrebbe essere la nostra disposizione del cuore.
Gesù, davanti al nostro peccato dona ancora nuovo tempo per portare frutto, curvandosi verso di noi fino alle radici dell’albero, fino ai nostri piedi nel giorno santo in cui istituì l’Eucarestia, che è già l’Eterno nel tempo.
Il Dio rivelato da Gesù Cristo non ha e non avrà mai un’ascia in mano. Questa è nelle nostre mani che possono chiudersi e rifiutare la Grazia. Le mani del Signore sono inchiodate ad una croce, dove il peccato e la morte sono stati sconfitti da un Amore più grande.
«E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno» (Giovanni 6, 39).