ConAltriOcchi blog – 以不同的眼光看世界-博客

"C'è un solo modo di vedere le cose finché qualcuno non ci mostra come guardare con altri occhi" – "There is only one way to see things, until someone shows us how to look at them with different eyes" (Picasso) – "人观察事物的方式只有一种,除非有人让我们学会怎样以不同的眼光看世界" (毕加索)


Leave a comment

La Dottrina Sociale della Chiesa è un percorso spirituale

Postiamo sul nostro blog un testo pubblicato su Roma Sette edizione domenicale del 4 febbraio 2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza dell’articolo sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

Mi guardai attorno: ed ecco non c’era nessuno, nessuno che fosse capace di consigliare, nessuno da interrogare per avere risposta. (Isaia 41,28)

Siamo in un tempo della storia di non facile e forse neanche opportuna definizione; siamo un po’ spaesati, e la complessità delle situazioni non di rado assume la forma del turbamento. La tecnica si è fatta regina, non sappiamo più comunicare fra generazioni, viviamo una transizione che pare infinita e siamo quasi costretti ad ancorare le nostre speranze al passato; il presente poi è un tempo senza preghiera, e abbiamo paura del futuro.

Educare in particolare alla conoscenza della Dottrina sociale della Chiesa può oggi essere una domanda saggia e una risposta efficace, quando sono deboli non solo i saperi, ma anche i maestri e gli alunni.

La DSC non insegna un mestiere per un lavoro che fra poco non esisterà neanche più, sostituito da macchine più o meno intelligenti, ma può e deve insegnare ancora molto; come riconoscere i segni dei tempi, come ben vivere nella casa comune, come attendere da umili lavoratori nella vigna del Signore, il Suo ritorno nella gloria.

Le lampade delle vergini sagge nel vangelo di Matteo ci insegnano che la luce s’accende dentro. Non sono soltanto i movimenti esterni che decidono il senso della nostra vita; è la decisione spirituale, nei confronti del Signore che dà senso a tutto. Quel che decide non è un di più di sapere ma è un di più di amore. Noi abbiamo bisogno di questo più di amore; abbiamo bisogno che la cultura, lo studio, i saperi, siano strumenti a servizio del vangelo, non uno specchio per egocentrici e narcisisti. Abbiamo bisogno nell’attesa dello sposo, di aprire la nostra cultura; se noi non ci preoccupiamo delle attese del mondo intero, il nostro discorso non è sapiente. Potrà essere vantaggioso per un po’ di tempo, ma non sapiente. La DSC da sempre esce fuori dai perimetri del sistema per sedere accanto all’uomo e aspettare che lo sposo venga. Perché lo sposo viene proprio nell’incontro con l’uomo. E lui che ci sta cercando. 

Ecco lo sposo! Andategli incontro! Come le vergini della parabola tutti ci addormentiamo, ed è la nostra storia: tutti a volte ci siamo stancati, forse abbiamo mollato; ma nel momento più nero, qualcosa, una voce, una parola, una persona, ci ha risvegliato. 

La DSC è una profezia, che non solo quindi legge i segni dei tempi, ma annuncia la voce di Dio che non ci coglie in flagrante, ma è una voce che ci risveglia, ogni volta, anche nel buio più fitto.

La DSC guarda con gli occhi più profondi dello Spirito, la realtà, di cui la Chiesa è serva, protagonista e anche giustamente vittima; è fondamentale uno sguardo spirituale, non solo per la crescita personale, ma anche per le grandi questioni del nostro tempo. 

Imparate da me ci dice Gesù. Cristo si impara prima di tutto per rivelazione e imitazione; perché Dio è amore e noi sapienti e intelligenti corriamo il rischio di restare analfabeti del cuore.

La DSC ci insegna a vivere una diversità evangelica dentro la città, nelle istituzioni, nella scuola, nelle strade, non vendendosi alla sapienza costituita. 

Facciamo nostre le parole di San Bernardo: “Vi sono coloro che vogliono sapere soltanto per sapere: è curiosità. Vi sono coloro che vogliono sapere per essere considerati sapienti: è vanità. Vi sono coloro che vogliono sapere per vendere la loro scienza: è un turpe guadagno. Vi sono coloro che vogliono sapere per edificare sé stessi: è prudenza. Vi sono, infine, coloro che vogliono sapere per edificare gli altri: è carità”.


Leave a comment

Ti benedica il Signore e ti protegga.

un nuovo anno accompagnati da un sigillo di bontà

Noi non sappiamo come sarà, il futuro; sappiamo però come tutto è cominciato: Dio ha creato il mondo e ha detto che era cosa buonaquesto sigillo di bontà resta nonostante tutte le cattiverie di cui l’uomo è capace, nonostante tutte le guerre. Il bene non sarà domani ma ci accompagna fin dall’inizio.

«Ti benedica il Signore e ti protegga. il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace». Questi versetti del Libro dei Numeri accompagnano la preghiera della Chiesa all’inizio di ogni anno civile. Ci è donato, di camminare nel tempo come figli benedetti. E’ il dono della salvezza. Paolo, nella lettera ai Galati, colloca il dono della salvezza nel passaggio dalla condizione di schiavitù nei confronti della legge alla condizione della libertà dei figli. Vivere la libertà dei figli con un realismo al quale viene donato l’essenziale. Gesù ci ha salvato dal superfluo e ci ha donato l’essenziale.

L’essenziale sono gli affetti, e le piccole/grandi cose del vivere quotidiano, proprio come il pane quotidiano che chiediamo nel Padre Nostro. L’essenziale è la Pace. La Pace di Cristo che ha pagato per tutti noi un prezzo altissimo. Anche noi dobbiamo pagare un prezzo alla Pace; la storia della nostra salvezza si apre con la strage degli Innocenti e si chiude con il Calvario, non dimentichiamolo. L’uomo di pace non rinuncia a difendere la giustizia, né confonde il bene col male prendendo una attitudine rassegnata o neutrale. L’uomo di pace è una “pecora” che non intende farsi “lupo”. Ci vuole un grande atto di fede per sorreggere la pace. Ecco alla fine la cosa veramente essenziale, la Fede; la pace non si può fare senza la fede. Allora oggi nel nostro Te deum ringraziamo il Signore per tutte le persone che per noi sono una benedizione; per tutte le persone che sono uomini e donne di pace; per tutte le persone che sono per noi testimoni di fede. E affidiamo alla Madonna ognuno di noi e il dono della Pace.


Leave a comment

Il vangelo e i poveri

Domani nella domenica che precede la Festa di Gesù Cristo Re dell’universo, si celebra la 7à edizione della Giornata Mondiale dei Poveri voluta da papa Francesco nel 2017.

Nel Messaggio per questo anno il Santo Padre ci invita a:”non distogliere lo sguardo dal povero”(Tb4,7), commentando la storia drammatica e magnifica di Tobia. Nel testo della lettera si fa anche riferimento alla profezia della Pace in Terris di Giovanni XXIII e alla tenacia di Santa Teresina, proprio nel sessantesimo anniversario della storica enciclica e nel 150° anniversario della morte della grande testimone missionaria.

19 novembre. Giornata Mondiale dei Poveri - Il messaggio di Papa Francesco

Sappiamo anche che il mandato di Gesù riguardo ai poveri è molto preciso.

Nella Sinagoga Gesù prese il il rotolo del profeta Isaia e – come dice il testo greco  trovò quel passo dopo averlo cercato. Il verbo greco infatti è eurisko – da cui viene la ben nota esclamazione eureka! Gesù cioè sceglie un passo che probabilmente non era previsto si leggesse e che invece Lui cerca e trova apposta per leggerlo in quel momento.

Si tratta del capitolo 61 del profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”.

Qual è questo “vangelo” di cui ci parla Isaia a cui fa eco Gesù? Il “vangelo” che si attendono i poveri – i primi a cui ancora una volta questo lieto annuncio è rivolto – è la fine della povertà. I prigionieri attendono la libertà, i ciechi si aspettano di poter vedere, e gli oppressi di essere sollevati dai loro pesi.

Nel mondo siamo testimoni, spesso piuttosto spettatori volenti o inermi, di tante forme di povertà (materiale, morale, spirituale), ingiustizie, prevaricazioni, disabilità, vulnerabilità…. Anche noi, nelle nostre vite, abbiamo le nostre povertà, siamo prigionieri di tante cose e siamo oppressi in qualche parte del nostro cuore. Ma, ci ha preannunciato Isaia e ci ha ricordato il Signore Gesù: “Coraggio, non temere, Egli viene a salvarti”(Is 35,4). E ancora ci dirà : “La verità vi farà liberi”(Gv 8,32). Quella salvezza, quella verità è proprio il Signore Gesù, che è il compimento della Scrittura, cioè il compimento del “lieto annuncio”.

E’ importante allora per tutti noi avere la coscienza, avere la certezza che c’è un punto, un “stella polare” dove guardare; che camminiamo su un sentiero già tracciato e – come ci ricorda Isaia – “spianato” dal Signore, nel deserto, che sono a volte le nostre vite, le nostre società. Dobbiamo tenere lo sguardo fisso su di Lui  e seguirlo, lasciandoci guidare dallo Spirito, certi che così non smarriremo la via. Molte volte noi cerchiamo ma non troviamo (la soluzione di quel tale problema, la risposta ad una certa domanda, il coraggio di fare una scelta…) proprio perchè prima che affidarci allo Spirito e distogliendo lo sguardo da Gesù, contiamo solo sulle nostre forze, pianifichiamo solo in base ai nostri calcoli, guardiamo solo alle nostre priorità. E non capiamo che dobbiamo “rovesciare” il nostro modo di pensare, vedere e fare le cose: perché prima di tutto siamo noi ad essere già stati trovati e soprattutto amati e “salvati”.

Scrive ancora l’evangelista Luca:” Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti, erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.

Noi dobbiamo certamente essere informati, preparati, leggere, pregare e meditare la Parola di Dio, ma subito dopo abbiamo il dovere di chiudere il “libro”, “arrotolarlo” come ha fatto Gesù, per metterci al servizio di quelli che aspettano la liberazione e che hanno gli occhi fissi su di noi e si attendono da noi una parola di conforto, una presa di posizione, un gesto di speranza, forse anche di rottura. Ricordiamoci sempre di cosa ha detto il Signore: “beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica”. Oggi sono milioni i bambini, le donne, i popoli interi che attendono e che ci guardano. E  ragionando  più “in piccolo”, ci sono tanti che si aspettano una risposta da noi nelle nostre vite – i nostri vicini, i colleghi, i familiari, i poveri che sono nelle strade delle nostre città. Da troppo tempo il nostro occidente, le nostre case, a volte anche le nostre chiese assomigliano alla comunità di Esdra descritta nella Bibbia, chiusa nella propria autosufficienza e dimentica dei bisogni dei poveri. In tanti attendono la liberazione e tengono gli occhi fissi su di noi.

Il nostro compito di cristiani è prima di tutto contribuire alla costruzione di una società liberata, noi prima di tutto siamo battezzati nello Spirito che libera gli oppressi e dobbiamo sentire forte l’urgenza di questo compito, di questa missione, la liberazione dei poveri, degli oppressi e degli emarginati.


Leave a comment

il nono Concistoro di papa Francesco

Papa Francesco, ieri nel Concistoro che si è celebrato in Piazza San Pietro, ha creato 21 nuovi cardinali. La mistica francese Madaleine Delbrel, ci aiuta ad entrare nel significato profondo: «Cardinale, ovvero colui che lascia entrare nel “cardine” su cui si regge la propria esistenza, la parola di Dio».

Provengono da ogni parte del mondo, proprio per significare l’universalità della Chiesa. Nel pomeriggio, la stessa Piazza San Pietro ha accolto una Veglia di preghiera ecumenica organizzata dalla comunità di Taizè e presieduta dal Pontefice, per pregare per il prossimo  Sinodo.

Il papa ha pronunciato l’omelia e subito dopo, leggendo la formula di creazione ha proclamato i nomi dei nuovi cardinali; è seguita la professione di fede dei nuovi cardinali davanti al popolo di Dio e il giuramento di fedeltà e obbedienza a Papa Francesco e ai suoi successori.

I nuovi cardinali, si sono quindi inginocchiati davanti al Papa che ha imposto loro lo zucchetto, l’antico copricapo degli uomini anziani e quindi degni di particolare rispetto, la berretta cardinalizia, consegnato l’anello, segno di fedeltà alla propria diocesi e a tutta la Chiesa   e assegnato a ciascuno una chiesa di Roma quale segno di comunione con il vescovo di Roma.

I nuovi cardinali sono chiamati a seguire Gesù crocifisso. Quel crocifisso, quel Figlio dell’uomo il Padre lo ha resuscitato, lo ha costituito Signore! dove? Su quale trono? In nessun trono. Il trono è la coscienza di quegli uomini che credono alla misericordia, alla pace, al dialogo, all’ecumenismo, alla fraternità universale e per questa fede sono disposti a dare la vita. Dare la vita per la Chiesa e per il mondo è il servizio al quale sono chiamati i nuovi porporati. Un servizio che provvidenzialmente si sta liberando da tutti i mantelli e le corone di costantiniana memoria.

Gesù è entrato nella debolezza umana, e così sono chiamati a fare i nuovi cardinali. Questa universalità della croce è molto importante; oggi lo sentiamo di più di una volta, perché le pareti di divisione stanno cadendo tutte inesorabilmente. Non possiamo più vivere, non solo gli uni contro gli altri, ma neanche gli uni accanto agli altri. Le divisioni fra cattolici, protestanti, ortodossi, musulmani, ebrei, appartengono non al Dio crocifisso, ma alla logica della nostra finitezza. Noi  dobbiamo tendere verso una unità, che è molto più grande della unità civile politica e anche religiosa. Gli uomini sono tutti amati.


Leave a comment

Irrompe lo Spirito: dalla paura alla gioia di annunciare il Vangelo

Il Cenacolo che aveva visto gli Apostoli testimoni della Cena del Signore, il luogo dove tante volte si erano trovati insieme per ascoltare la Sua Parola, diventa ora un rifugio, un nascondiglio “per paura dei Giudei” – come ricorda l’Evangelista Giovanni. E ci dicono anche gli Atti: “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”(At 2,1).

Bisogna ricordare che gli Apostoli a Gerusalemme avevano pochi amici, si erano messi contro il potere religioso e quello politico, erano considerati dai più fanatici seguaci di una delle tante sette messianiche del tempo. Rischiavano la vita per il solo predicare che Gesù era il Figlio di Dio veramente morto e veramente risorto. E infatti gli Atti ci raccontano che ben presto arriva il primo martire: Stefano, che viene lapidato a morte.

Oggi quali sono le nostre paure, che ci fanno rinchiudere nei nostri gruppi? Se escludiamo la Chiesa dei martiri che come ben sappiamo esiste e resiste ancora oggi in tante parti del mondo, notiamo che anche nella Chiesa e tra i cristiani è forte la tentazione di rinchiudersi in un’esperienza di fede elitaria, spesso anche settaria, che esclude il mondo, visto come cattivo, nemico e di cui quindi si ha paura e che si tende a giudicare anziché amare. Può succedere che a volte  la nostra fede, la nostra comunità cristiana, il nostro gruppo ecclesiale, invece che essere spazio di fraternità e di annuncio del Vangelo, si trasformi in un fortino inespugnabile, dove quelli di dentro giudicano quelli di fuori e li escludono anche. “Chiesa in uscita” secondo l’insegnamento di Papa Francesco significa anche non aver paura e non giudicare, ma al contrario essere forti nella fede e allargare gli spazi dell’accoglienza.

he-qi-pentecost1

E’ in questo clima di paura e di chiusura che irrompe lo Spirito. “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano” (At 2,1).  In quel cenacolo diventato chiuso e impaurito, lo Spirito interviene, agisce e lo trasforma, cambia il cuore di quegli uomini sfiduciati e ricrea una nuova fraternità allargata fino ai confini della terra. Ecco perché ognuno sentiva parlare nella propria lingua nativa, ci ricordano sempre gli Atti.

Ancora oggi lo Spirito ci chiama a guardare in avanti, ad aprire gli spazi del nostro cuore, a porci in ascolto della Parola. Il Vangelo non è uno scritto da ricopiare, la Chiesa non è un museo da custodire. La comunità cristiana delle origini ha avuto il coraggio dello Spirito di accogliere nel suo seno i non-circoncisi, ha osato mettere per iscritto la Buona Notizia, ed è stata pellegrina fino ai confini del mondo conosciutoOggi sta’ a noi trasmettere allo stesso modo “il Vangelo che abbiamo ricevuto”, senza paura, vergogna, e ovunque andiamo in questo mondo globalizzato. “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26).

Non è una cosa semplice testimoniare la Chiesa della Pentecoste, perché è la Chiesa della gioia (come ci ricordava San  Paolo VI) ma anche del martirio. Nessuno si illuda di non dover pagare un prezzo, anche personale. Al contrario, vivere il Vangelo delle sacre abitudini, rinchiusi nelle sagrestie, nascosti dietro i fumi di incenso è indubbiamente più facile. Lo Spirito ci chiama invece a rischiare i sentieri della vita, a percorrere la Via (ódos), proprio come il Vangelo viene chiamato negli Atti degli Apostoli. La lingua più difficile da parlare sarà quella di chi incontriamo, di chi  ci sta di fronte, di chi sarà contro di noi, magari credendo far bene. Lo Spirito ci insegna a parlare anche quella.


Leave a comment

Servo di Dio e di nessun altro

a cento anni dalla nascita di don Milani profeta del nostro tempo

Immaginare Don Milani alle prese con i cappellani militari e con i giudici che alla fine, sul tema dell’obiezione di coscienza , lo condanneranno per vilipendio alla patria è forse l’immagine che più di tutte ha accompagnato il nostro impegno sociale e le nostre motivazioni alla ricerca di una visione giusta. Ma la sua testimonianza parte da lontano, parte dalla sua risposta alla vocazione  di essere “SERVO di Dio e di nessun altro” come titola un libro a lui dedicato, per mettersi al servizio del popolo che gli è affidato.

“Esperienze pastorali” rappresenta un metodo; un metodo dell’analisi della realtà senza sconti. Testo molto controverso per il suo linguaggio composto ma risoluto, linguaggi che hanno suscitato dibattiti forti nella chiesa e opinioni contrastanti, circa l’opportunità o meno di considerarlo una riflessione di ampio respiro sulla “salute” delle nostre comunità ecclesiali, non solo circoscritta alla parrocchia di san Donato a Calenzano. Testo, nonostante l’imprimatur di due vescovi, non ritenuto opportuno dalle autorità ecclesiali.  L’analisi di Don Lorenzo è certamente, come sarà sempre, senza fronzoli e accurata, delineando subito una caratteristica peculiare dei suoi scritti; nessuna concessione a ciò che è vago e interpretabile, ma una asciutta e documenta considerazione sulla realtà sociale ed ecclesiale nella quale si sente chiamato a testimoniare l’amore di Dio verso i suoi figli.

La sua storia lo porta poi a Barbiana, parrocchia di montagna sperduta sul Mugello, dove diventa parroco di poche decine di persone, tutti contadini e poveri.

Don Lorenzo vede chiara la sua missione e quando i cappellani militari, all’inizio del 1965, attaccano gli obiettori di coscienza al servizio militare esaltando la retorica della guerra e del sacrificio, sceglie di non rispondere da solo ma di fornire ai ragazzi della sua scuola, poveri e contadini, la possibilità di approfondire il tema e di argomentare collettivamente, e insieme a  loro analizza e studia le posizioni di chi temeva nel riconoscimento  del primato e della libertà di coscienza un pericolo all’ordine “costituito”. La vicenda processuale permise poi ai ragazzi della scuola di argomentare nella successiva “lettera ai giudici”, in modo più circostanziato e dettagliato una posizione contro la guerra e chi la fa, ancorata a ragionamenti e documentazioni storiche inattaccabili. La cosa non eviterà a don Milani, sebbene non più in vita la condanna, in secondo appello, per apologia di reato. Ma ormai aveva aperto un modo nuovo di intendere la formazione, la scuola e la partecipazione.

Visione che venne espressa con più determinazione                             in “Lettera a una professoressa ”del 1967. Anche qui don Lorenzo e i ragazzi di Barbiana partono dai fatti, di fronte alla burocrazia di una scuola non pensata per far crescere ma per mortificare chi è più fragile, senza riconoscere le sue fatiche, il suo impegno. I  ragazzi di Barbiana sperimentano sulla loro pelle queste storture e analizzano ed esprimono una lettura spietata sulle contraddizioni strutturali della scuola italiana. Scuola pensata per pochi e incapace di aprirsi, con discutibili criteri di considerazione e di visione, alla necessità di tutti.

Don Lorenzo a Barbiana, con questa metodologia di analisi e di ricerca, mette i suoi ragazzi di fronte alla realtà e crea, senza lesinare duro lavoro per sè stesso e per loro, una vera scuola di democrazia e partecipazione dove “i Care” non diventa un motto, ma una precisa scelta di vita. Missione che può realizzarsi solo con dedizione totale  verso coloro che riconosciamo più fragili: “Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede una fede consapevole. Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso, e di dare espressione alle istanze profonde del proprio cuore, come pure alle attese di giustizia di tanti fratelli e sorelle che aspettano giustizia. Di quella piena umanizzazione che rivendichiamo per ogni persona su questa terra, accanto al pane, alla casa, al lavoro, alla famiglia, fa parte anche il possesso della parola come strumento di libertà e di fraternità”. (Papa Francesco, Barbiana, 20 giugno 2017)


Leave a comment

Papa Francesco: dieci anni di Vangelo

Dopo dieci anni dall’elezione, Francesco continua la sua missione

Dieci  anni fa iniziava il pontificato di Francesco, dopo un tempo difficile per la Chiesa e le dimissioni inattese di Benedetto XVI. Cominciava cosí il ministero di un Papa venuto “dalla fine del mondo” – come disse affacciandosi per la prima volta rivolgendosi ai fedeli in una Piazza San Pietro gremita da tanti romani che tradizionalmente non mancano a questo appuntamento e da tanti cattolici sparsi in ogni parte del mondo.

PapaFrancesco

Photo credit: http://w2.vatican.va

In questi dieci anni abbiamo imparato che in ogni parola, gesto e vita personale di Papa Francesco c’è un fuoco interiore che lo spinge, fino al limite delle forze, ad annunciare il Vangelo di Gesù. Questo sta facendo Papa Francesco: mettere la Chiesa, i cattolici e noi tutti davanti al Vangelo.

Paradossalmente proprio per questo, già dopo qualche mese dall’elezione del Cardinale Bergoglio a Pontefice sono iniziate da alcuni ambienti conservatori, interessati non al Vangelo ma alla politica ecclesiale, aspre critiche, una palese opposizione, talvolta anche una forte resistenza al vento nuovo portato da Francesco.

Così continuerà lungo i dieci anni di pontificato. Anzi, i sentimenti contro Francesco, in alcune frange conservatrici, si sono moltiplicati: tuttavia non dal popolo, che lo ama, ma da un mondo cattolico, spesso del “ricco” occidente, piuttosto borghese-capitalista, detentore di grandi interessi economici, che assolutamente non sopporta l’insegnamento di Papa Francesco che denuncia le ineguaglianze, le ingiustizie, le devastanti violenze delle guerre, lo sfruttamento sui più deboli, il clericalismo e la “doppia vita” nella Chiesa. Non si sopportano, insomma, i discorsi, il magistero e la testimonianza del Papa nei suoi incontri quotidiani con uomini e popoli di tutto il mondo.

Ma noi sappiamo bene che, la Chiesa, Papa Francesco, le nostre vite sono nelle mani di Dio: è il Signore che crea, fa vivere e stabilisce il nostro limite. Basterebbe credere a questa azione di Dio perché i critici del Papa si diano un pò di pace e tornino sui sentieri della fede riconoscendo a Dio la grande strategia dietro la storia e nelle vicende della Chiesa che cammina nel mondo. La Chiesa è posta nel mondo come un “segno”, un “sacramento” che rivela agli uomini l’amore universale di Dio realizzato in Gesú morto e risorto.

La Chiesa di Francesco cerca di confrontarsi ogni giorno col Vangelo: è questo il limite inaccettabile posto dai suoi detrattori. Per alcuni la Chiesa dovrebbe incentrarsi su dogmi, morale, sessualità da condannare, pericoli del comunismo, di un Islam che invade l’Europa. E’ l’ansia della paura, il timore della sconfitta, di chi si rende conto che trincerarsi nel legalismo è più facile che accettare la sfida del Vangelo – amare fino alla fine. Alcuni vogliono una Chiesa che sia centro di potere; un’istituzione forte che viene prima del Vangelo: il conflitto è qui – tra Vangelo o “istituzione forte”.

La Chiesa che i gruppi conservatori oggi rivendicano è la Chiesa della ricchezza, dell’accordo con i forti e i potenti: questi movimenti sono guidati dalla convinzione che la Chiesa nel mondo non debba presentarsi con l’umiltà e la mitezza di Gesù, ma come una forza sociale e politica che giustifichi il fondamento del suo potere. La Chiesa  annuncia la speranza del Vangelo, e cerca l’imitazione di Gesù.

Preghiamo il Signore ogni giorno per il papa affinchè il Signore lo sostenga; e preghiamo anche per noi  perché ci aiuti a mantenere sempre il desiderio, la sete di Lui . Si accresca in tutti noi la passione per il vangelo.. Cresca in noi tutti il desiderio di “fare Pasqua”. “Perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”.


Leave a comment

Il giardino di Adamo e il deserto di Dio

(Genesi 2-3; Matteo 4, 1-11)

Secondo il racconto della Genesi, il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo quando ancora la terra era un deserto. Questa cosa fatta di polvere divenne essere vivente grazie a un alito di vita che il Creatore soffiò nelle sue narici: come dire che l’uomo non ha vita in se stesso, ma la riceve dallo Spirito stesso di Dio e la vita rimane in lui soltanto a patto che l’uomo l’accolga quale dono di Dio.

La vita dunque per l’uomo è un dono precario. Non nel senso di dono insicuro, perché anzi Dio, con quel soffio iniziale, si impegna nei confronti dell’uomo e della sua vita. Precario nel senso di non poter sussistere se non a patto che l’uomo creda nella fedeltà di Dio e conti su di essa.

La precarietà della vita umana trova riscontro nella precarietà del rapporto tra l’uomo e la terra: è la terra davvero  un giardino, provvisto d’ogni albero necessario a nutrire la vita dell’uomo? Oppure la terra rimane per sempre un deserto inospitale, nel quale la vita è impossibile? Il testo biblico dice senza incertezza che il Signore Dio pose l’uomo in un giardino, e dice anche che al centro di quel giardino c’era l’albero della vita. Ma aggiunge anche un altro albero accanto a quello della vita, anch’esso quindi al centro del giardino: l’albero della conoscenza del bene e del male. È un albero velenoso, e Dio avverte Adamo:

“Di quell’albero non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti (Genesi 2, 17)”.

Una domanda s’impone: perché Dio ha messo un albero velenoso e proibito nel giardino di Eden? Fuori di metafora: perché Dio ha fatto l’uomo capace di peccare? perché Dio ha fatto l’uomo, pur sapendo sin dall’inizio che avrebbe peccato?

Prima di tentare una risposta a queste domande, occorre riflettere sulla loro pericolosità: può forse il vaso giudicare l’opera del vasaio? Chi è questo essere di terra che vuole giudicare l’opera di Dio? Riflettiamo: il peccato stesso di Adamo cominciò proprio di qui: dal fatto cioè che Adamo si ponesse l’interrogativo su l’opera di Dio. Ci chiediamo allora che cosa vuol dire quest’albero? Quale aspetto della nostra condizione esso intende descrivere?

La conoscenza «del bene e del male» è la conoscenza di tutto. «Conoscere» nella Bibbia vuol dire «avere esperienza»; l’obiezione di Maria all’angelo («Com’è possibile questo? Non conosco uomo») significa che non aveva avuto alcuna esperienza di rapporto con uomo.

Il misterioso albero del giardino descrive dunque un progetto, un desiderio, una tentazione, che facilmente s’insinua nella mente dell’uomo. Il progetto è quello di fare la prova di tutto e collaudare il valore di tutto, e decidere quello che serve e quello non serve alla vita dell’uomo.

«Quando voi ne mangiaste – dice il serpente – si aprirebbero i vostri occhi, e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male».

Provare tutto: s’intende tutto ciò che attrae e che appare gradito ai nostri occhi, desiderabile ai nostri appetiti, vantaggioso per incrementare la nostra esperienza. Provare tutto, ossia mettere tutto alla prova del nostro desiderio, e giudicare tutto sulla base di tale prova. Credo sia facile per ciascuno verificare quanto questo progetto continui ad affascinare l’uomo anche oggi e quanto insistentemente si produca ancora oggi l’esito descritto dalla Genesi: «Si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero d’essere nudi» – nudi, e cioè pericolosamente indifesi allo sguardo dell’altro, di Dio stesso, dunque nella necessità di nascondersi e di difendersi.

       Gesù ritorna nel deserto all’inizio del suo cammino in mezzo agli uomini. E nel deserto di nuovo riconosce la suggestione di Satana: quella di costituire il proprio desiderio quale misura di tutte le cose. Se egli trasformasse le pietre in pane, se desse strepitosa prova dei suoi sovrumani poteri proprio nel tempio, se accettasse di farsi re al modo in cui si fanno re tutti i signori di questo mondo, certo le folle lo seguirebbero: perché di queste cose tutti vanno in cerca.

Ma Gesù oppone alla suggestione di Satana la scelta della fede: non mettere Dio alla prova dei nostri desideri, non si può rendere un culto ad altro signore che non sia Dio stesso; l’uomo non può decidere da se stesso che cosa serve alla propria vita, ma deve rimettersi al Soffio di Dio, alla Parola che esce dalla sua bocca.

Il digiuno da tutto ciò che la prepotenza dei nostri desideri suggerisce come essenziale alla vita, per ritrovare la parola  sovrana e misteriosa che esce dal silenzio di Dio, è anche il programma del deserto spirituale al quale il cristiano ritorna nel tempo di Quaresima.


Leave a comment

Fiducia nel Padre o nel denaro?

Gesù aveva appena parlato  di riporre la propria fiducia nel Padre, ma subito incontra chi invece ripone  la fiducia nel denaro. Gesù ci avverte con parole molto chiare:”Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia”.”Anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni» ( Lc 12,15). Domandiamoci allora da che cosa facciamo dipendere la nostra vita, le nostre giornate, le nostre scelte. La vita vale per quello che uno possiede (anche legittimamente) o per quello che si condivide? “Stolto! Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato per chi sarà?»( Lc 12,20). Dobbiamo tutti riflettere circa il rapporto tra la nostra vita cristiana e il denaro. Non dobbiamo vivere la vita  come se fosse un valore  assoluto., dobbiamo viverla sapendo che essa è  limitata nel tempo  e solo in Gesù Cristo con la potenza della resurrezione, il limite sarà superato . L’uomo vecchio a poco a poco finisce,dice Paolo. L’uomo vecchio è anche la comunità. Noi oggi  sentiamo molto bene la vecchiaia della civiltà europea ad esempio. Non solo ma anche Il mondo intero in un certo senso  è vecchio, moribondo. Pensiamo a quello che succede intorno a noi;siamo circondati da violenza e morte che sono entrate anche nelle nostre chiese. La Buona Notizia è però che c’è qualcosa di nuovo che è nato e che supera il tempo e lo spazio. In Cristo per Cristo e con Cristo è nato in noi un uomo nuovo fatto per l’immortalità. La fede ci aiuta a recuperare le fondamenta del nostro essere, il principio e fondamento nel quale siamo stati creati e redenti. Beati quelli che non hanno visto e han­no creduto! una beatitudine per tutti, per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni, per chi non vede, per chi ricomincia. Grazie a tutti quelli che cre­dono senza necessità di segni, anche se hanno mille dubbi.


Leave a comment

Ospitalità e Libertà; le strade del vangelo

Il cammino sinodale ispirato da Marta e Maria

Un tema centrale della spiritualità cristiana è senza dubbio l’«ospitalità». E’ un tema sacro per tutte le religioni e per tutte le culture. Nel NT in Eb 13,2 leggiamo: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli». La civiltà post moderna in particolare in occidente ha perso il senso sacro dell’ospitalità perché ha reso economico ogni aspetto della nostra vita, compreso i rapporti tra le persone, basando tutto sulle regole del mercato e del profitto; le regole però non sono frutto di una condivisione, ma sono decise da chi parla di libero mercato, ma in realtà è padrone assoluto del mercato. Aggiungiamo poi una corruzione sistematica ed ecco allora sacche privilegi che usano il mercato per gli interessi di pochi a scapito dei molti. In questo contesto, l’ospite è diventato un semplice turista, su cui soltanto guadagnare.Nel vangelo Gesù entra in un villaggio nella casa di amici e ci da il senso profondo della ospitalità. “Entrò in un villaggio”. Il “villaggio” è il luogo attaccato alla tradizione, al passato. Il villaggio era quello che“l’accampamento”rappresentava nell’Antico Testamento, luogo dove le appartenenze sono divenute schlerotizzate e privilegiate, in cui ogni novità è vista con sospetto, ogni forestiero è già nemico.

Una donna, di nome Marta ospitò Gesù nella sua casa, racconta l’evangelista Luca. “Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola”. Maria si mette nella posizione del discepolo verso il maestro. Come San Paolo che racconta negli Atti di essere stato istruito ai piedi di Gamaliele. Maria quindi riconosce Gesù come Maestro. Maria, però non potrebbe fare questo. E’ una donna e le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini. Leggiamo ad esempio nel Talmud che “le parole della legge vengono distrutte dal fuoco piuttosto che essere insegnate alle donne”. Maria qui sta compiendo  qualcosa di clamoroso. Trasgredisce una delle leggi fondamentali insegnate dalla Tradizione.

“Tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta”. Cosa non può essere tolto ad una persona? Pensiamo che purtroppo a volte può essere tolta persino la vita ad una persona. Perché Gesù dice che Maria ha scelto una cosa migliore che non può esserle tolta? La risposta è che Maria ha scelto la libertà, attraverso la disobbedienza alla legge. Ecco un altro tema fondamentale, la libertà. Il sovrano può concedere la libertà, ma può anche toglierla in qualunque momento. Questo vale per le persone e come ci insegna la storia vale anche per popoli interi. Quando però la libertà è frutto di una conquista personale, frutto del coraggio di trasgredire regole della tradizione e della religione, che umiliano come in questo caso la dignità della donna, allora quando uno conquista questa libertà nessuno gliela può togliere. Gesù ci chiama a questa libertà; non ci chiama a scegliere una vita contemplativa o una più attiva, perchè la vita è una sola. Gesù ci chiama a fare la scelta della libertà, in particolare la libertà di ascoltare la Sua Parola, e di metterla in pratica in una concreta e solidale apertura agli altri, specialmente verso chi bussa alle nostre porte, scappando dalla guerra e dalla fame. Ospitalità e Libertà sono cose sacre, nessuna religione o istituzione può interferire con esse, perché si metterebbero contro Dio e contro l’uomo.